Approfondimenti » 03/11/2012
Concerto di gala all’Associazione Down. Di Guido Giampietro
L’invito, informale, mi aveva incuriosito: assistere, da cronista, ai laboratori di musicoterapia ed informatica frequentati dai piccoli affetti da sindrome di Down. Ma quali piccoli?, mi sono detto quando mi sono trovato al cospetto di scriccioli di appena tre-quattro anni d’età. E costoro, seppure con l’ausilio d’una musicoterapeuta ed altre operatrici, dovrebbero suonare? Mah!
Mi accomodo in sala e subito noto la “stranezza” che i genitori – a parte i papà dei due più piccoli – si sono volatilizzati. Nessuno, mi viene detto, può assistere ai “concerti”. Fa parte del disciplinare. Il sottoscritto, per il fatto che dovrà scrivere un pezzo, costituisce dunque un’eccezione. Non so se devo ritenermi un privilegiato o cosa. So soltanto – questo sì – di sentirmi un po’ a disagio.
Gli orchestrali, sì insomma i bambini, prendono intanto posto per terra, vicino ad una pletora di strumenti musicali messi in un apparente disordine come se si trattasse d’una esposizione in un mercatino della domenica. E anche le operatrici, come donne Cheyenne attorno al falò, si siedono a gambe incrociate. Il mio disagio aumenta ma, con la scusa che devo scrivere, rimango ben ancorato alla mia seggiola. Ci mancherebbe anche questo!
Intanto alcuni orchestrali, come dei veri professori, cominciano a prendere confidenza con gli strumenti. Dubito che sia per accordarli. Un paio, al contrario, disdegnano qualsiasi approccio. Ancora qualche minuto e poi il maestro concertatore, la musicoterapeuta Silvia, comincia a dirigere. Un primo, lieve colpo di tamburo sembra non interessare ad alcuno. Segue, allora, un altro colpo un po’ più deciso, accompagnato da un sorriso ammiccante e da un invito più coinvolgente. E a questo risponde Rebecca. Un momento dopo, con uno scarto da purosangue, il maestro cambia attrezzo ed ora i colpi di nacchere sono due. E questa volta è Martina ad unirsi timidamente al piccolo gruppo. In breve, continuando a passare dallo xilofono alle maracas, dal tamburello al bongo, si associano anche Riccardo, Camilla e, con qualche titubanza, anche il più piccolo dell’orchestra, Nicola.
Con la complicità delle altre operatrici, Anna e Valentina, il quadro è ora completo ed i suoni – non rumori! – chiari e piacevoli. Ma, quello che più meraviglia, è il coinvolgimento dei bambini che vivono intensamente quello che fanno e, soprattutto, vincendo le iniziali ritrosie, cominciano a socializzare tra di loro. In questo contesto, a darsi più da fare, sono proprio le operatrici. Bambine tra i bambini! D’altro canto non è stato Saint-Exupery a dire che “tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”? È solo un’impressione, però; ché subito mi rendo conto che, mentre strimpellano, in effetti lavorano: per capire i comportamenti di ciascun bambino e forzare dove è necessario o lasciare andare dove è più giusto.
In un momento di autoesaltazione credo di cogliere ciò che differenzia questa orchestra da una fatta di soli grandi. Mentre questi ultimi suonano per gli altri, i bambini lo fanno per se stessi. Per scoprirsi e confrontarsi. D’altro canto, come dice Carlo Orff, “la musica non è soltanto musica ma è legata al movimento, alla danza, alla parola creativa” e facilita la socializzazione, stimola e favorisce le acquisizioni delle abilità cognitive di base, il rispetto per se stessi e per gli altri, la capacità di ascolto per una buona ed efficace comunicazione e relazione.
Ora mi sento proprio a mio agio e se non mi siedo per terra anch’io è perché un filo di razionalità mi dice che non faccio parte del gruppo. Purtroppo! Mi consolo pensando d’avere comunque un vantaggio sui genitori che sono rimasti relegati in sala d’aspetto… I genitori! Ed il pensiero corre a quelli che non sono lì; a quelli che, per un malinteso senso della privacy o un eccessivo attaccamento verso i loro figli, sono ancora oggi riluttanti ad affidarli ad organismi quali l’Associazione Persone Down. Se sapessero quanto bene ne verrebbe ai loro bambini/ragazzi se frequentassero questi laboratori! Se si affidassero completamente a questo personale professionalmente qualificato e, soprattutto, dalle straordinarie qualità umane.
Torno ad osservare i piccoli. Si sono come trasformati. Rispondono con due colpi ai due colpi di tamburo di Silvia. Qualcuno rulla con inaspettata vigoria, alla Tullio De Piscopo. Vorrà dire di certo qualcosa ma questo esula dal mio compito. Poi, quasi a tradimento, giunge la fine della lezione. Ma non del pomeriggio ché ora i piccoli passano nel laboratorio d’informatica, arredato a loro misura. Cosicché, se voglio continuare a stare seduto, devo farlo su un seggiolino alto una ventina di centimetri. Qui i piccoli imparano a dialogare con due computer che, con disegni, colori e suoni, stuzzicano la loro fantasia e la loro sete di conoscenza che è uguale, se non più grande, a quella di tutti i bambini del mondo.
Prima d’andare via una operatrice mi chiede al volo che idea mi sia fatta del loro lavoro (di volontari, è il caso di precisare!). Forse ancora frastornato dai colpi di tamburo rispondo che è la loro “disumana” pazienza ad avermi colpito. Più tardi, quando metto ordine agli appunti, sento di dover fare una correzione. È l’amore la componente principale della loro attività; lo stesso che, in un circolo virtuoso, ricevono dai bambini.
Guido Giampietro
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