Home | Le notizie | Lo sport | I canali | Le tue foto | Brindisi Links | E-mail |

.Le news di Brundisium.net
.Lo sport: calcio, basket, volley

.I canali di Brundisium.net:

...· Approfondimenti
...· Appuntamenti
...· Arte
...· Beauty & Wellness
...· Brindisi vista da...
...· Cinema
...· Economia
...· Formazione e Lavoro
...· Frequently Asked Questions
...· Isola di G. Sciarra
...· Le tue foto
...· Libri
...· Musica
...· Personaggi
...· Poesia
...· Pubblica utilità
...· Salute
...· Scompartimento
...· Stelle e Strisce
...· Teatro
...· Università
...· Viaggi
...· Video

Brundisium.net
.Ti dico la mia
.Saluti
.La bacheca del calcio
.Il tabellone del basket
.Il muro del volley
.Baci e carezze
.Alma Mater
.La Chat di Brundisium.net
.Indice del sito
.Invia le tue foto
Brundisium.net
Approfondimenti: Le trasformazioni urbane: simbolismo e fattualità. Di Emanuele Amoruso



Ultime pagine I canali Ricerca

Approfondimenti » 02/03/2006

Le trasformazioni urbane: simbolismo e fattualità. Di Emanuele Amoruso

Da qualche mese sono frequenti le occasioni di ripensamento della dimensione urbana e delle linee che dovrebbero “ispirare” gli interventi per lo sviluppo, non solo della forma città ma del più generale assetto – vocazione – e del futuro del territorio.
L’idea della “città d’acqua”, cioè di una nuova proiezione/funzione dell’agglomerato urbano verso il cosidetto “fronte mare” e più recentemente le varie manifestazioni a “ricordo” della demolizione del ’56 della “Torre dell’orologio”, richiamano l’attenzione sui processi di continua sostituzione/trasformazione e sui “desiderata” della città immaginata.
Le domande che si pongono attengono alla retorica del caso: come evitare”abbattimenti” sconsiderati, cosa ci insegna la Storia, quali criteri “guida” adottare nel trasformare e perché. Di solito il “dibattito” su questi temi resta confinato all’architettura, all’urbanistica e quando entra la Storia l’accento è posto più sugli aspetti del “c’era una volta” che su quanto essa sia invece un discontinuo processo di perfettibilità. Altro approccio a questi temi è quello “culturologico”.

Il processo di trasformazione è sostanzialmente “culturale”, discende da “valori “ e opzioni di “senso” che trovano nel confronto di “posizioni/interessi” la gamma delle opzioni possibili e la fattibilità concreta.
Come processo culturale esso attiene alla “idea” che noi abbiamo della cosa in esame e cioè di come “creiamo dei significati”, di come stiamo al mondo, di come vogliamo che esso sia. Per questo la riflessione investe non solo l “oggettività” del caso, ma inerisce alla modalità soggettiva del confronto con l’oggetto. Ciò induce a cercare le “chiavi” per traslocare concettualmente dagli effetti alle complesse dinamiche causali delle nostre azioni, per tentare di “vedere” la cosa dinamicamente, non isolabile, sotto gli effetti della “ragione” ma anche dei “sentimenti”.

Oltre che attori razionali gli individui modificano i significati divenendo “utenti di simboli” che nella costruzione di “senso” plasmano la stessa “azione razionale” in un processo continuo in cui la struttura e le dinamiche sociali, da una parte, e la cultura, dall’altro, si influenzano reciprocamente.
Ciò è del tutto evidente nella specifica questione della “torre dell’orologio” che nonostante sia sopravvisssuta due secoli e pur essendo “nata” anche come “simbolo civico” della municipalità, oltre che con la funzione di scandire il tempo della modernità (l’orologio si diffonde proprio come segno di questa epoca storica che “si libera” dai vincoli della visione “ciclica” degli accadimenti e dei destini e li ascrive all’operosità razionalmente scandita), non ha retto alla prima “scossa” che la (tutto sommato debole) “modernizzazione” degli anni cinquanta le ha inferto.

La “torre” non aveva sufficiente forza simbolica per il corpo sociale così come non ebbe “forza” in quegli stessi anni il novecentesco “Teatro Verdi”. E qui per forza si intende quanto sia socialmente “sentito” un simbolo, un’idea che “combatte” altri simboli e idee ( in quello stesso periodo si “demolivano” anche tanti altari barocchi e negli anni ’70 le “feste patronali” ebbero una fase di marginalizzazione).

