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Approfondimenti: I pungoli di Nicola Rossi. Di Salvatore Tomaselli



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Approfondimenti » 05/01/2007

I pungoli di Nicola Rossi. Di Salvatore Tomaselli

La decisione di Nicola Rossi di non rinnovare l’adesione ai Democratici di Sinistra apre uno squarcio sul velo che tiene in ombra una sensazione di malessere presente nel gruppo dirigente del principale partito della sinistra italiana e che, per quanto attiene alla mia personale esperienza, ritrovo tra gli stessi parlamentari dell’Ulivo.
Malessere che trae origine dallo scarto evidente che si è manifestato in questi mesi tra l’azione del Governo Prodi e le aspettative di cambiamento che noi stessi avevamo alimentato nella scorsa campagna elettorale e che hanno prodotto anche quel disincanto di una parte importante del nostro elettorato che tanti osservatori hanno registrato.

L’azione del Governo è apparsa troppo condizionata dalla esigenza di tenere insieme tutti i pezzi della coalizione di centrosinistra, una sorta di ricerca esasperata del “non scontentare nessuno”. Questo è stato il film della legge finanziaria, di cui fortunatamente siamo riusciti a tutelare gli obiettivi principali: risanamento dei conti pubblici, misure di rilancio della crescita, ripresa di investimenti nelle infrastrutture.

Le motivazioni di Nicola Rossi colgono, a mio parere, un elemento di verità: l’appannamento della spinta riformista nell’azione di governo. Il rappresentare, come DS e come Ulivo, la parte più “coalizionale” della maggioranza di governo impone la responsabilità di farsi carico, anche con rinunce significative, delle ragioni di tutti per consentire lo svolgimento dell’azione di governo. Ma per quanto tempo ciò sarà sostenibile, pena lo svilimento della nostra funzione riformatrice?
A volte il baricentro dell’azione di governo è apparso fin troppo centrato sulle forze più radicali e meno riformiste, nonché sulle forze più piccole, all’insegna del conservatorismo o di posizioni fortemente ideologizzate. Non mi dilungo sugli esempi che vanno dalle liberalizzazioni alle pensioni, dall’ambiente all’energia, dalla tutela dei consumatori al pubblico impiego, dalle riforme istituzionali alla legge elettorale.
Terreni su cui la destra al Governo ha fallito e che tocca al centrosinistra rilanciare per far uscire il Paese dalle incrostazioni in cui versa in tanti settori (dall’efficienza della Pubblica Amministrazione all’arretratezza del capitalismo nostrano; dai mercati protetti al nanismo della nostra grande impresa nella competizione globale; dalle miriadi di corporazioni ai tanti conflitti di interesse): e se in giro per il mondo liberalizzare è una scelta di destra, in Italia è di sinistra, come ha sostenuto Massimo D’Alema nelle scorse settimane, perché liberalizzare significa dare opportunità a tanti che oggi sono messi ai margini o esclusi, a cominciare dai giovani.
Temi che già nelle prossime settimane torneranno di attualità nel confronto nelle aule parlamentari e nell’agenda delle forze politiche e che, voglio sperare, possano vedere crescere la cifra dell’azione della maggioranza e dello stesso Governo verso politiche più nettamente riformiste.

Viene da chiedersi, infatti: quale è oggi la missione del centrosinistra alla guida del Paese se non quella di promuoverne il cambiamento? E cambiamento significa riformare, creare opportunità, intaccare interessi consolidati, liberare risorse, investire sulle giovani generazioni. Significa “rischiare” più che “gestire”.
Avverto, cioè, la responsabilità che dovrebbe ispirare la classe dirigente ai vari livelli dei DS, della Margherita, delle forze progressiste alla guida del Paese: mai come in questa fase storica la coalizione di centrosinistra (con dentro tutte le anime della sinistra) hanno avuto una così larga responsabilità di governo ai vari livelli: il Governo nazionale, sedici regioni su venti, il settanta per cento degli enti locali. Qui vi è la difficoltà ma anche l’ardimento della sfida riformista: guidare il Paese verso un processo di modernizzazione ed innovazione non più rinviabile avendo una così ampia, e forse irripetibile, forza.

Pur vedendo in tali difficoltà le ragioni che Nicola Rossi ha frequentemente posto negli ultimi mesi, giungo a conclusioni diverse: non solo restare ma rafforzare il partito dei Democratici di Sinistra, la forza politica più autenticamente riformista del centrosinistra, alla vigilia di un Congresso così importante e decisivo; partecipare con più forza e, vorrei dire, con rinnovato entusiasmo (un po’ perso per strada in questi mesi) al processo di costituzione del Partito Democratico, quale risposta innovatrice al bisogno di rappresentanza delle istanze riformatrici diffuse nel Paese; infine, accelerare l’approvazione di una nuova legge elettorale, ricercando, come saggiamente si va facendo, la più ampia convergenza.

C’è un filo comune in tali obiettivi: la necessità di un ritorno autorevole della Politica nel nostro Paese, come ha chiesto peraltro con grande forza il Presidente Napolitano, che passa, innanzitutto, da un rafforzamento ed una semplificazione della rappresentanza politica, che superi la frammentazione attuale, fisiologicamente portatrice di interessi per quanto legittimi comunque parziali. Le scelte di cui l’Italia ha bisogno in materia istituzionale, per affrancarsi dall’eterna transizione politica, in materia economica, per riprendere la strada della crescita e dello sviluppo, ed in materia sociale e civile, per allargare la sfera dei diritti e delle opportunità, necessitano di forze politiche rinnovate, autorevoli, rappresentative: qui vi è la scommessa del Partito Democratico, alla cui nascita sono certo non saranno estranei i rilievi e i pungoli di Nicola Rossi e di tutti noi.

Brindisi, 05.01.2007

On. Salvatore Tomaselli
Deputato dell’Ulivo


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