Approfondimenti » 23/12/2003
Emanuele Amoruso: Letterina di Natale 2003
1) La vera follia è la speranza.
Si rinnova la tradizione della Nascita di Gesù.
Ci sono due modi di viverla: a) la visione ciclica; b) la visione della novità storica. Nella prima si considera il Natale come parte del più generale ciclo liturgico e sociale che si ripete: visione che vive del nulla muta. Nella seconda la nascita è novità sul piano dell’esperienza e della speranza ( idea del nuovo che fonda).
La prospettiva delle due visioni è completamente diversa: nella ciclica si impone lo spirito consolatorio della tradizione, nella visione del “nuovo che fonda” si vivifica l’idea della edificazione continua.
Buttiamola brutalmente in Politica.
Nel primo caso il rifugio nel proprio “privato” ci assolve da responsabilità collettive e con il cinismo dell’intelligenza, cerchiamo le ragioni dell’inazione e dell’indifferenza per giustificare il pragmatismo e l’immutabilità.
Nel secondo caso ispiriamo ogni nostro agire alla costruzione di qualcosa che in varie “istituzioni” finiamo con il chiamare Comunità.
Ecco che in questo passaggio “epocale” per la Città siamo chiamati a smontare pessimismo, particolarismo, cinismo, gioco delle tre carte ma anche il pragmatismo del fare. Quest’ultimo è diventata la “vera” ideologia del presente. Superate le datate ideologie si è in realtà imposta la onnivora ideologia del fare che si nutre dell’idea di potenza e di potere.
Ma come rispondiamo al disagio, all’inquietudine e all’incertezza che ci “attraversa”? Possiamo comprendere ciò dentro le ragioni del senso d’onnipotenza?
2) Quanto si è visto, udito e letto negli ultimi due mesi in città si muove tra due grandi correnti: il realismo della concretezza e il bisogno identitario. Al primo si ispirano in prevalenza le forme e gli uomini organizzati della politica, che la “pensano” (succede anche a Bari, Lecce, nella Nazione intera) come lotta per il potere. Nonostante la non corrispondenza tra “storia” dei partiti e effettiva rappresentatività di “corpi sociali”, cercano di riorganizzare le “truppe”. Per quali obiettivi? Dall’altra la corrente identitaria: vi appartengono alcune associazioni, militanti di “base” dei partiti, singole personalità. Nel continuo richiamo a valori e metodi “puri” costoro sollevano gli umori forti della rivolta morale, non risolvendo però il dilemma per chi voglia concretamente “agire” nella sfera della politica.
Per ciò occorre pensare e trovare il punto di reciproca contaminazione. Nessun problema reale si può risolvere con proposte unicamente critiche e/o di contrasto.
E da dove ricominciare a pensare la Politica, a farla di nuovo “nascere” come fondante la Comunità?
La critica al pragmatismo imperante, all’ideologia del fare passa dalla idea che ogni azione riposa su valori, su significati legati ad altri, anche se inespressi. Questa è la prima opzione di senso: ridefinire il rapporto tra Politica e Cultura riconoscendo ed esplicitando la loro reciproca dipendenza.
Rompere con il linguaggio ideologico della politica: ricercare una novità nell’uso delle idee. Come accade alle rivoluzioni scientifiche c’è bisogno di “nuovi paradigmi”.
Di fronte al “declino” di Brindisi e ai mutamenti imposti dalla “contemporaneità liquida” serve, per guadagnare il futuro, una visione che fronteggi problemi di elevata complessità e tecnicità, che richiedono un apparato teorico interpretativo forte e il passaggio dal fare al “saper fare”, compreso, come scrive Giddens, la capacità di saper valutare i risultati e non solo le “premesse” delle opzioni politiche.
Quale “missione” per la città? Quale “ispirazione” nuova con macro obiettivi individuati e perseguibili, con un tema conduttore verificabile e “contrattabile” socialmente anche con i cittadini stessi? Sto descrivendo quanto si chiama comunemente “progetto”. Il progetto non può essere però derubricato a semplice programma elettorale ma occorre che sia “partorito” e vissuto da tutti gli attori sulla scena. Il rapporto fiduciario con il/i leaders si deve rinnovare perché continuamente si ri-problematizza. Non è più il “matrimonio pesante” e indistruttibile di un tempo ma un “leggero fidanzamento” che salta per aria alla prima serata noiosa, o quando “non si conclude”. Questa è l‘instabilità della politica odierna e futura, la radicalizzazione di tutte le posizioni, la crisi delle rappresentanze, la post-democrazia.
Un conto è rispondere alla politica organizzata, un conto è rispondere ai cittadini: la crisi non è politica , è sociale.
E si quest’anno al presepio dobbiamo partecipare proprio tutti e questa letterina di Natale, secondo consuetudine, è sotto tutti i piatti.
Ve la mandano i vostri piccoli figli che credono nella speranza e dicono, come Don Milani, “io ho a cuore”.
Emanuele Amoruso
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