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Approfondimenti: Tante cose antiche della mia Brindisi. Di Enrico Sierra



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Approfondimenti » 04/10/2007

Tante cose antiche della mia Brindisi. Di Enrico Sierra

Spesso, quando penso alla mia amata città di Brindisi, sento il rumore degli zoccoli dei cavalli che tiravano "lu trainu". Passavano sotto la mia casa, per andare in campagna a raccogliere l'uva e li muluni.
Gli agricoltori, che allora venivano chiamati "li villani", non abitavano in campagna, ma ci si recavano all'alba, percorrendo chilometri e chilometri di strada. Oggi è tutto cambiato.
Una volta, un mio amico che aveva una coltivazione di angurie, mi invitò, ed io, felice, lo accompagnai e lo aiutai a raccogliere "li muluni neri di fori e russi sanguigni intra". A fine giornata portai a casa un grosso omaggio del mio amico, e mangiandolo a fisarmonica (come usavo fare anche se è poco "in", sentii il profumo, il sapore della nostra terra, e la gioia di tutta la famiglia. E questo non certo perchè mangiare mellone fosse cosa rara, ma perchè quel mellone rappresentava il frutto della mia fatica, e, nello stesso tempo del divertimento.

"Trainu", "calessi", "sciarabba'", un carretto in legno con le panche, usato anche per portare come passeggeri i lavoranti dei campi. Erano tutti mezzi di trasporto usati in agricoltura. Come mezzo di trasporto c'è da ricordare anche le carrozze che stazionavano fuori dalla stazione ferroviaria in attesa dei passeggeri in arrivo. I primi sono mezzi che non esistono quasi più, se non nell'entroterra pugliese; la carrozza si può trovare in alcune città e serve per portare a spasso i turisti tra le bellezze paesaggistiche.

Tra i mezzi di trasporto debbo ricordare la mia bicicletta. E' un eufimismo chiamarla bicicletta: mancavano parafanghi, freni e campanello ed era formata solo dal telaio, ruote, sedile e manubrio. Per frenare usavo i piedi, e ricordo ancora "li ucculi" della mamma quando tornavo a casa con le scarpe ridotte "da fare pietà".

Il ricordo dei tempi passati va anche, ai giocattoli che trovavamo vicino al Presepe il giorno della Befana. A dire il vero era poca cosa in confronto a quelli moderni, ma la felicità che provavamo nel riceverli, nello scartare i pacchi, era certamente superiore a quella che provavano i nostri figli ed oggi i nostri nipoti. Purtroppo essi preferiscono trovare i soldi, e solo ai più piccoli la Befana porta i giocattoli. Ma che piacere gustare con gli occhi i giocattoli esposti nelle vetrine illuminate: i padri ed i nonni in quel momento tornano bambini.
I giocattoli dei miei tempi. Molti erano fatti manualmente, ad esempio le pistole costruite con le mollette del bucato ed un elastico, le cerbottane con le canne, le palle e le bambole di pezza. Che bello il caleidoscopio fatto con un tubo di cartone e con dentro uno specchietto e tanti pezzettini di carta colorati, così che muovendo il tubo si formavano all'interno tante figure multicolori.
Ricordo anche il monopattino in legno, la trombettina, la trottola che quando roteava su se stessa si illuminava. Che piacere vedere, ieri, la gioia dei bambini. La stessa che provavamo noi l'altroieri. E poi, il cavalluccio a dondolo, il triciclo, il pulcinella che batteva i piattini, la pistola con le bombette a 100 colpi di carta rossa, e la corda per saltare. Non ricordo come si chiamasse quel giocattolo che preso da una bacchetta si faceva girare e faceva un suono quasi di nacchere, e, che credo si usasse anche prima della Pasqua, quando erano legate le campane e campanelle. Forse raganella? Credo proprio di si.
E lu "curru"? si faceva a gara per farlo ruotare con più velocita', si passava di mano in mano, si gettava in aria e poi si riprendeva con la mano. Molti ragazzi erano quasi giocolieri e maestri. Io ne ho uno in casa, e , qualche giorno devo andare fuori a provarlo, perchè ho paura che in casa faccia dei disastri.
Poi vennero i giocattoli in latta, la macchina dei pompieri. Poi, ancora dopo, i giochi istruttivi e di pazienza, il meccano e quelli con le batterie, a domanda e risposta.
Erano tutti belli, ma chissà perchè ricordo sempre con tanta nostalgia quelli vecchi che costruivamo noi, con tanta pazienza ed amore.

