Approfondimenti » 05/11/2008
Il teatro dei non-luoghi. Di Francesco Zizzi
Quando dibattiamo sul teatro, ma anche quando lo leggiamo sui giornali, vediamo servizi in televisione, pensiamo subito al teatro degli spettacoli che vanno in cartellone, prodotti per una vasta platea che paga un biglietto, in funzione di tutta questa corrente estetica. Noi consideriamo questo il teatro, ma perchè ce lo impongono le nostre abitudini, la nostra pigrizia mentale.
Ma se riflettiamo bene, ci pensiamo in maniera più ampia e meno provinciale notiamo di sicuro che questo Teatro rappresenta una porzione insignificante del teatro vero e proprio.
Come mai il teatro che si fa nelle scuole arriva poco e niente sui giornali?
Inteso come teatro didattico,sociale,terapeutico,quello in auge ridotto solo a dei freddi comunicati stampa.
Lo sguardo ottocentesco che s'allunga sulla nostra epoca che ci fa perdere le idee anche noi.
Siamo sempre pronti a vestirci di tutto punto per assistere al rito di una prima di un'opera lirica e poi al momento di assistere a un'opera magari di bambini, o a monologhi vari dobbiamo estrapolare mille scuse o asserire a legami di parentela.
Siamo anche capaci di pretendere dai ragazzi mica di interpretare a modo loro "Il berretto a sonagli" di Pirandello, "Napoli milionaria" di Eduardo, l'Amleto di Shakespeare, ma di sciommottare in malo modo quello che fanno gli attori professionisti. E lasciamoli creare, lasciamoli avere un loro stile, una loro interpretazione fanciullesca ma che sia vera e originale, perchè ci mettano passione e amor loro.
Ma lo zampino peggiore lo mettono anche i loro insegnanti che credono di spiegare a loro il vero mestiere dell'attore, mettendo pressione su di loro!
E se dovessimo assistere a uno spettacolo di diversamente abili dobbiamo per forza costringerci a mettere in atto tanto pietismo ideologizzato.
O ancora tante persone utilizzate come contorno dell'oscena messiscena del potere grande, medio,piccolo, gigantesco
Oggetti accanto agli oggetti: classi, sezioni, reparti, famiglie, condomini, correnti, squadre, razze, una vasta stella di confini enormi che vanno a incontrarsi.
Perchè ognuno ha i proprio rituali, le sue presentazioni.
Noi ce ne appassioniamo, seguiamo tutto con calore e ci appare come se fosse un fenomeno naturale.
A chi spetta il dovere di rimettere a posto, unire, mettere d'accordo tutti?
A parole potremmo essere bravi tutti.
E' impossibile integrare senza sconfinare, senza inventare non-luoghi percorribili dai chi voglia uscirne fuori.
Come saranno i teatri, le rappresentazioni di chi abita in questi non-luoghi? "Sono teatri senza rappresentazione", come auspicava Carmelo Bene.
Dobbiamo metterci a disposizione, aprirci mentalmente, avere piu cura di noi stessi verso chi voglia preservare questi non-luoghi dove ci vanno a finire le persone che vanno oltre.
Il grande Eugenio Barba le ha chiamate "Isole galleggianti".
Al "Salina Doc Fest" Festival del Documentario narrativo è andato in scena lo spettacolo di Edison Duraj "Kepuce. Un paio di scarpe nuove per attraversare il canale d'Otranto" vicenda che narra di un piccolo profugo albanese che raggiunge le coste pugliesi a bordo di un gommone.
Ma se questa potrebbe anche rappresentare una piccola favola da libro cuore per un fanciullino di 9 anni, l'aspetto che più sta a cuore dell'iniziativa è relativo al fatto che questa opera si vive e si arricchisce l'offerta formativa dello STAMMS.
L'insegnamento do Teatro Sociale e delle comunità aveva attuato il Progetto Indire "Per una integrazione partecipata. Quale teatro?" con la scuola Media Galateo e il Progetto "Itaca".
Le scelte degli amministratori comunali scarsamente invogliati al discorso dell'integrazione hanno rischiato di distruggere il patrimonio di conoscenze e di pratiche realizzate in tutti questi anni.
Quindi un grosso applauso ai migrandi di Kepuce se rimane ancora intatta la possibilità di andare oltre elaborando il teatro dei non-luoghi.
Francesco Zizzi
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