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Approfondimenti: Lele Amorso: "Città e Provincia in trasformazione: la sfida culturale"



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Approfondimenti » 26/09/2004

Lele Amorso: "Città e Provincia in trasformazione: la sfida culturale"

La definizione della “sfera pubblica”, e delle retoriche ad essa connesse, si sta puntualizzando, da alcuni mesi, sul concetto di “nuovo modello di sviluppo”, al contempo auspicio e nuovo orizzonte identitario.
Le recenti nette e chiare deliberazioni delle due Istituzioni rappresentative, Comune e Provincia, avverse al previsto impianto di rigassificazione, pongono l’urgenza di precisarne i contenuti, le proposte e individuare i “fenomeni sociali” atti a concretizzare il nuovo sviluppo.
E’ un errore credere che il “percorso” fatto sia esclusivamente di una maturata coscienza ambientalista. Essa c’è ed ha fatto la sua parte ma è bene precisare, come dimenticano componenti del mondo delle imprese e del sindacato , che la necessità del cambiamento di prospettiva e di “paradigmi” sta tutta nella trasformazione, e quindi crisi, di modelli di sviluppo sostanzialmente basati sull’industria e, per noi, nella specifica “storia industriale” (grande, esterna, della chimica e dell’energia, nociva, senza indotto, a forte”invadenza” territoriale e funzionale).
E’ stato sottolineato, da più parti, l’importanza del capitale di infrastrutturazione territoriale ed il suo necessario aggiornamento; si è spesso richiamato lo sviluppo da assegnare a comparti che hanno fatto la “fortuna” di altri territori; riparte con maggiore determinazione (non sarà facile) la volontà di dotare il territorio dell’ università.
Oltre a questi punti di forza, quali sono i “fattori” principali che definiscono un sistema territoriale?
Per le recenti esperienze dei “distretti” e dei territori che hanno saputo fare sistema, gli studiosi hanno individuato un elemento chiave sintetizzato come: il paradosso del localismo. In epoca di grandi trasformazioni planetarie, di globalizzazione, di scenari post fordisti e post moderni, che impongono il ripensamento del complessivo sistema insediativo con le sue “abitudini” psico fisiche, il fattore locale assume una importanza cruciale.
Si tratta di una trasformazione e di condizioni, prima ancora che oggettive, di carattere culturale.
Queste condizioni sono d’ordine fisico (appunto infrastrutture, ambiente, vivibilità, servizi pubblici efficienti) ma anche di tipo soggettivo ed immateriale: la qualità delle relazioni composte dal capitale sociale ed umano di un territorio, la disposizione ed un tessuto consolidato di relazioni cooperative.
Questi ultimi fattori determinano lo sviluppo locale favorendo l’espressione e l’efficacia delle capacità imprenditoriali endogene, creano spazio all’innovazione, favoriscono i nuovi “talenti (sia soggettivi che di opportunità), avendo come “base” servizi (alla persona e alle imprese) efficienti, procedure non “negoziabili”, offerta culturale e ricreativa, qualità ambientale. Creano, in sintesi, il clima giusto, il milieu idoneo anche per eventuali decisioni localizzative di imprese esterne.
La coesione sociale e la qualità della vita divengono elementi cruciali di crescita nel lungo periodo, anche dei processi identitari e della condivisione dei codici di comportamento. Qualità, coesione e identità sociale si coniugano con sicurezza in senso lato.
Siamo dinnanzi ad un nuovo “ruolo” della città e del territorio che, benché potrà avere riflessi visibili nell’economia, è nella dimensione “culturale” che trova, o non trova, le sue vere leve di cambiamento.
La sfida verso il miglioramento della qualità della vita si deve intendere come “strategia di sviluppo umano equilibrato” su due dimensioni fondanti: a) dispiegarsi delle capacità individuali e d’organizzazione; b) uso razionale delle capacità acquisite.
La prima dimensione rimanda, e si scontra, ai meccanismi sociali che favoriscano l’innovazione (particolarmente importante è la formazione, selezione dei ceti dirigenti in senso lato); la seconda a quanto la interconnessione tra il capitale sociale e le “concrete” realizzazioni, dei singoli e della collettività, siano decisive per trasformare, attraverso le capacità, le risorse disponibili in funzioni positive.
Questo tema della capacità si rifà al modello confermato da tante ricerche su piccole e/o grandi realtà territoriali in qualche modo “attanagliate” dal tema del sottosviluppo e dell’arretratezza.
Il capabilitiy approach, definito dal nobel Amartya Sen e da Martha Nussbaum sul finire degli anni ottanta, sottolinea l’importanza dell’acquisizione di capacità, non solo metodiche e tecniche, per trasformare le risorse in funzioni idonee. Sen in particolare ha spostato l’attenzione dalla quantità di risorse disponibili alla capacità di saperle trasformare, anche se limitate, in utility. Ciò che questo processo, se ottimizzato, consente è l’acquisizione culturale, e quindi nuova consapevolezza degli attori sociali, di nuovi “valori”, operanti negli individui e nelle organizzazioni. Dai più elementari funzionamenti, come avere un reddito, alle più complesse funzioni “sociali e civili”, come avere rispetto per se stessi e per gli altri, rispettare il bene pubblico, ridurre i costi delle cosiddette esternalità da danni ambientali, si possono riorientare le “domande” ( sin’ora spesso antagoniste, confuse, pregiudiziali o indicibili) cui deve rispondere la “nuova politica”, se essa è correttamente intesa in “sintonia con la società”.

