Approfondimenti » 27/06/2005
Il modello Brindisi e la sfida per lo sviluppo del nuovo waterfront. Di Roberto Romeo
Due giorni. Quelli della svolta possibile. Quelli nei quali una città, apparentemente chiusa e disattenta alla coscienza civica del suo divenire, d’improvviso rompe gli indugi e si stringe attorno al tavolo strategico nel quale si delinea un diverso (o invero un primo) modello di sviluppo.
Due giorni, quelli dello studio pubblico sulla riconfigurazione del “fronte mare”, che segnano il dato fondamentale di un progetto pensato nel suo ordine economico e localizzativo e capace anzitutto di rimettere Brindisi sopra un cammino definito e sostenibile.
La storia della città, del resto, sottolinea la straordinaria identificazione con l’economia e la connettività del mare, al punto da riconoscerne i periodi di maggiore crisi e squilibrio in quelli di flessione e decadenza delle attività connesse al porto e alle sue dinamiche.
Non sempre in passato Brindisi ha organizzato il suo territorio in modo funzionale alla centralità del porto. Anzi, il passaggio affrettato a una iperdensità industriale, unito alla persistenza dei presidi militari, oltre a non creare coesione e armonia distributiva attorno ai nuovi insediamenti della chimica e dell’energia, ha prodotto uno strappo lacerante tra la città e il suo mare, facendo del porto un fronte e un confine quasi accidentali.
Uno dei principali geografi del nostro tempo, Corrado Beguinot, sostiene che alla base del collasso dei sistemi urbani vi sia la differente velocità con cui si evolvono e si espandono la “città di pietra” e la “città delle relazioni”.
A Brindisi i due sottosistemi urbani hanno per di più seguito progress del tutto indipendenti, e la “città di pietra” è cresciuta e si è ampliata in modo disorganico e talvolta anche in dispregio delle possibili relazioni del mare (si pensi al palazzo della Questura che vede il porto alle spalle).
Il progetto “Brindisi città di mare” tende dunque a recuperare una identità. Quella che tra luci e ombre, splendori e declini, ha marcato la continuità della storia riconoscendo alle naturali insenature del porto attributi di bellezza e soprattutto una grande riserva di opportunità.
Un’ottica che da una capillare strutturazione industriale riorienti lo sviluppo verso un diverso modo di volgersi al mare, riqualificando la linea d’acqua, ricavando nuovi spazi fruibili dalle servitù militari, rendendo il porto stesso limite funzionale di una dotazione infrastrutturale (ben superiore alla media nazionale) che diventi finalmente sistema.
Non è più proponibile, come ha rilevato il sindaco Mennitti che del progetto è fautore e anima, uno sviluppo legato ai vecchi schemi e alle vecchie logiche, dal momento che il sud del paese ristagna in uno stato di marginalità rispetto al mercato dell’euro, con il quale il nord è invece ben interfacciato.
E anche perché la nuova organizzazione geopolitica e territoriale dell’Unione Europea, come pure la crescente forza commerciale dell’Europa d’acqua e dell’estremo oriente e i “corridoi verdi” delle sponde nordafricane del Mediterraneo, proiettano Brindisi tra gli scali privilegiati di interconnessione sociale ed economica.
Il particolare momento storico, l’eurosclerosi e la crisi di vocazione dell’antico asse europeo franco-olandese, ridisegnano il futuro continentale in funzione di tre fondamentali processi geoeconomici.
Il primo attiene all’allargamento dell’Europa ai paesi del sudest balcanico (Romania e Bulgaria nel 2007, verosimilmente nel successivo immediato anche Croazia e Turchia); il secondo si ricollega al cd. “Processo di Barcellona” che mira alla creazione, tra le finalità costitutive, di una zona di libero scambio Euro Mediterranea entro il 2010. Dal 1995 molti passi sono stati compiuti per rinforzare l’integrazione regionale e ulteriori accordi finalizzati impegnano le agende dei paesi dell’area nell’ottica di accrescere il livello di intrascambi commerciali e massimizzare il potenziale di crescita economica della regione.
Il terzo processo in atto attiene all’inarrestabile avanzata dei nuovi fronti forti dell’economia, come Cina e India, che guardano fissamente al bacino del Mediterraneo per destinarvi le loro rotte commerciali e turistiche.
In questo quadro di profonde mutazioni e di rinnovamento degli equilibri geopolitici della vecchia Europa protezionista e doganale, Brindisi ha l’occasione di superare il suo status di marginalità e di perifericità divenendo porto-crocevia nevralgico del Mediterraneo e snodo centrale del continente euroasiatico in corso di trasformazione (“... Tra i porti europei più vicini a Pechino”, come ha precisato il vice ministro alle Attività Produttive con delega al Commercio Estero Adolfo Urso).
Il no della città al rigassificatore, un no che apre la schiera dei “disobbedienti” anche a due autorevoli esponenti del governo centrale, non è affatto un diniego pregiudiziale, tout court. E’ piuttosto un dissenso che nasce dalla valutazione consapevole di una diversa idea di sviluppo, più conforme alle attitudini proprie della città.
“Il territorio è stato già ipotecato a sufficienza come contributo energetico al sistema paese, ora deve poter evere uno sviluppo di altro tipo”. L’ammonimento di Urso trova conforto nell’affidamento finanziario del progetto waterfront.
Il piano comunitario di sviluppo strutturale 2007-2013 e i fondi nazionali di destinazione, che segnano ogni anno cumuli di surplus inutilizzati, assicurano il pieno finanziamento della riqualificazione purché si passi in breve volgere dallo studio di fattibilità (tra qualche giorno consultabile in Rete) al progetto e al plan di partizione della spesa secondo l’avanzamento delle opere divisate, tenendo bene in conto che i soldi impegnati ma non utilizzati non restano a disposizione.
Un progetto unitario e di largo respiro che si costella di molteplici interventi, autonomi in senso progettuale e finanziario, e messi in relazione attraverso lo studio di fattibilità in funzione di un unico risultato complesso.
Se è vero infatti che una trasformazione urbana è in grado di rigenerare benessere sociale e di modificare le tendenze demografiche ed economiche, è vero altrettanto che ogni benefit virtuoso soggiace alla capacità di stabilire priorità e tempi di intervento con scadenze e obiettivi precisi. L’esempio di Barcellona e l’articolata riscrittura del waterfront della città catalana testimoniano come taluni interventi a grande scala, adeguatamente supportati da un disegno attento alla qualità della vita e alla valorizzazione dell’identità urbana, possano condurre a una rinascita in tutti i settori e rimettere in corsa gli indicatori più significativi.
I waterscettici ne abbiano conto.
Roberto Romeo
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