Personaggi » 12/11/2004
Un ricordo di Pino Guastella
Quattordici anni fa decedeva a Rimini il medico brindisino
Aveva lasciato definitivamente Brindisi nel 1960.
Nella città natale dimoravano suo padre Michele, austero siracusano, ufficiale di Marina, e mamma Lina, i fratelli Luciano e a Maria Teresa, compagni di tante avventure tra oratorio dei Salesiani e comitive scolastiche, il lido di Materdomini e le feste al circolo della Marina Militare; e poi c’erano ancora due fratellini, giunti in famiglia vent’anni dopo lui ch’era il primogenito.
Pino come lo chiamavano, parenti e amici, dopo il biennio barese aveva scelto di proseguire i corsi alla facoltà di medicina a Ferrara. Gli studi universitari avrebbero assorbito la gioventù accanto alla militanza nelle fila del Partito Socialista.
Una duplice combinazione che, ad inizio anni Sessanta, ancora emancipava... e come.
Un susseguirsi di avvenimenti gioiosi e dolorosi segnò prestamente le sue responsabilità d’adulto: la laurea nel novembre del 1965 e le prime corsie nell’ospedale di Morciano di Romagna, la prematura scomparsa del padre nell’ottobre dell’anno seguente, poi il matrimonio con Adriana, originaria di Avola -stesso paese dei suoi avi paterni- e nel 1968 la nascita della prima figlia Simona.
Col passare degli anni per il dottor Guastella diveniva prassi quotidiana l’assunzione di responsabilità, soprattutto in sala operatoria, avendo scelto la specializzazione in Anestesia e Rianimazione.
Ma non di meno gli accadeva nella vita, per un proprio modo d’essere, come dimostrava nell’attenzione paterna per quei due fratelli più piccini da instradare all’adolescenza.
Con la moglie e i due figli, perché intanto era nato Michele, fissavano nuova residenza a Rimini, eletta dunque città d’adozione. Il ruolo di aiutoprimario all’Ospedale di Novafeltria, nelle Marche, lo portò a frequentare la contigua frazione di Perticara, piccolo centro -già d’estrazione di zolfo della Montecatini- nel quale avvierà la sua parallela attività nel mondo dello sport, assumendo per alcuni anni la presidenza della locale squadra di calcio militante nella prima categoria.
Lo sport che non aveva praticato in gioventù, per via degli studi universitari e di un cuore instabile, entrò da protagonista nella sua esistenza.
Cominciò dalla direzione medica del pronto intervento presso l’autodromo di Misano Adriatico e proseguì scegliendosi varie Porsche, la sua marca d’auto preferita.
Accadde persino che giunto a Brindisi per trascorrere un Natale, nottetempo ladri maldestri provarono a portargli via la 911T, ma incapaci di forzare le portiere si dovettero accontentare della “850 coupè”, ugualmente rossa, del cognato, Fernando Vulpitta, già protagonista del basket pugliese.
Acquisita tra i primi in Italia, sotto la direzione del professor Vecchiet, la specializzazione in medicina sportiva -tant’è che nel 1981 fu eletto segretario dell’Associazione Italiana Medici Sportivi-, pioniere avviò il centro di medicina dello sport presso il Palasport di Rimini, seguendo in prima persona tanti atleti, professionisti, dilettanti e i giovanissimi; quelli che partecipavano alle gare per i titoli nazionali di scherma, agli stage annuali delle selezioni azzurre di ginnastica e alle competizioni preolimpiche delle squadre italiane di boxe. Impegni che gli permisero il conferimento del titolo di Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi.
Così tra le mansioni di anestesista presso le cliniche private di Villa Maria a Rimini e Villa Assunta a Jesi, l’incarico alla cattedra di traumatologia della boxe all’Isef di Urbino, lasciava scorrere una vita senza pause. Era di solito sui luoghi di lavoro, oppure ai raduni agonistici con l’aggiunta delle faticose e lunghe trasferte per svariate competizioni. Eppure confermava la generosa disponibilità del mai negarsi nel prestare la sua opera ai parecchi conoscenti che lo richiedevano.
E tra quelli, coloro che ci leggono la rammenteranno.
Così che trasgredendo, forse riprorevolmente, agli affetti di padre e marito, ancorché trovarlo a casa nelle sue soste ricreative -e i molti amici che lo frequentavano, soprattutto i brindisini, lo sapevano-, era più facile incontrarlo in “oasi di parlate brindisine” come ai ristoranti “da Mino”, a San Marino, o a “El Paso” da Benito e Armando Tarì, ex pugili nostrani trasferitisi in riviera adriatica; oppure all’ “Europa” dei suoi fraterni amici Piero e Gilberto, questi però romagnoli doc.
Pino era anche questo.
