Approfondimenti » 15/12/2012
Il richiamo. Di Guido Giampietro
Quello che muoveva i miei passi nella calda serata estiva non era l’idea di gustarmi, di lì a poco, un documentario di Edoardo Winspeare nella frescura del cortile del Museo cittadino. Nossignore. Malgrado tutta l’ammirazione per il regista austro-anglo-italico ˗ il “mujaheddin del Salento” come lo definiscono a motivo della sua attenzione per l’ambiente ˗ mi recavo all’appuntamento, lo confesso, con un intento molto poco culturale: quello di accertarmi del tipo di fauna presente sul posto!
È da un po’, infatti, che vado facendo questa ricognizione tra i siti estivi che la città mette a disposizione in occasione di eventi del genere. Così, per esempio, ho già avuto modo di appurare che il cortile interno all’ex convento di S. Chiara ˗ uno dei luoghi deputati alla presentazione di libri e all’incontro con gli autori ˗ è un ritrovo di sfilate di pantegane intente ad esibirsi in spericolati esercizi di equilibrismo sui cornicioni, all’insaputa degli autori e presentatori che si trovano qualche metro più sotto.
A differenza dell’area retrostante la Casa del Turista che, in occasione di analoghi incontri, offre al pubblico tendenzialmente distratto lo spettacolo di bulimiche zanzare, insieme a quello di gatti smagriti per i quali sarebbe salutare ˗ se solo qualcuno si prendesse la briga d’informarli ˗ una capatina dalle parti del viciniore cortile di S. Chiara.
Di tutt’altra natura, invece, la cornice che offre lo splendido chiostro dell’Archivio di Stato. Qui i tardi pomeriggi di mezza estate aggiungono alla bellezza della fuga delle colonne in càrparo dell’ex convento teresiano e alla delizia degli incontri musicali o letterari la poesia dei voli di garrule rondini sullo sfondo d’un fazzoletto di cielo che fa da romantico tetto.
Per completare la mia indagine faunistica mancavano, tra i vari contenitori culturali, il cortile dell’ex Seminario e, per l’appunto, quello del Museo Archeologico Provinciale “Ribezzo”. Perciò, il fatto che quella sera venisse proiettato il mediometraggio “Filia solis”, mi lasciava abbastanza indifferente sui contenuti del film, attento com’ero a scoprire da quali animali fosse frequentato il posto.
Intanto, nell’attesa del loro arrivo, la mia mente piacevolmente vagava. Quel “Filia solis” si riferiva al saluto (“Filia solis, ave, nostro gratissima cordi”) che Federico II rivolgeva alla diletta Brindisi (anche se si trattò d’un amore a senso unico; ma questo, purtroppo, è il destino di molti amori). Così il pensiero correva al “fanciullo di Puglia” che proprio qui aveva voluto convolare in seconde nozze con Jole, figlia di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme. E al magnifico castello (quello Svevo, per l’appunto) che, sempre qui, volle edificare, insieme al palazzo della Zecca. Avendo cura di emanare quell’editto del 1222 con cui ordinò che le monete coniate a Brindisi avessero corso nel commercio interdicendo, di fatto, quello dei tarì di Amalfi.
E mentre mi inorgoglivo al pensiero di quanto Brindisi fosse importante a quel tempo, preceduto da una breve presentazione di Winspeare e della “nostra” (nel senso di brindisina) co-regista Paola Crescenzo, inizia la proiezione del backstage e, un momento dopo, di questo filmato (a metà strada tra uno spot pubblicitario e una fiction) commissionato dalla passata Amministrazione Provinciale con finalità di promozione turistica.
Subito i primi fotogrammi e le note della colonna sonora “Venti” m’incantano mentre le scene che si susseguono continuano a narrare la delicata storia d’amore con la città e gli altri centri della Provincia. Un po’ come ha fatto Scarlett Johansson con “These vagabond shoes”, col quale ha debuttato nella regia raccontando, in un corto in bianco e nero di sette minuti, la sua New York.
“Il cinema è un sogno” diceva Mario Soldati al critico francese Jean Gili che lo intervistava. E così mi chiedo se il “mestiere” di Winspeare abbia trasformato in fiaba una realtà già di per sé bella. O se, invece, la luce particolare di questa terra e la musicalità e i profumi che si ha la sensazione di avvertire durante la proiezione sono proprio quelli reali che la bravura del regista ha solo saputo imprigionare nel breve spazio di un dvd.
