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Brindisi vista da...: Nicola Bellanova



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Brindisi vista da... » 13/10/2005

Nicola Bellanova

Seguo giornalmente gli aggiornamenti della entusiasmante rubrica “Brindisi vista da…”, che ritengo uno (se non l’unico) dei pochi strumenti a disposizione di giovani e non per esprimere la propria opinione sulle vicende socioeconomiche presenti e passate della nostra amata città.
E in tempi per di vacche magre se non anoressiche (culturalmente parlando), discutere e scambiarsi opinioni è già un buon punto di partenza… che siano critiche costruttive o mere considerazioni negative fine a se stesse non importa, almeno per ora: una sana, libera e amichevole discussione su temi di grande interesse collettivo così come lo è stato il rigassificatore rappresenta il germe di una crescita, se non proprio di una nascita, di una società civile e di una presa di coscienza dei giovani brindisini per troppo tempo assopita.
Sono un brindisino che da un anno risiede in provincia di Lucca, nella ricca e tranquilla toscana. Ho lasciato la mia terra natìa nonostante avessi un buon lavoro (almeno come busta paga), la famiglia, gli amici, e una laurea in scienze politiche conseguita a costo di grandi sacrifici non solo economici.
L’ho fatto innanzitutto per motivi affettivi, ma soprattutto perché ritengo che solo uscendo dal proprio guscio e fare esperienze nuove si può arrivare a capire davvero i mali di questa città, cercando delle soluzioni per limarli.
Certo qualcuno giustamente obietterà che la fuga di cervelli e forza lavoro attiva e volenterosa depaupera ulteriormente l’humus socioeconomico di una città già di per sé disastrata dal punto di vista occupazionale e culturale, ma io mi chiedo: cos’hanno fatto nel passato e pensano di fare i politici locali, gli “pseudointellettuali” che affollano i corsi ed i salotti buoni della città (ammesso che ce ne siano di salotti buoni), la gente comune per cambiare il senso di una deriva visibile agli occhi di tutti? Sia pacifico che ora non intendo assumere la posizione del classico emigrato che, dopo essere fuggito dalla miseria ed essere riuscito ad emergere, butta fango sulla propria terra di partenza rinnegando origini e pensiero, tutt’altro…
Anzi, per una volta voglio fare un ragionamento inverso, frutto di costanti contatti ravvicinati con una realtà molto diversa dalla nostra. Io vivo a Barga, splendido borgo seicentesco di 10.000 abitanti che basa la sua economia sulla fiorente industria della carta e sul turismo, ma che logisticamente è tagliato fuori dalle più importanti direttrici infrastrutturali della Toscana. Nonostante possa sembrare un fenomeno alquanto strano, anche l’opulenta Lucchesia ha conosciuto vasti ed imponenti fenomeni di massiccia emigrazione nei primi anni del ‘900, flussi diretti principalmente in Scozia, USA ed Australia.
Molti giovani abbandonarono la terra natìa rimboccandosi le maniche a migliaia di km di distanza, e tantissimi emersero a livello professionale, proprio come capita ai tanti brindisini sparsi per la penisola e per il mondo… Lassù, tanto per usare una metafora sportiva, hanno “fatto gruppo” con gli altri emigrati lucchesi precedentemente stanziati, attuando un’opera di proselitismo associativo talmente capillare al punto da costituire una vera e propria lobby, nel senso positivo del termine. Tornati dopo tanto tempo nella loro terra d’origine, hanno costruito sfarzose ville ed accumulato cospicue rendite, ma non hanno reciso il cordone ombelicale con l’estero, anche perché figli e nipoti vivono ancora oltremanica.