2 Siamo Noi (Istituzioni, corpi intermedi, imprese, associazionismo, cittadini) capaci di sviluppare un “progetto comune” meno esogeno, più vicino alla “realtà”, capaci di cooperazione, di sensibilità alla sostenibilità? Siamo capaci di mettere in moto meccanismi di cittadinanza attiva, partecipazione, confronto e condivisione di una prospettiva altra?
Il contesto sociale in ogni suo “ordine e grado” ha un gran valore per delineare l’agire “politico”.
Altrettanto importante è però il contesto simbolico nel quale si iscrive l’idea di futuro.
Ci siamo in qualche modo “fissati”, negli anni passati, su contesti simbolici, e quindi identitari di città industriale, di marlboro city, di territorio nel quale il “meccanismo della cattiva reputazione” favoriva la mobilità e la promozione sociale.
Ciò ha provocato danni non solo d’immagine ma autorappresentazioni che hanno di fatto impedito ogni “innovazione” virtuosa. La continua “fuga” dei giovani dal territorio è effetto anche della impermeabilità dello stesso a nuove “visioni”; lo prova la sopravvivenza di immutabili rendite di posizione (si pensi a quante “funzioni” collettive sono “detenute” da tempo sempre dagli stessi “gruppi di persone”).
I sistemi non si autoriformano: quando cambiano “creano” di fatto un nuovo sistema, con nuovi paradigmi culturali, nuovi valori, riscrittura degli scopi, nuovi mondi vitali e capacità tutte nuove.
La “sfida” culturale deve saper percorrere la nuova strada dell’interesse collettivo, nelle intenzioni e nella concreta realizzazione. Ciò vale per l’economia, per gli spazi urbani, per i servizi sociali, per la cultura, superando le visioni di parte che non esprimono, a volte, solo onesti e legittimi punti di vista ma si preoccupano troppo dei fienili da riempire e dei relativi guardiani.
Per essere più espliciti: coloro che hanno oggi responsabilità pubbliche non possono, ad esempio, seguire i “tempi” delle prossime tornate elettorali regionali e politiche.
Da questo punto di vista i “segnali” sono contradditori.
L’augurio che le tante “ buone intenzioni” dichiarate possano, seppur lentamente, trovare un “sistema di funzionamenti” che le realizzi.
Verba rebus proba: i fatti validano le parole.

Emanuele Amoruso


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