E quando la freschezza interpretativa di Viviana Guadalupi (anch’essa brindisina doc) induce l’ammaliato visitatore milanese a proferire ˗ un po’ storpiandola ˗ una mezza frase nel dialetto nostrano, l’effetto scenico raggiunge il culmine. Sembra di trovarsi nell’affumicato locale della Casablanca di Humphrey Bogart (quello in cui le pale del ventilatore faticano a muoversi nell’aria pesante e i tasti del pianoforte suonano stancamente accompagnati dalla voce roca del pianista) nel momento in cui si ode un’altra famosa frase: “Suonala ancora, Sam”. Ecco, il brivido che ora scende lungo la schiena è lo stesso provato allora. E non l’avverto solo io, ma tutti quelli che insieme a me assistono alla proiezione.
Quando, più tardi, mi allontano da piazza Duomo sono frastornato e ho ancora impresse nel cuore le visioni dei magici luoghi del filmato. Fosse per me ˗ e non è certo un campanilismo démodé a suggerirmelo ˗ questo “Filia solis” meriterebbe una nomination all’Oscar... E la visione mi ha talmente preso che mi sono perfino dimenticato degli animali del Museo. C’erano? Magari preistorici come quelli di “Una notte al museo” di Shawn Levy! Vorrà dire che lo scoprirò al prossimo evento culturale. Intanto, mentre piacevolmente mi perdo tra i vicoli del centro storico arriva l’“illuminazione” come quella di Paolo sulla strada di Damasco.
Se il film ˗ penso ˗ in pochi minuti ha suscitato tanta commozione negli animi degli spettatori perché non usarlo come richiamo? Non di turisti intruppati e disattenti, però. Ma dei nostri ragazzi che, per lavoro o per studio, sono sparsi da Roma in su! Non occorre certo il “Rapporto sull’economia del Mezzogiorno” presentato dallo Svimez ˗ l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno ˗ per rendersi conto dell’esodo quasi biblico dei nostri giovani verso il Nord. Non occorre perché è stato sufficiente vedere in televisione lo spettacolo degli oltre mille ragazzi brindisini giunti a Rimini da tutto il centro-nord in occasione d’un incontro di basket per rendersi conto di quanto sia grande l’attaccamento degli “esuli” a questa città.
E allora, come si fa con gli zufoli e i vari arnesi per il richiamo degli uccelli, perché non servirsi di questo “Filia solis” per adescare la nostra migliore gioventù e convincerla che qui, e non a Milano, deve trovare sfogo la loro creatività? Che qui, dopo le esperienze maturate altrove, è bene rientrare. Al fine di ridare lustro a un territorio in cui, al momento, si respira più passato che futuro. E gridare al vento che Brindisi “Non è il paese per vecchi” di cui parla Cormac McCarthy nel suo romanzo.
E allora perché l’Amministrazione Provinciale non si adopera affinché il dvd “Filia solis” (prodotto, a quanto è dato sapere, solo in qualche centinaio di copie) possa essere liberamente acquistato sul mercato? Non è forse preferibile che, ancora prima della BIT di Milano (o di qualsiasi altro forum sul turismo) il film sia visionato dai nostri emigrati d’ultima generazione al fine di ridestare in loro, più che l’orgoglio, il sottile piacere della brindisinità?
In seconda battuta tutte le Istituzioni locali ˗ nell’ambito delle strategie atte a delineare il futuro dell’intera Provincia ˗ dovranno porsi delle priorità affinché, nella gestione della corta coperta della spesa pubblica, il problema dell’occupazione dei giovani assurga ad obiettivo principale. Non è forse più giusto l’inserimento dei giovani nel tessuto lavorativo del nostro territorio prima ancora dell’eventuale ritorno d’un turismo che, coi tempi che corrono, sarà più “mordi e fuggi” di quello del passato?
E non mi si venga a dire che non c’è lavoro. Perché qui c’è lo stesso, identico lavoro precario che c’è altrove! E poi, se è auspicabile che Brindisi torni ad essere la naturale porta verso l’Oriente, che siano i giovani ˗ con idee nuove e tanto entusiasmo ˗ a gestire questa transizione. Perché, non dimentichiamolo, sono i giovani a parlare la lingua del futuro, mentre tutti gli altri balbettano appena quella del presente.
Il filosofo tedesco Dahrendorf diceva che “le speranze che non si colorano di realtà sono illusioni”. Sta a noi far sì che ciò non avvenga.
GUIDO GIAMPIETRO
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