Se torno indietro nel tempo, ricordo anche tanti utensili che si usavano in casa tutti i giorni. Molti fanno parte solo del passato, mentre altri sono stati stilizzati ed ammodernizzati a tal punto che quasi quasi dispiace anche usarli.
Ad esempio il ventaglio che si usava per alimentare il fuoco della "furnacietta", il ferro da stiro in ferro che si apriva dal di sopra per mettere il carbone o la carbonella. E, la mamma che bagnandosi il dito con la lingua, lo passava per vedere se era caldo ed iniziare a stirare. E il macinino dove si metteva l'orzo ed il caffè abbrustolito, e, si posava in mezzo alle gambe e si girava fino a quando il contenuto diventava polvere pronta da usare nella caffettiera napoletana.
E lu "laianaru", "lu battipanni", "lu scarfalietto" che qualcuno chiamava la monica, lu "mbili", "la capasa", che oggi si trova in diversi ristoranti pugliesi come ornamento, lu "fironi", oggi tornato di moda , e il mortaio, per pestare il sale grosso, "lu grattacasu". Ma ancora "lu cantru", cioe' il vaso da notte che si metteva nel comodino, perche molti bagni (allora cessi) erano fuori nel cortile. Era smaltato fuori e dentro, e la parola , cantru, rivolta a qualcuno,veniva usata come offesa un po' folkloristica.

Con tanto piacere ricordo, inoltre, "lu bracere". Non c'era la televisione a tenerci compagnia ed attorno ad esso, nelle giornate fredde, si riuniva tutta la famiglia. Le nonne tiravano fuori "li cunti e li spilacchi". Qualcuno? Sempre raccontato dalle nonne: "C'era una signora che riceveva in casa la visita dell'amante, e siccome il marito era al corrente della tresca, ogni qualvolta che era impegnata con l'amico metteva fuori di casa una pietra. Quando il marito tornava a casa e vedeva la pietra si allontava per ritornare il più tardi possibile.
Noi ragazzi, al corrente del fatto, quando incontravamo il marito incomincevamo a gridare" la petra, la petra", e, poi, coraggiosamente, scappavamo e ci nascondevamo, mentre il povero marito inveiva contro di noi con epiteti che toccavano i vivi ed i defunti delle nostre famiglie".
Un altro? Eccolo, sempre raccontato dalle nonne: "Una brindisina, giunta in città dal nord per trascorrere le ferie, dopo un anno parlava gia con il "sci-sci" e con il "neh". Un giorno disse: "Oggi vado io a fare la spesa alla "chiazza", che debbo pigliare? Vai a prendere un chilo di "cuggiuni, che siano freschi e piccoli per farli fritti. La signora va al mercato del pesce, e si rivolge al pescivendolo dicendo: "Mi dai un chilo di coglioni, piccoli ma freschi perchè devo farli fritti?" Il pescivendolo, di rimando, sorridendo rispose: "signora piccoli non ne abbiamo più, se vuole posso darglieli grossi da fare arrosto".
Sono tanti i fattarieddi che si raccontavano attorno al braciere e rendevano indimenticabili quelle serate. Voleva dire la famiglia raccolta attorno al fuoco dell'amore. E, non era poco.

Il mio pensiero va anche ai mestieri artigianali, e faccio uno sforzo per ricordarli tutti, perche molti di essi non esistono piu, mentre altri hanno subito il processo della tecnologia perdendo il loro antico fascino.
Ne cito qualcuno: " lu stracciavenduli" (girava per la città raccogliendo qualsiasi oggetto vecchio gridando :" pezzi vecchi, robbi vecchi, ttoni vecchiu, fierru vecchio da vendere"). Oggi non esistono più, perche gli straccivendoli sono organizzati, inseriscono la loro richiesta su giornalini pubblicitari: "svuotiamo le vostre cantine di tutto cio' che non vi serve piu' ecc. ecc."
E, poi "l'umbrellaru", "lu mpagghiaseggi" "lu mmulacurtieddi", "lu cchiappacani", " lu scarparu", il gelataio che girava con il suo triciclo ed il contenitore dei gelati, la modista che curava i cappellini per signora e lavorava nella sua abitazione, la ricamatrice che ricamava le tovaglie e l'occorrente per il letto per la dote delle spose.
Il mestiere che più mi affascinava era il maniscalco o "ferracavaddi", che oltre a ferrare i cavalli, preparava e riparava le selle e tutti gli armamenti dei cavalli. Ed a volte cuciva anche i palloni del calcio quando si scucivano. Perchè i palloni erano ben diversi da come sono oggi, erano cuciti a mano e pesavano un bel po'.

Quanto è bello ricordare tante cose!!! Mi porta indietro nel tempo e - diciamolo pure - mi fa rivivere la vita. E' vero quello che dice un vecchio proverbio africano:" Il passato rivive ogni giorno perchè non è mai passato".
A volte i nipoti mi chiedono come facciA a ricordare tante cose, tanti nomi, tanti fatti. Non è facile, ma guai se non ci fosse la memoria a farmi tornare indietro nel tempo. Vorrebbe dire che tanti anni li ho passati inutilmente. Ricordare visi, fatti, avvenimenti, aneddoti, spilacchi e cunti mi rende allegro, anche se mi fa provare tanta nostalgia.
Ma se non ricordassi? Se ci fosse un vuoto? Sarei solo. Cos', invece, sono in compagnia dei pensieri, dei ricordi ed è una grande e piacevole compagnia.
Mi rende felice ed, a volte, mi rattrista. Ma preferisco essere triste con gioia. Sembrerebbe strano. Ma è cosi, per fortuna.

Enrico Sierra
enricosierra@tiscali.it


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