Ora, i simboli perché divengano tali hanno bisogno di essere continuamente “ricostruiti” e ciò è legato indissolubilmente con la questione dell’ “identità”.
La dimensione simbolica non è estranea alla vita sociale, all’esperienza quotidiana degli abitanti e finisce con il costituire un punto di riferimento che struttura e condiziona l’attività sociale stessa. Il rapporto non procede solo dai simboli verso il corpo sociale, perché questi con la propria attività e con la stessa “eterogeneità” dei comportamenti contribuisce a riprodurre-rigenerare ma anche a modificare in continuazione i simboli stessi connessi con la città.

Essere nativi, vivere in una città o in quartiere mette in rapporto con un insieme di simboli che posssono rappresentare tutti ma anche solo una parte, a volte piccola: per questo la costruzione dell’identità collettiva e individuale è un complesso agire di valori e di senso che può essere ampiamente condiviso oppure no.
Per questo non bisogna mai “soffermarsi” a lungo sulla ricerca dell’identità perché è essa stessa soggetta alla duplice azione di significati e cambiamenti che per loro stessa natura mutano continuamente, così come accade alla stessa “ricerca”.

Certamente simboli e identità favoriscono “sentimenti” di appartenenza territoriale sino a divenire una sorta di “stigmatizzazione” di un territorio e di quanti lo abitano: stigma, si badi bene, che può essere positivo ma anche negativo (soprattutto agli occhi degli “altri”). Gli esempi, nell’ultimo mezzo secolo di vicende urbane, sono diversi (industrializzazione imposta, contrabbando, alto rischio ambientale e “colonizzazione”, porto per la Grecia, sfera“politica” affermata e consolidata come disvalore, ecc.) ma non si può sfuggire “volontaristicamente e moralisticamente” dalla “fattualità” dei processi di identità.
Essa non è una qualità astratta ma è prodotta dall’agire concreto degli individui e delle istituzioni: tutti lasciano “tracce” materiali ed immateriali, datate e dell’oggi, individuabili ma anche indistinte.

Per questo non aiuta molto entrare nel passato, recente o remoto, con i lucciconi agli occhi: il disagio che oggi alcuni provano di fronte al presente non può che essere affrontato a “occhi asciutti”, cercando nello stesso presente quanto “condizionerà” l’individuazione di “senso” per il tempo a venire, piuttosto che arcaicizzarlo. E’ recentissimo l’intervento su Piazza Vittoria, trattata come fossimo ancora negli anni ’50 (per inesistenti uomini con le coppole e bambini pronti per la foto all’angolo del Banco di Napoli).
La stessa elaborazione simbolica dello spazio vitale non ha bisogno delle “prèfiche” che aiutano solo ad elaborarne il lutto mentre c’è bisogno di “visioni” su cui tentare di costruire un corpo di “apparati” cognitivi comuni che sappiano interrogare la “complessità” del divenire contemporaneo, valutando ipotesi progettuali non episodiche né parziali. Vi è sempre un attrito, uno scontro infine utile tra “tradizione e innovazione”, spesso “imbalsamato” quando uno dei due termini è insufficientemente coniugato.

Ogni costruzione di “senso” non può prescindere da un dato “dentro” la forma attuale del postmoderno: la conoscenza è una forma d’azione, la modifica e ne è modificata. Nulla più accade intorno a noi come puro “fatto” né si presenta come puro “oggetto”: in tutto si incorporano intenzioni, significati, orientamenti, decisioni, dimensione razionale e “spiriti animali”. La stessa distinzione tra sociale e naturale non è più netta né stabilibile a priori, così come, si spera da tempo, sembrerebbe che il “pensiero” unico non riesca più a “dominare” la realtà.

Nell’epoca dell’incertezza cade il dogma dell’ “o….o” e dobbiamo prendere confidenza con la prassi dell’ “e…..e”. Tutto ciò pone una domanda forte alla Politica, ovviamente quella “buona”: quale “nuovo” ruolo deve svolgere per favorire un rapporto non “standardizzato” e fissato nelle abitudini correnti delle pratiche sociali e delle concettualizzazioni acquisite. Porre con forza la ricerca di “nuovi paradigmi” che ci liberino dalle risposte datate, banalmente copiate e non più spendibili.

Come può la Politica essere”creativa” nei metodi, contenuti e prassi, da sperimentare-affermare, perché si possano “liberare” le energie sociali, di ogni tipo, acché queste partecipino alla conoscenza – azione del contemporaneo?

Emanuele Amoruso


Ultime pagine I canali Ricerca

Rassegna stampa
Brundisium Tv
Sfondi per il desktop
Fiamma - La sala giochi
Brindisi Links


Chi siamo | Contattaci | Credits | Note per gli utenti | Indice del sito | | Brundisium.net in home page