Quest’interscambio continuo tra madrepatria e “terra adottiva” ha creato un parallelismo informativo molto interessante non solo a livello sociologico, ma soprattutto a livello economico. Avendo nel tempo acquisito un certo credito e prestigio anche all’estero, la comunità di emigrati lucchesi ha dato una grandissima mano al territorio: partendo dal classico “passaparola” con gli amici stranieri, adesso questo splendido lembo d’Italia è divenuto la meta preferita dei vacanzieri americani, scozzesi ed australiani, e l’economia dei comuni interessati da questo fenomeno ha conosciuto un’impennata da fare invidia alle ben più rinomate Firenze, Pisa e Siena.
Un contributo importante per realizzare questo piccolo “miracolo” è giunto dalle istituzioni locali che, fiutando il buon vento dell’Atlantico, hanno posto le condizioni per far sì che questo fenomeno non resti un fuoco di paglia, ma addirittura crei un “effetto moltiplicatore” anche per i decenni a venire. Gli investimenti in infrastrutture, in opere di restauro e di marketing turistico e sociale poi hanno fatto il resto: sono spuntati ovunque locali e bed&breakfast (mentre fino a 10 anni fa c’erano soltanto qualche bar, 2 alberghi ed un mega centro turistico), storici palazzi trasandati hanno ritrovato il loro antico splendore, e soprattutto amministrazioni pubbliche e popolazione residente tessono giornalmente la tela dei rapporti con la folta e potente comunità di emigrati, vero motore di quest’ascesa.
Io penso, anzi sogno, che un discorso simile possa farsi anche per Brindisi, ma ho paura che resti solo un desiderio irrealizzabile. Abbiamo porto, aeroporto, strade scorrevoli, ma purtroppo mancano sia la mentalità del “fare sistema”, sia le condizioni sociali ed economiche favorevoli per cambiare radicalmente il corso della nostra città. Tralasciando l’atavico pensiero tutto brindisino dell’astensione a qualsiasi forma di collaborazione sociale in nome del principio del “futticumpagnu”, in effetti a cosa servirebbe costituire una “lobby” di brindisini al nord o all’estero, se poi queste sacrosante istanze vengono sistematicamente ignorate da una classe politica incapace di guardare oltre lo steccato delle combriccole del Palazzo?
O magari incentivare i turisti a venire a Brindisi e non offrire strutture alberghiere e ricreative adeguate?
Come si può convincere tanta gente lontana a scendere nel tacco d’Italia e spiegare loro che non ci sono problemi di ordine pubblico, e poi trovarsi davanti una famiglia inglese che qualche settimana fa mi fermò in Viale Aldo Moro con le lacrime agli occhi perché al ritorno da una passeggiata al Casale ha trovato l’auto depredata da tutti gli oggetti personali? Per non dire di quei tanti che conoscono Brindisi solo come un approdo per la Grecia (meno male che non sono aggiornati, altrimenti sapessero che abbiamo perso pure quella…), ignorando la storia e le potenzialità di questa città!
Parlando con alcuni miei amici che vivono a Lucca mi son sentito dire che conoscono Lecce ed Ostuni, di Brindisi nemmeno l’ombra, e purtroppo non sono gli unici che la pensano allo stesso modo! I miei sforzi dettati per amor patrio di illustrare e valorizzare la mia città nella quale sono nato e vissuto si sono mestamente infranti contro la consapevolezza che negli ultimi 30 anni non si è fatto niente per migliorare l’immagine di questo territorio, contrabbando e sbarco degli albanesi a parte…
Noi brindisini emigrati, statene certi, faremo la nostra eroica parte per sbandierare ai quattro venti le virtù di quella che fu l’opulenta Brundisium: politici, intellettuali e gente comune, ora tocca a voi fare il vostro gioco…
Progettare un cambiamento richiede tempi lunghi, ma le rivoluzioni si fanno coi piccoli gesti: non basta ideare grandi cantieri ignorando le piccole cose! Parafrasando un concetto tipico delle tifoserie sportive, “I sindaci e i cittadini cambiano, Brindisi resta”… Ma che non restino solo macerie!!!

Nicola Bellanova

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