Approfondimenti » 29/07/2007
Le ferie e la dolce Brindisi. Di Enrico Sierra
Lo giuro. Se oggi dovessi fare le ferie che le trascorrerei in
Italia. Prenderei a noleggio un piccolo Camper e girerei il Belpaese in lungo e largo.
Ritornerei a vedere le città dove sono stato per lavoro e visiterei tutte le altre che non ho visto ma che avrei voluto vedere. Mi godrei mari e monti. Vedrei monumenti, chiese e tesori d'arte. Assaporerei le prelibatezze del luogo, i profumi della nostra Italia.
Pensando alle ferie che potrei trascorrere non posso fare a
meno di pensare a quelle fatte tanti e tanti anni fa quando con la famiglia ero lontano da Brindisi. In estate passavano quindici giorni nella nostra città, assieme ai nostri cari
vecchi ed a tutti gli altri parenti.
Una euforia indescrivibile: era ciò che ci prendeva quando facevamo il programma del viaggio e immaginavamo l'arrivo a casa dei nostri.
Già diversi giorni prima della partenza, io, mia moglie e
tutti i figli, preparavamo le valigie. In una mettevamo i regali da portare a quei familiari che non vedevamo da un anno.
Si parlava solo di Brindisi, del suo mare, dei nonni, dei cugini. Si fantasticava sulle gite da fare intorno alla città. E la gioia dei bambini contagiava tutti.
Aspettavamo il giorno della partenza.
Durante il viaggio, quando non prendevamo l'autostrada, eravamo soliti fermarci a fare colazione in una salumeria di Ariano Irpino dove comperavamo una forma gigante di pane
casereccio e tanta mortadella, di quella che veniva tagliata a fettone.
Ci fermavamo vicino ad una grande fontana e bevando acqua fresca e limpida, usavamo consumare il nostro cibo. Da casa portavamo la frutta e, finita la colazione (altro che merendine), riprendevamo il viaggio verso la Puglia.
Forza, Brindisi ci aspetta. A pensarci oggi, mi sembra di rivedere un film interpretato da Carlo Verdone.
Ci era d'aiuto il navigatore cartaceo che avevo preparato con i figli: ci guidava verso Bari. La tabella stabilita prevedeva l'arrivo verso le 14, dopo diverse soste fisiologiche.
A Bari andavamo subito sul Lungomare dove c'erano i tavoli, sui quali sedevamo per gustare allegramente "li purpitieddi" crudi, le cozze nere di Taranto (sempre crude), tanti altri frutti di mare e le pizzette. Con quanta avidità mangiavamo deliziati dal profumo del mare, il nostro mare.
Mai avremmo rinunciato a questa sosta a Bari! Poi, via per Brindisi dove avremmo abbracciato i nostri cari. Ci preoccupavamo di avvertire sempre del nostro arrivo: Comunicavamo che saremmo arrivati verso le sette di seraanche se, il nostro ruolino di marcia, prevedeva l'arrivo verso le ore 17. Lo facevamo per non fare impensierire i nostri familiari. Ma ogni anno mia suocera era già sotto la porta ad aspettarci assieme a tre o quattro nipotini. E, mentre mia moglie volava tra le braccia della madre, Augusto, gli altri nipoti ed i figli scaricavano le valigie.
Appena la macchina era vuota, tutti a bordo. Iniziavano le ferie a Brindisi. Andavamo "abbasciu alla marina" e, dopo una scarrozzata con la macchina di "ziu Enricu", c'era il gelato per tutti.
Che momenti. Che gioia. Poi tutti a casa per la consegna dei regalini. Sapevamo, però, che il più bel regalo era la nostra presenza, stare insieme, girare per Brindisi, andare al mare o fare puntate a San Vito, ad Oria o al Casale. Insomma, vivere in allegria, con amore e tanta felicità, appariva il massimo che si potesse desiderare.
Don Pippinu e Donna Ada, i miei genitori, ci aspettavano a casa con tanta ansia. Momenti di felicità. Ogni anno era sempre così.
La cena, preparata da mamma Nunziata, prevedeva triglie fritte, formaggio fresco nostrano ed insalata di pomodori locali. Secondo la mamma di mia moglie era tutto ciò che non avremmo mai potuto trovare al nord.
Il giorno dopo si andava al mare. Con la macchina, immancabilmente, carica, Mia moglie Maria, i nostri piccoli Massimo, Anna Maria ed Antonella, i nipoti Augusto, Sandro, Pina e Rita ai quali, negli altri giorni, si aggiungevano altri. Si andava al Casale passando vicino all'Aeroporto Pierozzi. Subito dopo la Sciaia si girava a sinistra e si andava
alla conchetta. Si facevano i bagni, si giocava e si viveva tutti assieme il periodo di ferie.
Verso mezzogiorno si tornava a casa dove mio cognato Nando aveva fatto scorta di pesce fresco e frutti di mare. Mia suocera aveva preparato "li cozzi racanati", "li cozzi ripiene". A dire come mia moglie Maria, si "tuccava lu cielu cu nu tiscitu".
Mia madre, invece, ci preparava pranzetti senza pesce, perchè a papà non piaceva il pesce con le spine. Mangiavamo "li spaghetti cu lu ricciu". La ricetta? Eccola: Si tagliano "li pumbitori a pendula" a pezzettini, si condiscono con olio, sale, basilico, aglio ed origano, e quando gli spaghetti (calati nel frattempo) hanno raggiunto una minima cottura, si mischia il tutto e si mette in un tegame da forno. Si copre a strati con pomodori tagliati a metà, olio extra vergine, e tutto in forno. La cottura la mamma la vedeva ad occhio, e via a mangiare calda o fredda.
Per secondo chiedevo alla mamma di preparare "li purpetti di pane". Ricordo di pranzi durante la guerra. Pane, aglio, prezzemolo e pecorino, e poi fritti. Un consiglio: da
mangiare caldi appena fritti. A tavola poi niente. Buoni, veramente buoni... altro che bistecca ai ferri.
Il giovedi era il giorno dedicato al mercato, che si teneva alla Commenda. Ne approfittavamo per prendere "li muluni a pane". Dolci, zuccherini. Una vera bontà.
In serata non potevano mancare li pizzetti di Romanelli. Poi
si andava in Via Santa Lucia per prendere il ghiaccio in modo che, arrivati a casa, potevamo fare le granite al limone. Grattachecca?
Tutto però finisce. Purtroppo. E così anche le ferie avevano un
termine.
Il giorno prima della partenza mettevamo in valigia "li friseddi", "li pumbitori a pendula", "lu casu ricotta", la "ricotta scante" (con cui avrei condito la pasta e fagioli ed i vasetti sott'olio di carciofi, "marangiani" e "pampasciuni".
Ma nella valigia portavamo anche i ricordi di Brindisi. E gli occhi lucidi dei nipoti e dei nostri genitori ci facevano capire dell'amore che ci aveva circondato in quei giorni di ferie -come se ce ne fosse stato il bisogno.
Si tornava a casa. Arrivederci al prossimo anno.
Ora, dopo tanti anni, sono solo a casa. Ricordo quei giorni e vedo alcune vecchie fotografie. Mi rattristo.
Decido di uscire, mi alzo, vado sul balcone, ma vengo investito da una vampata di calore: mamma mia ce faugnu, ce cautu. Entro in casa, metto al massimo i ventilatori, mi siedo a computer ed inizio a scrivere.
Enrico Sierra
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