Approfondimenti » 08/06/2008
Finalmente possiAmo viverlA anche noi. Di Andrea Tundo
Alimentare la propria passione con i ricordi, con le storie raccontate dai padri e dagli zii su ciò che la Pallacanestro Brindisi è stata. Claudio Malagoli, Elio Pentassuglia, Otis Howard e Checco Fischetto. Gesta immaginate e sognate la notte con la speranza di poterle toccare un giorno con mano. Atleti diversi certo, ma eguali emozioni e stessa maglia.
Dopo vent’anni di bocconi amari gettati giù a forza, palazzetto semi deserto per un lustro ed entrate al termine del vecchio primo tempo per non pagare il biglietto (perché tanto non ne vale la pena, diceva papà), oggi i brindisini dai vent’anni in giù scoprono il sapore della serie A. E’ come la prima volta con una donna: cercata, sofferta, annusata e poi goduta fino in fondo. Dalla quale, ovviamente, non vorresti più staccarti.
Ecco, questa serie A è esattamente così: una goduria pazzesca dalla quale non ci si vorrà più allontanare. Anzi, resteremo gli esigenti di sempre e vorremo ancora di più.
Mi rimase impresso, da bambino, il volto di un tipo poco più grande di me stampato su uno dei tanti libri che raccontano i magici anni ’80. Una didascalia recitava: «Le lacrime di Stefano in un palazzetto dello sport. Si piange per sport, piange chi fa sport, piange chi guarda lo sport. Stefano oggi ha ventanni, ma la sua immagine di allora è quella di una città che per il suo basket ha pianto. Di gioia, per le vittorie, di tristezza o di rabbia, per le sconfitte». Mi chiedevo come si potesse piangere, spendere le lacrime che solitamente si stipano per i momenti più tristi o di gioia immensa, per una palla con otto spicchi. Ero troppo piccolo per comprendere cosa significasse vivere Brindisi nei momenti d’euforia collettiva per questo sport.
La corsa al biglietto in settimana, l’arrivo al palazzetto ben tre ore prima della palla a due, il gran vociare nel PalaPentassuglia, i capannelli settimanali aspettando la seguente vittoria.
L’ho imparato col tempo, l’ho vissuto nelle ultime due stagioni, conoscendo e toccando con mano, a Veroli, le lacrime tristi di altri ragazzi e d’adulti che allora erano bambini; ma anche contro Latina, vedendo la gente, tanta gente, col volto tirato dalla suspance e rigato dalle lacrime di gioia. Ma soprattutto ho conosciuto quest’oggi cosa voglia dire sentirsi parte d’una comunità, condividerne l’entusiasmo e la felicità per un successo che si rinnova, finalmente.
Papà e zii del futuro, oggi ragazzi ventenni, non dovranno più raccontare di un tale Rich, montagna bionda venuta dagli States, né di Otis, gigante nero con due molle al posto delle gambe. Potranno raccontare di Alejandro, uruguagio dalla mano sempre in pace con la retina, o di Daniele, capitano di mille battaglie e brindisino d’adozione. Magari parleranno ancora di Lupetto, mito intramontabile, o di Elio e Checco, esemplari d’una razza in estinzione in questa terra battuta dalla tramontana: i profeti in patria. L’importante è che ci sia un’altra storia da narrare, un altro tiro che rimarrà nella memoria collettiva, immaginato da altre migliaia di bambini nel momento in cui chiuderanno gli occhi ed inizieranno a sognAre.
Andrea Tundo
Su Brundisium.net:
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Il servizio sulla gara (Oreste Pinto)
Le foto al PalaPentassuglia (Maurizio Pesari)
Le foto dei festeggiamenti (Maurizio Pesari)
Video Brindisi-Trapani (Valerio Gatti)
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