Approfondimenti » 16/09/2008
Immigrazione e traumi. Di Ida Santoro e Gino Stasi
È una storia di casi e coincidenze, di scoperte, di errori e destini avversi.
S. ha diciassette anni, voleva andare in Inghilterra e dopo un viaggio di migliaia di chilometri è sbarcato a Brindisi sotto un camion che lo ha trascinato sull’asfalto per un tratto di centocinquanta metri. Il 18 marzo 2008 comincia l’odissea.
Occhi grandi di un ragazzo immobile in un letto con il bacino rotto e i ferri nell’omero. Il suo armadio è vuoto, non una maglietta né uno spazzolino da denti o un succo di frutta. Sul comodino solo un grande uovo di pasqua lasciato caritatevolmente da qualcuno il giorno della santa festa e un biglietto del vangelo (in italiano) per il ragazzo afgano che parla solo il pashtu e non è mai andato a scuola. Torniamo il giorno successivo dopo una colletta con magliette slip spazzolino ciabatte succhi plumcake ecc... Strana atmosfera in giro, i sui vicini lo imboccano e lo lavano, qualcuno lo guarda sulla porta, molto stupore, troppi silenzi. Siamo “abituati” a sentire di anziani abbandonati in un letto di ospedale, non di un ragazzo di diciassette anni, che guarda e non sa chiedere.
Un giorno andiamo a trovarlo insieme a tre ragazzi afgani che vivono qui, in due sono arrivati come lui e vivono in una comunità alloggio per minori. Finalmente riusciamo a farlo sorridere mentre scopriamo qualcosa in più di lui. Ha fatto il guardiano di un pollaio per tre anni in Iran, ha genitori in Afghanistan con due fratelli più piccoli e sette sorelle. Perché è scappato? “No talebani no americani” dice un altro giorno. Non chiede mai, ma di notte piange e invoca Allah. Si lamenta, quindi lo imbottiscono di antidolorifici, ha subito anche tre trasfusioni. Ama la musica e il football, il riso indiano con carote, nakhod con cumino (zuppa di ceci), panir e badrang (insalata di formaggio bianco e cetrioli). Non ha mai visto suo fratello più piccolo, non vuol far sapere a sua madre che si trova in quelle condizioni, ma vuole sentire suo padre.
Era un’avventura alla ricerca della libertà, no, era soprattutto una necessità. L’Afghanistan è uno dei Paesi più poveri del pianeta, lui proviene da una zona che è la più povera dell’Afghanistan. La sua famiglia vive in una casa senza acqua corrente, luce e gas. Sua madre mette il burqa per andare a fare la spesa, i talebani hanno aggredito e ferito i suoi zii mentre cercavano di costruire una nuova casa, e si muore ancora sotto le bombe. In una famiglia numerosa un ragazzo di 13 anni è già grande e deve rendersi indipendente.
Molto lentamente recupera un po’ di fiducia e un po’ di forze, tra pianti notturni e depressione e molta solitudine, tra complicazioni e infezioni e trasferimenti da un reparto all’altro. Ma non fa niente, lui è paziente e dice: piano piano (il dolore passerà come canta Fossati). Mai vista tanta capacità di sopportazione e tanta dignità.
Il 15 maggio ricomincia finalmente a camminare, il 6 giugno esce dall’ospedale. Sorride, mentre mangia un gelato in attesa dell’educatrice, è confuso, dell’Italia non conosce ancora niente ma la legge (almeno finora...) tutela i minori non accompagnati fino alla maggiore età. Nonostante l’insistenza, rifiuta l’offerta di quello che era rimasto della colletta chiedendo invece di portargli ogni tanto carte telefoniche per sentire i suoi.
Ora vive in una casa famiglia che gli offrirà la possibilità di ricominciare a pensare ad una progettazione futura come studiare, lavorare e formarsi, oppure di raggiungere i propri familiari, o comunità esistenti in Europa. Confuso, e al tempo stesso infinitamente coraggioso, come solo può essere una persona che è stata pronta a lasciarsi alle spalle la sua terra e i suoi legami per inseguire un sogno, o no, solo per una questione di sopravvivenza. Sogni che non ci appartengono nati in un mondo che conosciamo solo attraverso il filtro di carta stampata e glossari virtuali, o solleticati da fascino esotico nel tentativo di allontanare la paura dell’abitudine e colmare i nostri vuoti quotidiani. La conoscenza non è il viaggio in ristoranti e bazar di città che si fingono evolute né sta nelle superficiali letture di riviste alternative, se il nostro stile di vita rimane lo stesso. Siamo piccoli mediocri e ignoranti. Non è mai facile avvicinarsi a qualcosa che non si conosce ma si può. E nella conoscenza, insieme ai traumi nascosti che non è facile individuare, o lacerazioni che non si rimarginano, si rivelano desideri comuni a tanti ragazzi, a prescindere dalla provenienza: il gioco, il lavoro, l’amicizia, il rispetto di una dignità troppo spesso derubata.
Minorenni, nella media intorno ai 16-17 anni, ma qualcuno anche di 12. Hanno negli occhi il desiderio di libertà, forti e fortunati coloro che non sono feriti né dispersi.
A gennaio scorso, a Forlì, un ragazzo afgano di 15 anni è “rimasto straziato sotto il tir al quale sia era legato per entrare clandestinamente in Italia”. Il 12 settembre è accaduto anche a Brindisi.
Straniero, profugo, clandestino, extracomunitario, il diritto di asilo è sancito dalla nostra Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma a prescindere dalla definizione, realmente accolti solo se c’è vera SOLIDARIETÀ.
Nel 2° rapporto ANCI sui Minori Stranieri non accompagnati pubblicato nel 2007, vengono riportati i risultati di un’indagine del Dipartimento Immigrazione rivolta al 70% dei Comuni italiani, in cui il 21% dei Comuni rispondenti ha dichiarato di aver preso in carico minori con interventi di tutela e accoglienza negli ultimi tre anni, per un totale di 6.629 minori nel 2004, 7.593 nel 2005 e 7.870 nel 2006. Il numero dei minori arrivati in Italia, in prevalenza maschi (78%) di 17 anni (il 47%), è in progressivo aumento, provenienti in maggioranza da Romania, Albania, Marocco e nel 2006 per la prima volta dall’Afghanistan. Dal Ministero per la solidarietà sociale è stato sostenuto un “Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati” per attivare un sistema in rete per la presa in carico e l’integrazione dei minori attivando standard e procedure condivise sul territorio nazionale.
Ma per accogliere uno straniero e conoscere la sua identità oggi si fa meno fatica prendendo le sue impronte digitali.
Ida Santoro e Gino Stasi
(Medicina Democratica)
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