Isola di G. Sciarra » 25/11/2005
Rigassificatore: l’acqua “torbida” di Capo Bianco
In questi giorni si fa un gran parlare dello spostamento del rigassificatore, come se fosse una cosa scontata, e nessuno pare rendersi conto che si sta parlando solo d’aria fritta. Puri vocalizzi, gorgheggi.
Perché dico così, perché l’attore principale tace, lo fa in seguito ad una precisa strategia, decisa da consulenti di prim’ordine, e applica tatticamente le sue mosse. Infatti, gli unici che potrebbero rendere concreta questa idea sono quelli della Brindisi LNG, che invece stanno alla finestra sogghignando per il bailamme che hanno scatenato. E’ evidente che l’azione diversiva messa in atto ha avuto un indiscutibile successo. La proposta, come si è detto, per essere concretamente credibile dovrebbe essere avanzata con la contestuale cessazione dei lavori a Capobianco: si ritira il progetto a Capobianco e, la società inglese, ne presenta un altro. A quel punto, sul nuovo progetto, ognuno dirà la sua, la politica svolgerà il suo ruolo, la popolazione il proprio. Si valuterà e si deciderà democraticamente. Tenendo ben presente che a Livorno hanno contestato l’impianto di rigassificazione anche off-shore a circa 15 miglia dalla costa.
Ma in questi giorni è intervenuto un fatto nuovo: la sospensione dei lavori relativi alla colmata per effettuare ricerche archeologiche nello specchio d’acqua antistante Capobianco. Sito, questo, notoriamente ricco di reperti debitamente catalogati e conservati presso il nostro museo archeologico provinciale. La necessità di effettuare dette ricerche fu sollevata dall’associazione Italia Nostra alla Soprintendenza alle Antichità e a chi toccava autorizzare i lavori di colmata, ma nonostante ciò non si agì per tempo, un po’ perché l’Autorità Portuale rispose con notevole ritardo alle richieste della stessa Soprintendenza (facendolo in maniera insufficiente e, addirittura, un paio di giorni prima dell’inizio dei lavori di colmata). Questo ritardo mise la Soprintendenza nelle condizioni di non esprimersi per tempo e consentendo alla LNG di dare inizio ai lavori. L’azione della società inglese è da considerarsi provocatoria oltre allo sfoggio di una scarsa considerazione nei confronti della città e dei suoi abitanti. Atto compiuto, presumibilmente, anche per saggiare la reazione della città.
Ora si sospendono i lavori, e sia chiaro ciò non può essere considerato come un gesto di buona volontà della LNG (bontà sua) nel cercare il dialogo col territorio, ma un atto dovuto per il rispetto di leggi e norme con la seria probabilità, per averlo compiuto tardivamente, d’aver procurato dei danni.
E a proposito della reazione popolare, occorre notare che se in Val di Susa bastò annunciare l’intenzione di procedere a dei semplici carotaggi, propedeutici alla costruzione della TAV, per far scendere in piazza migliaia di cittadini con i sindaci alla loro testa, qui non è stato così.
E chi sa se non è proprio questa peculiarità dei brindisini, questo “ventre molle” – come dice il sindaco Domenico Mennitti - che attira gli “investimenti” più eterogenei.
Quegli investimenti poco graditi altrove qui diviene più facile imporli.
Ma ritorniamo alle ricerche che, da quel che si dice, dureranno una ventina di giorni. Una durata che appare francamente risibile, infatti, viene spontaneo chiedersi come possa essere mai possibile ispezionare un’area sottomarina di 30 ettari in così breve tempo, quando tutti sanno che se in un qualsiasi cantiere edile salta fuori un qualsiasi “coccio” sono mesi di fermo. E poi quali attrezzature saranno usate? Sarà un’indagine solo visiva, un rilievo del fondale o sarà usata la “sorbona” che è una sorta di grosso aspirapolvere per togliere il primo strato di sabbia per vedere cosa c’è sotto. Tutti i ritrovamenti archeologici sottomarini sono stati fatti per lo più fortuitamente: oggi passi su un determinato punto e vedi qualcosa, domani non si può essere assolutamente certi di veder le stesse cose.
Senza considerare che una parte della zona ispezionabile giace sotto una “coltre” di pietrisco, e chissà se proprio la sotto non si nasconda qualcosa di estremamente importante, pertanto se si è ritenuto giusto assolvere a questa necessità per tutelare un bene collettivo si faccia il proprio dovere sino in fondo. Cioè in base allo stesso legittimo principio sarebbe opportuno, per una ricerca seria e affidabile che si ripristinasse lo stato precedente dei fondali. A Monfalcone le associazioni sono riuscite a opporsi con risultati positivi ad un impianto simile grazie alla vicinanza di questo con una zona archeologica.
Personalmente mi sento di fare un solo augurio: che gli “inglesi” siano trattati come qualsiasi cittadino italiano senza santi in paradiso.
Giorgio Sciarra
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