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Approfondimenti: Gilberto Perrone: Il mercato di Sant'Elia e la nostra economia



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Approfondimenti » 08/08/2003

Gilberto Perrone: Il mercato di Sant'Elia e la nostra economia

4860 MILIARDI DI VECCHIE LIRE
Ovvero
oltre 2.509 MILIARDI di Euro
Questo è, ottimisticamente, la stima del danno ricevuto da Brindisi grazie all’eccesivo peso del mercato rionale di S. Elia, e parliamo solo delle bancarelle in ecesso.
Sono cifre che da sole basterebbero a far capire, con un pizzico di buon senso, che il mercato rionale non può e non deve essere una fonte continua di impoverimento dell’economia locale.
Brindisi soffre gravemente di una crisi finanziaria che si respira nell’aria.
Come tecnico del settore creditizio da oltre 11 anni, posso affermare con decisione e con sicurezza che Brindisi potrebbe vivere decisamente meglio se non ci fossero continue fughe di capitali verso altre province ed altre regioni. Certo non si tratta solo del fenomeno del mercato, ed è sacrosanto che deve esistere una alternativa economica per permettere a tutti i ceti di poter spendere in base alle proprie esigenze.
Ma il problema è che il mercato di Brindisi, pare uno dei più grandi d’Europa in rapporto alla popolazione residente, non offre quella che tipicamente è l’alternativa al prodotto del commercio locale; al contrario ripropone, e (incredibile ma vero) spesso agli stessi prezzi, la merce che viene esposta al centro, piuttosto che in altri quartieri della città.
Ora il punto è che questo denaro che si riversa sulle bancarelle (...spesso Tir travestiti da bancarella) non rimane in città.
Questo produce un duplice effetto negativo. Uno di tipo finanziario, ed un altro di tipo economico.
Nel primo caso non consente alle banche locali di raccogliere e ridistribuire sotto forma di impieghi quei capitali che servirebbero ai commercianti locali per rilanciare le proprie attività, quindi si giustifica l’inasprimento non volontario verso le necessità dei commercianti e dei professionisti locali da parte delle banche che non si sentono garantite dai flussi.
Nel secondo caso invece questa fuga di capitali impedisce la ridistribuzione delle masse di liquidità verso le tasche di lavoratori ed enti di previdenza privati e pubblici, creando quindi un effetto boomerang sugli stessi cittadini.
Infatti, se questa ricchezza fosse ben impiegata (in città) produrrebbe la necessità inconfutabile di creare nuovi posti di lavoro.
Basta soffermarsi a pensare al commercio di qualche anno fa, proprio in città; ogni negozio aveva da due a quattro commesse. Oggi, bene che vada, ne viene impiegata una. E questo significa che centinaia di posti di lavoro sono andati in fumo, ma non perché non esiste la volontà da parte dei commercianti di assumere del personale, semplicemente perché non esistono le caratteristiche minime di copertura finanziaria per creare nuove attività economiche, anche in termini di nuovi posti di lavoro.
Anche le compagnie di assicurazione, le banche stesse, e tante altre attività economiche accusano forti ritardi nei confronti di altre aree paragonabili in termini di economie locali e numero di abitanti.
Tutti gli sforzi che le classi politiche stanno facendo possono essere cancellati dalla mancanza di coerenza nell’ottica della ridistribuzione delle ricchezze.
Occorre fare molta attenzione nel rilasciare le autorizzazioni per la riapertura del mercato, occorre fare delle valutazioni oggettive in merito alle caratteristiche dell’offerta e della domanda. Sarebbe utile ed auspicabile anche un maggior monitoraggio delle stesse attività non stanziali sotto il profilo più squisitamente formale e fiscale, perché è fuori discussione il fatto che gli ambulanti fatturano forse meno del 30% di ciò che vendono.
Ma qui il problema si potrebbe anche risolvere a monte.
Perché gli ambulanti si riforniscono per oltre il 90% degli approvvigionamenti da grossisti dell’area del nord barese e del basso salento, oltre che presso il Cis di Nola. Qui potrebbero essere svolti controlli più attenti proprio all’atto dell’approvvigionamento, in modo da scongiurare il fenomeno dell’acquisto “a nero” ed il conseguente “necessario” ricollocamento senza scontrino al fine di far quadrare le contabilità, spesso approssimative.
Non mi pare che tutto questo venga fatto in modo sistematico, ma è proprio questo fenomeno, unitamente al basso costo delle aree mercatali che generano poi le differenze di prezzo, ripeto spesso neanche molto sensibili, ma che attraggono le nostre brave brindisine e di conseguenza creano dei margini ampi di ricavo agli ambulanti rispetto ali commercianti locali.
Perché non penso che il fenomeno del mercato possa essere solo un fatto di colore e di tradizione locale. I mercati sono e devono essere un’alternativa, misurata alle reali esigenze locali, e possibilmente offerta a commercianti locali o della provincia stessa.
Bisogna convincersi del fatto che l’economia, in quanto tale, và vissuta come un fenomeno in evoluzione. E se è giusto che deve essere offerto spazio agli ipermercati che racchiudono in una sola area tanti aspetti anche gradevoli del mutamento dell’offerta al pubblico, sottraendo però risorse ai piccoli commercianti, è giusto pure che lo scotto di questa evoluzione debba equamente essere ripartito anche sugli ambulanti che devono imparare a riproporre quel tipo di offerta che deve distaccarsi, in modo anche netto, dall’offerta più specializzata del commerciante delle vie principali, così come dall’offerta dell’ipermercato.
Creando un giusto mix di alternative la popolazione locale, unitamente al piacere di passeggiare nelle luminose vie del corso, riconquisterà il piacere di uscire (scontrino alla mano) con un pacco griffato, pagando probabilmente un prezzo anche più basso via via che l’economia ricomincia a girare in città. E del resto basti osservare passeggiando a Roma, piuttosto che a Bari o Milano, come nelle vetrine si trovino merci, in periodi non di saldo, a prezzi molto interessanti. Il trucco sta nel generare risposte proporzionate tra domanda e offerta.
Per concludere un commento.
I commercianti di Brindisi hanno sopportato per 30 anni la scomoda presenza del mercato; hanno sopportato, anche se borbottando, i disagi dello smantellamento e della ricostruzione dei corsi; stanno sopportando pazientemente che si trovino delle soluzioni di continuità per l’annoso problema dei parcheggi, che vuoi o non vuoi limita l’affluenza agli acquisti.
Ma vi sembra normale che questi ambulanti abbiano avuto il coraggio di manifestare e chiedere addirittura che qualcuno si faccia carico dei danni subiti per la chiusura del mercato?
E ai nostri commercianti cosa dovrebbero risarcire loro stessi che per anni hanno invaso (anche abusivamente) la nostra città rendendola una casba male educando, di fatto, i risparmiatori locali.

Dott. Gilberto Perrone


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