Approfondimenti » 05/05/2008
Inseguiamo un sogno: spostiamo la Marina al Porto Esterno
E’ singolare che sia un giornalista “forestiero”, Rosario Tornesello, a incoraggiare ripetutamente, sulle pagine del proprio giornale (Il Nuovo Quotidiano), un dibattito sulle questioni utili al futuro della nostra città, come se la sorte di questa stesse a cuore più a lui che a noi.
Il fatto è che, pur non mancandoci le intelligenze capaci di proporre idee e progettualità, si è frenati da un difetto atavico; la pigrizia, l’indolenza e l’indifferenza che di fronte ai problemi ci fa voltare dall’altra parte, come se il non guardarli in faccia per affrontarli li possa esorcizzare facendoli scomparire.
La rarità di eventi eccezionali a Brindisi dovrebbe indurre, quando questi accadono, ad approfittarne all'istante per impostare cambiamenti importanti o quanto meno discutere di questi. Ci si accapiglia, invece, per decidere chi deve rosicchiare l’osso.
Cosa che è avvenuta puntualmente con l’annuncio della visita di Papa Benedetto XVI: si è discusso per caso di qualcosa di importante da impostare per capitalizzare un evento unico e mediaticamente rilevante? Non è parso proprio. Del resto è la storia stessa di questa città che è scandita da occasioni mancate e perse.
Lo storico dell’arte Cesare Brandi iniziò un suo libro, “Viaggio nella Grecia antica” edito negli anni ‘60, con la descrizione di una sua giornata a Brindisi, che visitò in attesa di imbarcarsi, sul Messapia, per la Grecia.
Il racconto inizia così: “La bellezza di Brindisi non è travolgente, e più che di bellezza bisogna parlare di attrattiva; ma il piano stesso della città, con la sua lunga strada alberata, e lo sbocco su un mare dolcissimo, permette di assaporare via via per quel che vale, e vale parecchio …” e continuando “Il porto si presenta, da un lato, ameno quasi come il porticciolo di Ischia, e qui pochi pini bastano a gradare il colore del mare e del cielo come su una tavolozza: poi di qua e di là, la graziosa forcella che fa il mare incuneandosi, e che evoca non solo La Valletta, ma addirittura la posizione di New York, con Manhattan come un inguine, fra l’Hudson e un braccio dell’Oceano …”.
Un porto storicamente importante per i traffici mercantili e imprescindibile punto di riferimento per il transito passeggeri, il cui stato attuale fu preconizzato sin dal 1988 dall’architetto Luigi Redaelli, estensore del piano regolatore cittadino, il quale affermò, senza mezzi termini, che farlo divenire industriale per asservirlo agli interessi dell’Enel, avrebbe significato la “ distruzione di una risorsa portuale che è centrale per l’Europa, per l’Italia e soprattutto per il Mezzogiorno”.
Queste citazioni non sono fini a se stesse né per auto compiacersi di alcune letture, bensì hanno l’intento di evidenziare il grande patrimonio che si è sperperato e l’aver assistito inerti ad un crimine lasciandosi travolgere da interessi circoscritti.
Personalmente ho la ferma convinzione che ancora oggi si possa risalire la china. Però, per farlo, occorre guardare ben al di là del proprio naso, elaborando progetti con forti e grandi prospettive evitando, se possibile, ulteriori grandi scempiaggini.
Occorre migliorare la città dotandosi, per questo, di validi e chiari strumenti urbanistici, rivitalizzare il porto mercantile e passeggeri, far tornare a vivere il porto interno che deve essere in sintonia col tessuto economico-sociale-urbano.
Lancio una proposta “ardita”.
Fatemi inseguire un sogno, nulla di eccezionale o di originale perché in fondo, penso, che stia da sempre nel cuore dei miei concittadini e che, oltretutto, potrebbe cogliere le interessanti opportunità offerte dal Piano strategico dell’Area Vasta e ben si concilierebbe con il progetto di Brindisi Città d’acqua.
