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Approfondimenti: Mio padre e mia madre. Di Enrico Sierra



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Approfondimenti » 11/03/2007

Mio padre e mia madre. Di Enrico Sierra

Don Pippinu e donna Ada. Così i parenti, gli amici ed anche noi in famiglia ci rivolgevamo a papà ed alla mamma.
I miei genitori avevano due caratteri che si integravano: mio padre era calmo e riflessivo, sempre sereno; mia madre, invece, era talmente impulsiva che, quando voleva punirci per qualche nostra marachella, ci seguiva attorno al tavolo, con il battipanni, senza mai raggiungerci, e, poi alla fine diceva: "Basta, siete impossibili, però se vi pesco..."

I ricordi si mischiano, non hanno una cronologia esatta, saltano negli anni, ma rimangono sempre cari ed affettuosi. Coinvolgono anche i nostri parenti più vicini, quelli che facevano parte della nostra vita.

Mio nonno Ernesto, il papa di mia madre, veniva a casa nostra a portarci il pesce che aveva comperato in piazza, dopo la mezza (quando calava il prezzo e c'era la corsa all'acquisto). Ci portava le alici, le sarde, i cefaletti ed i "cuggiuni".
Aveva le "spine" e mio padre non lo mangiava (a meno che non lo spinava la mamma); lui preferiva i polipetti ed i calamaretti. Mai mangiava i frutti di mare, cioè ricci, tiratufuli, spuenzuli e tante altre bontà... Ahi se li avessi adesso!!!

Mio padre era impiegato al dazio vicino alla stazione. Quando dopo mezzogiorno usciva dal lavoro, andavamo incontro a salutarlo, e, mano nella mano, saltellandogli intorno, arrivavamo a casa, dove ci aspettavano la mamma ed il fratello più piccolo.
Tutti a tavola: il pranzo che aveva preparato la mamma si ripeteva ogni settimana: pasta, pasta e fagioli, pasta e patate, pasta "mbiscata" (rimasugli di pasta), favi bianchi e cicoria, "pasuli"e, qualche volta, o meglio al sabato, brodo.
Ciò nonostante pranzare tutti insieme era una grande gioia: avevamo la possibilità di parlare, raccontare ciò che era accaduto nella mattinata, spilacchi e barzellette. Ci rendeva felici stare tutti uniti.
La carne si mangiava una volta la settimana: non bistecche o fettine come si mangia oggi ma "purpetti" con poca carne macinata e tanto pane bagnato, prezzemolo ed aglio. Era ottima.

Verso l'imbrunire si usciva: da Via Manzoni (dove abitavamo), attraversavamo Via Palestro e Piazza Cairoli ed andavamo a casa dei nonni che abitavano a Corso Roma. Poi, quando papà usciva dall'ufficio, tornavamo tutti a casa.

Saranno miei semplici pensieri ma quando ricordo quei tempi, il mio cuore batte forte per tutti quelli che ci hanno dato il loro amore e che, adesso, non ci sono più.

Fa capolino nella mia mente un ricordo non piacevole: era il pomeriggio del 10 giugno 1940. Mentre andavamo a casa dei nonni, vedemmo tanta gente che, rumorosa, attendeva di ascoltare la parola del Duce dagli altoparlanti appesi agli alberi: Mussolini annunciò di avere consegnato la dichiarazione di guerra. La gente applaudiva e gridava festosa, mentre noi tentavamo di allontanarci da quella confusione.
Noi. Tre figli. Papà avanti e mamma dietro. Ho ben impresse nella mia mente le mani di papà che ci tiravano a se e ci stringevano forte. Sul momento non capivo il senso. Una volta cresciuto ho interpretato quell'abbraccio: mio padre aveva capito il pericolo ed il futuro che ci aspettava. Voleva starci vicino per proteggerci.

Mio padre, come tutte le persone normali, aveva alcuni hobby: il Presepio e gli Orologi su tutti.
Il Presepio, come consuetudine, iniziava a predisporlo prima della festa dell'Immacolata. Studiava il posto, preparava la carta colorata, tirava fuori dalle scatole i pupi e le casette, quindi, iniziava la costruzione. Alla fine, dopo aver apportato modifiche ed accorgimenti, era soddisfatto del lavoro svolto (con l'aiuto di noi figli - ragazzi di bottega) e sorrideva compiacendosi anche con noi.
Gli orologi erano una innocua mania. Ne aveva cinque o sei, tutti da taschino. Ricordo un Reskoff ( probabilmente un orologio che usavano i ferrovieri russi). Era bello e pesante. Lo aveva sul comodino, insieme alla sveglia, che quando suonava il campanellino, faceva un rumore infernale. Un altro orologio schiacciato lo teneva nel cassetto; altri due o tre erano sparsi per la casa. Il suo preferito, quello a cui era particolarmente affezionato, lo teneva nel taschino del gilet.
C'è da agiungere che in casa avevamo anche un pendolo da parete ed un cucù appeso in cucina. Prima di andare a letto, mio padre fermava il pendolo (affinchè la notte non suonasse ogni mezz'ora) e bloccava il cucù (perchè l'uccellino non uscisse a cantare).
Oltre agli orologi ricordo un termometro ed un barometro. La mattina mio padre dava un colpetto al termometro, riattivava il pendolo ed il cucù e poi, tranquillo, faceva colazione insieme a tutti noi. Al termine tutti via: papà in ufficio; noi grandi a scuola; la mamma e Franco (il più piccolo) a casa.

