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Approfondimenti: Quattro stoccafissi ed un baccalà. Di Oreste Pinto



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Approfondimenti » 24/10/2006

Quattro stoccafissi ed un baccalà. Di Oreste Pinto



E’ proprio una città strana quella di Brindisi.
Davanti a situazioni degne di maggior attenzione e di sicuro dibattito (la caduta di 23 posti nel rapporto ecosistema Urbano di Legambiente, la questione rigassificatore ancora irrisolta, l’annoso dramma occupazionale, la zoppicante posizione di un Sindaco passibile di "blind trust" sulle convenzioni energetiche, la decisione sul nuovo presidente dell’Autorità portuale, l’apertura del Nuovo Polo Universitario) non trova di meglio che infervorarsi in una polemica su quattro statue che, con tutto il rispetto per Alessandro Fiordegiglio, non hanno mai posseduto un valore artistico tale da decretare il loro ingresso in pompa magna nei libri di storia dell’arte.

Il merito -e lo dico senza sarcasmo- è di Senzacolonne, quotidiano brindisino diretto egregiamente da Gian Marco Di Napoli. Nell’edizione di Mercoledì 19 Ottobre, con grossa evidenza in prima pagina e con un articolo a firma del bravissimo Massimiliano Iaia, si rivelava alla città che nel corso delle operazioni di rifacimento della facciata del duomo, le statue dei Santi Teodoro, Lorenzo da Brindisi, Leucio e Pio X "si sarebbero sbriciolate danneggiandosi irreparabilmente".

In mancanza di immagini fotografiche, quel che risultava evidente era che le statue erano state rimosse dalla posizione in cui erano state sistemate 49 anni prima; un’operazione confermata dal responsabile dei lavori, l’ingegnere Pasquale Fischietto, che giustificava la scelta nella necessità di un restauro visto che le sculture "avrebbero perso qualche pezzo con il passare degli anni".

Nei giorni seguenti, con una mossa giornalisticamente perfetta, Senzacolonne, attraverso editoriali, interviste ed articoli, continuava a battere il chiodo sulla notizia affiancando immagini e voci di indubbia presa sul cittadino/lettore (distruzione delle statue a colpi di martello automatico, pezzi di sculture in discarica) ad alcuni aspetti probabilmente più realistici: il simbolismo delle statue ed il silenzio della curia.

Ma mentre il giornale di Di Napoli giustamente invocava la possibilità di scattare le foto alle statue o a quel che ne rimaneva, Sabato 21 Ottobre, con una mossa a sorpresa, il Nuovo Quotidiano di Puglia pubblicava alcune immagini delle derelitte sculture ed un’intervista all’arch. Pignatelli, direttore dei lavori di restauro.

Si apprendeva, allora, che sulla sommità del duomo saranno poste una croce luminescente e quattro "nuove statue, in sostituzione di quelle del ’57 cadenti letteralmente a pezzi perché lesionate in tutte le armature e piene di micro e macro fessurazioni in corrispondenza degli appoggi, del collo, degli arti e della testa, con i ferri sporgenti e il materiale scadente fatto di semplici colate di calcestruzzo a calco”. Alle opere starebbero lavorando due professionisti: il professor Francesco Fiorentino e Giovanni Rollo.

Fine della storia? Certo che no. Scontato dividersi tra favorevoli e contrari al presunto abbattimento o alla reale sostituzione delle statue. Noi brindisini siamo fatti cosi: tanto amanti delle elucubrazioni mentali spesso fini a se stesse quanto ostentatamente orgogliosi delle nostre tradizioni, siano esse storiche, artistiche, religiose, culturali, letterarie.

Ci teniamo cosi tanto che stiamo ancora a discutere se, sulla colonna romana, stia meglio il capitello originale o quello taroccato.

Intanto il vero capitello è sempre nascosto alla vista di tutti, il monumento al marinaio è pieno di erbacce, i due castelli non fruibili al pubblico e chi più ne ha più ne metta...

Ma sì, dai...continuiamo così... che ci frega se con l’Università a Brindisi studiare (e portare soldi) fuori diventa una scelta e non un obbligo; che ce ne fotte se si muore di tumore per la grande quantità di finissima polvere carbone che respiriamo; convinciamoci che quei quattro stoccafissi che nemmeno riuscivamo a vedere abbiano avuto per tutti noi un altissimo valore patrimoniale, culturale e storico.
Perché il baccalà non sia mai chi non è in grado di affrontare gli effettivi bisogni di un territorio o valorizzarne le reali peculiarità, ma colui che prova rimorso e rimpiange la perdita di valori che crede di aver posseduto.

Ore.Pi.


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