Era lì che si beava ritrovando gli amici brindisini, giunti per seguire le fiere espositive o per le convention politiche riminesi -regola applicata indifferentemente sia con quelli di sinistra che di destra e centro. Era lì che faceva i resoconti di gare vissute in presa diretta, suggeriva ricette mediche o terapie e prendeva appuntamenti per le sue costanti attività ambulatoriali.
Seguiva da medico le squadre di basket di Rimini, la Sarila di Taurisano e Otis Howard, per intenderci, e soprattutto il Rimini calcio, che nei suoi anni annoverava vecchie glorie come gli ex azzurri Chiarugi e Bertini e allenatori di qualità, quali Angelillo, l’anziano Helenio Herrera, o i più giovani, che “diverranno” famosi, Osvaldo Bagnoli e Arrigo Sacchi. Certo è che con il suo carattere passionale e coinvolgente si ribadiva personaggio di primo piano di quelle squadre.
Come ha reso noto la stampa sportiva romagnola, ricordandolo, ad esempio, nell’episodio avvenuto alla vigilia del Natale ‘76, primo campionato di Serie B per il Rimini: con il duo Helenio Herrera-Angelo Becchetti squalificato e quindi la trasferta di Avellino da affrontare senza i trainer; ma con Pino Guastella a dirigere dalla panchina e con i “senatori” Di Maio, Pellizzaro, Carnevale e il leccese Russo in campo, capaci di strappare il risultato positivo in terra irpina.
E lui, con la sua Porsche, velocemente rientrava a Rimini ad autoincensarsi amabilmente presso gli amici ben disposti ad ascoltarlo.
Tuttavia non aveva smarrito neppure per un istante la sua brindisinità; quando “scendeva” in trasferta a Lecce o a Taranto faceva di tutto per raggiungere due obiettivi: far soggiornare nel pre-gara la squadra biancorossa nella sua città (persino una volta all’Hotel Mediterraneo a trenta metri dall’abitazione della sua famiglia) e poter fare scorpacciate di “cozze”.
Neppure mancava di divertirsi, nell’arrivo e partenze del pullman dagli stadi pugliesi, a tradurre simultaneamente dal dialetto, a “beneficio” di calciatori e dirigenti riminesi, le imprecazioni a loro rivolte dai tifosi avversari, dal barese al salentino. E qualcosa di simile riaccadeva giù a Catania, verso le terre consanguinee.
Ai “suoi” pugili riminesi, su tutti i fratelli Stecca, impegnati in match clou per le corone continentali e mondiali, dava sicurezza avere sul ring come medico indicato dalla federazione internazionale il neutrale “dottor Giuseppe Guastella di Brindisi”, come indicava lo speaker dell’incontro e via etere quello della Rai. Con conseguenti trasporti emotivi per gli utenti televisivi brindisini amanti della boxe.
Non aveva mancato di dare il suo piccolo apporto non solo nello sport, partecipando ad uno dei viaggi che il San Giuliano Calcio organizzava nei lebbrosari e nelle missioni del Terzo Mondo, quello presso la tribù dei Diolà nel villaggio senegalese di Kubalan. Si crucciava ad un suo ritorno in Italia ricordando: “Avevano tutti, grandi e piccini, sempre un gran mal di testa ed era controindicato somministrargli analgesici... che sensazione di impotenza”.
Tra attività di sala operatoria e medico sportive, aveva tralasciato le routine e insieme gli affetti domestici. L’inaspettata scomparsa della madre, l’essersi sottoposto ad un delicato intervento cardiochirurgico e un disgraziato caso operatorio che coinvolgeva la sua equipe medica, causando la scomparsa di una paziente, lo avevano fiaccato nel fisico e nello spirito, oramai velato da disillusa precognizione: “Non raggiungerò l’età di mio padre”.
Riprese appieno le sue attività ma nel 1990 un infarto ne stroncava con precoce puntualità l’esistenza. Aveva da poco compiuto cinquantun anni, era il primo di novembre, se ne andava giusto quattordici anni fa, nel giorno in cui si celebrano Ognissanti .
Chi lo ha frequentato difficilmente lo ha dimenticato. Soprattutto a Rimini; gli amici, come Bruno Tosi, presidente della Ascom riminese, e il giornalista Giorgio Betti, gli hanno voluto dedicare il “Trofeo Memorial Giuseppe Guastella”, un puttino in ceramica, tratto dal rinascimentale Agostino di Duccio, assegnato annualmente ad un medico sportivo di caratura nazionale particolarmente meritevole; così come dall’anno successivo alla sua scomparsa è intitolato a ”Giuseppe Guastella” il torneo di calcetto riservato ai “pulcini”, organizzato dal comitato provinciale riminese della Figc. Modi per ricordarsi di un amico e di un medico altruista e autentico uomo di sport.
Come dimenticarlo... quel brindisino a Rimini.
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Con il padre Michele
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Ai tempi del liceo
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Sul tetto
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In aereo
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Un raro momento di relax
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Con il papa
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M.G.
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