Mia madre ricamava. Noi rimanevamo sbalorditi e meravigliati nel vedere come sapeva lavorare al tombolo, destreggiandosi con i bastoncini e con i fili.

Ogni anno, nella ricorrenza di San Giuseppe, l'onomastico di papà, venivano due musicanti per fargli gli auguri. Papà era felice e dopo averli fatti entrare, consegnava loro un regalino ed offriva un bicchiere di vino, quello buono.
Per San Giuseppe, come da tradizione, la mamma preparava le zeppole. Si gustavano alla fine del pranzo accompagnate da un vinello dolce... una vera bontà.
Ricordo che chi non preparava le zeppole in casa, le comperava nelle pasticcerie brindisine: la Pasticceria Imperiale dei fratelli Barcone, La Sica, la Mazzotta e tante altre. Verso mezzogiorno si vedevano tantissime persone che tornavano a casa con il vassoietto di zeppole, ripiene di cioccolata o crema. Veramente buone!

Sono ricordi di tempi belli, quando non si scialava, si ecomizzava su tutto, e le mamme facevano la "cresta" sulla spesa per poi preparare le sorprese nelle occasioni particolari.

In famiglia non c'erano problemi: si viveva modestamente ma c'era affetto, unione. Eravamo veramente felici.
Un anno, a pochi giorni dall'Epifania, papà chiamò me ed il mio fratello maggiore, Antonio, e ci disse che la Befana non ci avrebbe portato il regalo perchè era in crisi. Ci disse anche che il fratello più piccolo non poteva rimanere senza giocattolo perchè non avrebbe capito e decise di regalargli un monopattino di legno. Poi, "l'annu ci veni" -concluse papà - sarebbe stata un bella Befana per tutti.
Oggi, dopo tanti e tanti anni, vorrei dire a papà e la mamma (che certamente mi sentiranno) che quella fu la più bella Befana della mia e della nostra vita.

A Pasqua, la mamma faceva "li pupi cu l'ovu". Ne preparava sei: cinque erano per noi, l'altro per una vicina di casa che viveva da sola e non aveva imparato a farli.

Sono passati tante Pasque, tanti Natali. Siamo passati attraverso una guerra che ci aveva costretto a vivere per due anni lontano da casa, sfollati a Latiano ed a Trepuzzi (da dove partivamo la mattina presto per andare a scuola... e, mentre noi eravamo a Brindisi, la mamma si arrangiava con il cucito, sistemando i pantaloni sdruciti e rammendava le calze). Finita la guerra si tornò alla normalità. La vita riprese lentamente; imparammo a mangiare il pane bianco degli americani, la carne in scatola, la zuppa di piselli. La domenica, però, non mancavano mai "li stacchioddi e li purpetti"

Il tempo è volato. Grazie all'amore che i nostri genitori ci hanno trasmesso abbiamo costruito una nostra famiglia e siamo diventati papà e nonni.
In ogni caso non posso dimenticare che ci sono stati giorni veramente tristi e dolorosi come quello in cui papa, Don Pippinu, ci lasciò per sempre. Quando lo portammo a Brindisi, nella Chiesa degli Angeli, vidi piangere un amico di mio padre, una personalità brindisina. Capì allora (semmai ne acessi avuto bisogno) che mio padre era amato, oltre che da tutti noi, anche dagli estranei e dagli amici per la sua bontà, per la sua onestà e per il suo amore per gli altri.
Dopo un anno ci lasciò anche la mamma. Un fatto altrettanto triste ma inevitabile: papà e mamma non erano mai stati lontano l'uno dall'altra per così tanto tempo. Erano stati sempre insieme senza lasciarsi mai.

Mi piace pensare che quando si sono ritrovati, Don Pippinu abbia ricevuto la sua Donna Ada baciandola dolcemente. Poi, insieme e sotto braccio, sono andati a trovare i parenti e gli amici vecchi e nuovi.
Anche per loro la vita continua: Don Pippinu e Donna Ada sono sempre insieme e non si divideranno mai più.

ENRICO SIERRA

enricosierra@tiscali.it


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