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Stelle e Strisce: Iraq: Quale vittoria?



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Stelle e Strisce » 09/12/2006

Iraq: Quale vittoria?

Sono mesi che continuo a sentire i commenti di numerosi analisti politici americani che continuano a riferirsi all’Iraq come all’ennesima sconfitta dopo Corea e Vietnam.

Fa da contraltare ovviamente l’ormai isolata voce del Presidente degli Stati Uniti che dice “rimarremo fino alla vittoria”.
Che si parli di sconfitta o di una possibile eventuale vittoria, non si capisce bene su cosa e su chi. Se fossi consigliere della casa bianca, avrei evitato di entrare in una pericolosa contrapposizione ideologica e sintattica come questa. Si potrebbe dire che la vittoria c’è già stata: il dittatore Saddam Hussein è stato rimosso e l’Iraq libero ha votato un parlamento in maniera democratica.

Se per vittoria si intende invece la totale stabilizzazione dell’Iraq, facendolo diventare dalla sera alla mattina un Paese modello per tutto il continente arabo, dove le diverse anime religiose convivono pacificamente a stretto contatto l’una con l’altra, dove la polizia si occupa solo di multare le auto in sosta e tutte le famiglie vanno a fare la spesa nei grandi supermercati ingurgitando a dismisura prima e dopo il ramadan......beh credo che anche un bambino delle elementari capirebbe che queste cose si leggono solo nei libri delle fiabe prima di andare a letto, per non fare brutti sogni.

Pertanto solo un idiota avrebbe potuto immaginare sin dall’inizio un simile idilliaco scenario. Quindi o la Casa Bianca ed i suoi principali consiglieri si sono mangiati gli ultimi neuroni del cervelletto oppure la verità va da ricercarsi altrove.

Ricostruiamo per un minuto la storia.
L’Iraq con il suo dittatore Saddam Hussein è uno dei principali alleati degli Stati Uniti durante la guerra fredda nello scacchiere mediorientale. Riceve armi e sostegno nella decennale guerra contro l’Iran di Khomeini, ovviamente appoggiato dall’URSS.
Un giorno, dopo la guerra con l’Iran e forte ancora di una esercito dotato di armi abbastanza sofisticate (dono degli Stati Uniti), Saddam Hussein decide di invadere il Kuwait. Il mondo arabo trema. Alla Casa Bianca fortunatamente c’è un Repubblicano che ha fatto i soldi con il petrolio e che vanta numerosissime conoscenze nel mondo arabo George Bush ( padre dell’attuale presidente).
Si organizza cosi la liberazione del Kuwait, appoggiata e finanziata da molti stati arabi. La liberazione non tarda a venire, e le truppe dell’alleanza atlantica avrebbero la strada libera fino a Bagdad, con la possibilità di rimuovere una volta per tutte il dittatore Hussein.
Ma il mondo arabo teme la destabilizzazione del Paese, con una conseguente eventuale presa di potere da parte della maggioranza sciita.
Insomma Saddam è cattivo ma è sunnita come la popolazione dell’Arabia Saudita, principale finanziatore di questa prima guerra del golfo.
Quindi si decide di lasciare Hussein al suo posto mantenendo però un forte embargo, e numerosi controlli sulle attività militari.
Per 10 anni, nonostante gli atteggiamenti di sfida da parte del dittatore iraqueno, il paese è sotto il controllo non costante ma quasi ininterrotto di ispettori internazionali.

La bugia ( perchè di bugia si tratta) sulle armi di distruzione di massa acquisite da Saddam ha le gambe corte ma legittima l’invasione e il cambio di potere conseguente.
Dove avrebbe mai potuto ottenere armi di distruzione di massa, un Saddam Hussein ridotto al lumicino?
Non certo dai paesi confinanti, nemici ad oltranza.
Non certo dalla Russia, anch’essa mai amica dell’Iraq.
Al Quaeda? Se Al Quaeda avesse avuto tali armi, le avrebbe già utilizzate verso obiettivi ben definiti invece di regalarle a Saddam.

Insomma Bill Clinton per aver negato un rapporto amoroso ha rischiato l’impeachment, l’attuale Presidente, nonostante le sue bugie e le conseguenze disastrose di esse, rimarrà saldamente al comando per altri due anni.

Oggi si incomincia a parlare di un ritiro decoroso dall’Iraq, perchè questo vuole la popolazione americana.
Lasciare oggi equivale a dire portare il Paese verso il caos con cui probabilmente la comunità internazionale dovrà fare nuovamente i conti tra qualche mese.
E già c’è chi in Iraq dice “si stava meglio quando si stava peggio”.

Gabriele D'Errico
Denver - Usa

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