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Approfondimenti: "Caso Gismondi: quando l'aggressione diventa un martirio" di Dario Bresolin



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Approfondimenti » 15/05/2006

"Caso Gismondi: quando l'aggressione diventa un martirio" di Dario Bresolin

Che l’aggressione ad un funzionario comunale sia un atto da condannare, ditemi dove si firma che firmo anche io. Ma che il funzionario comunale vittima dell’ennesima, non credo l’ultima, aggressione sia da martirizzare mi risulta difficile da accettare.
Anche perché, da utente dei servizi di quella ripartizione non ho avuto mai il piacere di incontrare questa nuova “dirigente”.
Non l’ho mai incontrata in nessuno degli almeno quindici tentativi di raccolta informazioni per una pratica, riguardante la mia famiglia, evasa dalla precedente gestione del Comune di Brindisi in due mesi e mezzo e, dopo opportuna riformulazione (tre certificati in più rispetto alla domanda precedente), in soli mesi sei.
Non sono nemmeno riuscito a complimentarmi con la Signora Gismondi per aver europeizzato questi tempi di lavorazione e, soprattutto, per aver in così poco tempo modificato completamente quel clima di serena accoglienza che animava l’Ufficio Invalidi Civili prima del suo avvento, cosa di cui, personalmente, non ho mai capito il perché.
Meglio, il perché lo sanno tutti ma non è venuto fuori in nessuno degli interventi “di rito”, stampa compresa, che hanno animato le ore immediatamente successive all’aggressione.
Vile aggressione, certo, e certamente da parte di qualche “disgraziato”, così è stato etichettato quel tipo dalla voce memorabile che “forse” è un cittadino di questa “città”. Criminale sì, ma cittadino comunque.
Non credo che ci siano persone che si alzino al mattino e decidano di aggredire un funzionario comunale, a meno che queste persone non siano state trattate come cani randagi nel momento in cui potevano esercitare un diritto. E a meno che qualche funzionario “minimo”, all’interno di un ufficio comunale, in preda ad un malcelato disturbo psicologico, non lo abbia trattato malissimo. Lo hanno fatto anche con me in uno spazio pieno di cartelle volutamente immobilizzate in Via Tarantini. Non ridete, ma per mesi sono stato in grado di sapere dove fosse fisicamente la mia pratica perché era sempre allo stesso posto, in attesa dell’esame da parte del dirigente. Questa la motivazione offerta.
Però devo anche ammettere che, sempre all’interno di quello spazio, mesi prima ero stato trattato da essere umano e da cittadino, ed insieme con me anche altre persone prima di me mentre ero in fila.
Mi spiace che l’aggressore sia scappato. Al suo posto sarei rimasto lì in attesa delle forze dell’ordine, avrei chiesto di verbalizzare la mia “storia” con l’ufficio in questione, avrei chiesto di indagare sui metodi applicati, avrei chiesto come mai tanta lentezza e avrei chiesto anche perché omaggiare lo stesso ufficio di diecimila euro per recuperare le pratiche pregresse. Mi sarei fatto carico di una denuncia ma, nello stesso tempo, ne avrei fatta una anche io, no?
E forse anche altre persone si sarebbero fatte avanti per denunciare una diversa viltà, quella della continua offesa porta al cittadino a causa della mancata o inesistente organizzazione di un ufficio che deve istituzionalmente interfacciarsi con chi ha bisogno. E sono convinto che l’imposizione di una figura politica nemmeno tanto rappresentativa, titoli a parte, in un ruolo così delicato pur rispondendo a “logiche di partito”, e anche qui entrambi i termini sono fin troppo abusati, non sia stata una decisione rivolta, se non al bene della collettività, almeno al rispetto del dettato costituzionale.
E anche il consumarsi di questo tipo di reato da parte di un cittadino indica quanto manchi alla nostra città la politica vera, quella fatta di uomini e donne che siano forte esempio di vita e di morale, non di meschine figure da quattro soldi, faccendieri o miseri cortigiani del sovrano di turno.
L’atto criminale dell’aggressione è previsto dal codice. Ma quanti atti civilmente ed umanamente deprecabili, non previsti da alcun codice, sono stati perpretati prima di quello “ufficialmente” criminale?
Un gesto finalmente politico e di grande civiltà sarebbe quello, da parte del funzionario “vittima”, di chiedere ospitalità in Consiglio Comunale e comunicare, nella solennità istituzionale, la sua volontà di ritirare la denuncia. Varrebbe a chiedere scusa a tutti per tutti i maltrattamenti “istituzionali” operati sino ad oggi. La gente, quella vera e che si trova in vere difficoltà, capirebbe finalmente che dall’altra parte possono esserci persone con una sensibilità umana e non robotica.
Si tranquillizzerebbe e si sentirebbe più sollevata, capita, accolta e rispettata. Però, in questo come in altri uffici di questa benedetta “casa comune” che sembra spesso proprietà privata di pochi, mi piacerebbe vederli lavorare come fanno coloro che lavorano nelle amministrazioni di tutte le città, anche le più disgraziate.

Dario Bresolin


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