Lavorare per un accordo di programma tra Ministero Difesa, Regione, Comune, Provincia e Autorità Portuale che consenta lo spostamento della base navale militare dal seno di ponente al porto esterno, precisamente sulla colmata di Capobianco e recuperare, quindi, alla disponibilità cittadina gli spazi sinora occupati dalla Marina Militare.
Questo soddisferebbe varie opportunità.
Per iniziare offrirebbe una valida alternativa alla favoleggiata “occupazione” offerta dalla costruzione del rigassificatore per cui il dichiarato numero delle unità lavorative da impiegare, è direttamente proporzionale alla necessità di illudere la pubblica opinione.
Questo “spostamento” comporterebbe una cantierizzazione per svariati anni, lavori consistenti, con ciò che ne consegue.
Da una parte si prefigurerebbe una base navale più razionale e funzionale dal momento che, sempre a Capobianco, è prevista la costruzione di un deposito carburanti della stessa forza armata, ma anche considerando che le isole Pedagne sono già oggi una base operativa del Reggimento San Marco e a poca distanza sorge il poligono di tiro di Torre Cavallo.
Oltre a tutto ciò la Marina Militare dispone di vaste aree a terra (circa 15 ettari) che sono prospicienti la colmata di Capobianco e che potrebbero servire, almeno in parte, da ulteriore supporto. Per questi motivi si può prefigurare una base navale completa, certamente più efficiente dell’attuale poiché anche periferica e quindi decentrata rispetto al centro cittadino ma facilmente raggiungibile attraverso la tangenziale e la viabilità della zona industriale. Il trasferimento della base navale comporterebbe indubbi vantaggi per la forza armata in quanto disporrebbe di una più raziocinante sistemazione dei vari reparti in più ampi spazi.
Si avrebbe, come già detto, una zona militare completa in un raggio di poche centinaia di metri: Base Navale, deposito carburanti (Capobianco), reparto operativo San Marco (Isole Pedagne) e poligono di tiro (Torre Cavallo).
Dall’altra parte non sarebbero di meno i vantaggi che ne deriverebbero alla città. Dopo un secolo, tornerebbero nella disponibilità cittadina ampi spazi, circa 11-12 ettari, ciò cambierebbe radicalmente il volto della città e non solo dal punto di vista urbanistico.
Il Castello Svevo e quello Alfonsino, entrambi sul mare, costituirebbero una spettacolare unicità, si eliminerebbe finalmente la strozzatura innaturale costituita dall’impedimento del passaggio da porta Revel a porta Monsignore (così sono chiamati i varchi del comparto militare) disponendo di un lungomare che dalla stazione marittima arriverebbe sino ai capannoni dell’ex Saca e quindi allo svincolo dei Pittacchi.
L’Autorità Portuale potrebbe acquisire diverse centinaia di metri di banchine sottostanti il Castello da destinare all’approdo dei maxi yacth e della diportistica in genere, dando così vita a una base eccezionale, unica per questo “traffico” che disporrebbe, con indubbi vantaggi, di strutture logistiche già esistenti.
Va da sé che una proposta del genere, non essendo cosa che può essere conclusa in quattro e quattr’otto. Le difficoltà di un simile progetto non sono insormontabili e possono essere superate con una ampia condivisione da parte della politica, delle istituzioni e dell’imprenditoria (operatori commerciali, portuali, turistici ecc.) che devono intravedere i possibili vantaggi collettivi.
Verosimilmente si avrebbe una vantaggiosa mutazione della città con concrete e diffuse ricadute economiche.
Una riappropriazione che aggiungerebbe alla progettualità insita nell’espressione simbolica di indubbio fascino, Città d’Acqua, qualcosa di molto concreto.
È pura fantasticheria, una chimera?
Probabilmente tale rimarrà viste le incomprensibili difficoltà che si incontrano solo nello spostare la base operativa dei rimorchiatori. Cosa, per altro, necessaria per consentire una realistica riqualificazione del lungomare e che non comporterebbe alcun rischio né danno per l’indispensabile e utile servizio dal momento che questo opera in regime di monopolio. Un inutile bailamme, un gran polverone che appare più una questione di principio che altro, ma che mette già a nudo i limiti nell’affrontare i piccoli problemi, immaginiamoci quelli veri!
Giorgio Sciarra
|