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Approfondimenti: Brindisi: città sull'acqua e sulla terra. Di Massimo Guastella



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Approfondimenti » 10/07/2005

Brindisi: città sull'acqua e sulla terra. Di Massimo Guastella

Il porto nella storia di Brindisi è stato un fattore primario, nodo di congiunzione Europa-Oriente attraverso cui si è sviluppata la civiltà brindisina, nei beni e nei mali economici, industriali, politici, militari, sociali, culturali, ambientali, turistici.
Prospettare una svolta autenticamente marittima, sia pur tardiva ma sperabilmente attuabile, della città d’acqua, distinguere gli scali commerciali e turistici da quelli industriali, significa delineare un’immagine di Brindisi nel Terzo Millennio, caratterizzata da un profondo radicamento alle sue identità storiche e da un compatibile, prossimo rilancio economico delle potenzialità portuali, con benefiche ricadute sulla comunità.
È auspicabile che:
1) il futuro non ci riservi problematiche tanto complesse da rallentare l’avanzamento dei progetti, come riportano le cronache di due differenti ma significativi casi di città sul mare quali il “Waterfront” per Genova di Renzo Piano e il complesso progettato fronte mare da Paolo Portoghesi a Caorle;
2) gli enti e le imprese coinvolti si liberino dagli onnipresenti soggetti Zelig, per citare con Woody Allen il camaleontismo tecnico-professionale di personaggi inadeguati e approssimativi di cui questa città dovrebbe fare finalmente a meno.
E qui mi fermo perché in questi giorni è stato detto e scritto dai preposti ai lavori ed è quasi tempo di passare ai fatti. Tuttavia lo spirito d’innovazione che il progetto “Città d’Acqua” comporta, per la visione d’alto profilo dello sviluppo urbano, suggerisce alcune considerazioni.
Sia perseguita la progettazione di un luogo fisico, urbano specifico come il fronte porto a patto che non sia disgiunta da una ordinata dialettica con l’intero tessuto cittadino.
Preme un aggiornato piano basato da una concreta riconsiderazione della “Città di Terra”, che sarebbe disastroso dimenticare. Come mi pare stia accadendo in questo frangente. Riqualificare il patrimonio urbanistico esistente, se possibile migliorarlo, salvaguardando aspetti ambientali e storici, dovrà essere il leitmotiv vincolante per vivere in modo corretto il territorio di appartenenza e non subirlo!
Innanzitutto si eviti di creare dualità nell’amplificare la “città d’acqua”; un rischio che si corre, noncuranti che la città è un tutt’uno, costruita sulla terra. Nell’unità a fatto si avrà contezza delle reali necessità economiche e sociali del territorio.
Non dubito che la città acquea includa tutta Brindisi. Ma percepisco sempre più forte negli ultimi mesi una sofferenza tra nuove edilizie, conservazione del passato, scarse manutenzioni, congestioni del traffico, che stride con la convegnistica recente. Questa per ora non prelude a seguiti che tengano conto del senso complessivo della città e delle correlazioni che, le parti edilizie tra loro e i quartieri tra loro, trattengono nelle dinamiche di trasformazione e tutela.
Certo mi si dirà: “Un passo alla volta”. Ma il tempo non sempre è galantuomo.
Fa un certo effetto notare il “Capannone Montedison” nelle locandine di studi sull’archeologia industriale or ora tenuti a Lecce: è affrontato tra esempi di approfondimento scientifico e divulgativo di recupero; consapevole che per un decennio la vicenda è stata vissuta a Brindisi come si trattasse d’un fastidioso baraccone. Ma non di meno patisco nella “città di terra” l’aggressione puramente speculativa perpetrata in taluni quartieri. Qualità dozzinale di edilizia che nei cantieri odierni aggredisce facies e funzionalità e identità. I Cappuccini. E poi il Casale. Come tacere di tale orripilante cementificazione. Nuove altezze sconquassano i rapporti con le strade realizzate per altre condizioni d’epoca.
Progettare significa mostrare creatività e sensibilità: non certo le casuali scatole multicolorate, anonimi tipi architettonici spavaldamente subentranti a isolate, superstiti abitazioni, rara memoria delle estetiche del secondo Ottocento primo Novecento, che resta il più fulgido periodo della moderna architettura cittadina. Si veda, per tutte, l’abitazione esistente all’angolo tra via Fulvia e via Pontinia e il progetto sorgente.
Cosa resta degli stabilimenti vinicoli, testimonianze dell’attività agricola e dell’economia della città per secoli?
Lo chiariscono le nuove residenze di via provinciale S.Vito. Né attenuano la personale ripugnanza le invenzioni di inglobamento delle vecchie facciate nelle erigende costruzioni (vedi via Bastioni Carlo V), l’utile “scivolo” in cemento armato a ridosso del Bastione S.Giacomo o il pretenzioso ma non tanto “gentile”, addossamento di nuove residenze all’ingombrante chiesetta di Cristo del Passo.
Che dire delle singolari interpretazioni architettoniche per cui il Casale, altro Waterfront, si distingue quale terra di conquista?
Nel mentre: incalza la mancata manutenzione di tanta edilizia recente, che evidenzia, di già, deprecabile abbandono; si estendono in ogni dove stigmatizzabili superfetazioni, anche a scapito di spazi pubblici!
Innanzi a inimmaginabile espansione edilizia non si rinnovano al contempo gli insufficienti assi viari, né si prospettano alternative, vedi il sottovia dell’aeroporto militare transito obbligato per le Fontanelle. Ciò ammorba la lettura più ampia del tessuto urbano.
Di tutto questo e altro ancora bisognerà farsi carico subito, senza far passare altro tempo: per non mirare solo orizzonti verso il mare senza guardarsi alle spalle!
Perché da oltre mezzo secolo, ossia da quando nel 1956 fu abbattuta la Torre dell’Orologio, Brindisi e brindisini sembra abbiano solo “perduto il tempo”.

MASSIMO GUASTELLA
Docente Storia dell’arte contemporanea, Univ. di Lecce


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