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Teatro: Ceglie M.ca - Stagione di teatro, musica e danza 2008-2009



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Teatro » 23/11/2008

Ceglie M.ca - Stagione di teatro, musica e danza 2008-2009

CEGLIE, il teatro abitato
Stagione di teatro, musica e danza 2008-2009
Teatro Comunale di Ceglie Messapica
Largo San Rocco

19 Dicembre 2008
Ambrogio Sparagna, Peppe Servillo
FERMARONO I CIELI
Le Canzoncine spirituali di Sant’Alfonso

Intorno alla metà del Settecento Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dell’ordine dei Padri Redentoristi, cominciò ad accompagnare il suo lavoro pastorale fra i poveri del Regno di Napoli con la pratica di alcune canzoncine spirituali composte sia in dialetto che in italiano. Si trattava di canti dall’impianto semplice, che traevano spunto melodico da temi popolari, con cui il missionario insegnava ai “lazzaroni” i fondamenti del cattolicesimo, facendoli protagonisti dei rituali liturgici mediante la creazione di appositi gruppi di preghiera (cappelle serotine).
Molte canzoncine erano legate al ciclo delle festività natalizie e fra queste le famosissime Tu scendi dalle stelle, Quante nascette ninno, Fermarono i cieli, altre alla devozione mariana.
In breve questo repertorio si diffuse in tutto il territorio del Regno diventando protagonista dei tanti rituali del ciclo liturgico in particolare quello natalizio e mariano.
Il successo di queste canzoncine spirituali favorì lo sviluppo in ambito popolare di un larghissimo repertorio di canti popolari religiosi che sono ancora largamente in uso in tutto il territorio nazionale. Lo spettacolo Fermarono i cieli propone alcuni di questi canti religiosi popolari ed altri appositamente composti da Ambrogio Sparagna affidandoli all’interpretazione originalissima di Peppe Servillo, di un quintetto vocale e di un trio di strumenti popolari fra cui una zampogna gigante, un modello di straordinarie proporzioni ( è alta quasi due metri) diffusasi nel regno di Napoli a partire dalla fine del settecento proprio allo scopo di accompagnare il repertorio tipico delle canzoncine spirituali.

24 gennaio 2009
Cantieri Teatrali Koreja
PALADINI DI FRANCIA
… Spada avete voi, Spada avete io!

Giochi di bambini. Giochi di guerra.
Marionette. Pupi. Roba vecchia e bellissima. Da spaccare in due a colpi di spada.
Sotto: corpi, metallo, amore e guerra. Sopra: fili, voci tonanti e un destino tragico.
Carlo Magno e i suoi paladini. Da ragazzo li odiavo quei personaggi, prototipi di conquistatori. Invece amavo con tenerezza e batticuore le loro raffigurazioni morte, quelle marionette fatte a pezzi, legate a un cielo di carta strappato.
Vent'anni dopo, quando vedo uomini e/o marionette morire sui campi di battaglia, ho capito che tutti meritano compassione e i loro corpi vanno rispettati.
La storia comica e tragica dei paladini di Carlo Magno – dall’arrivo a corte della bella Angelica al massacro di Roncisvalle – racconta la bellezza e la crudeltà della vita. E se da più di cinquecento anni grandi poeti e oscuri teatranti continuano a provare un piacere immenso a raccontarla, un motivo ci deve essere. Mi pare di essere nel teatrino delle marionette dove Pasolini fa raccontare a Totò, Ninetto Davoli, Franco e Ciccio, la triste storia di Otello, Iago e Desdemona. Con quelle stesse marionette vorrei raccontare di Rinaldo, Astolfo, Angelica, Bradamante, Fiordiligi, Orlando e, da ultimo, il massacro di Roncisvalle, quella discarica assurda e insanguinata dove tutti quei corpi morirono e furono abbandonati, occhi al cielo, a domandarsi che cosa sono le nuvole.
Francesco Piccolini

6 febbraio 2009
Produzione Procope Studio
Tullio Solenghi
L’ULTIMA RADIO

La parola radio per quelli della mia generazione ha un potere evocativo particolare, in quei lontani anni ‘50 infatti il totem attorno al quale la sera si riunivano le famiglie era costituito da quello strano aggeggio, l’imponente mobile-radio, infarcito di valvole con due manopole madreperla sul frontale, che avevano il magico potere di proiettarti in uno sconfinato mondo di voci e di suoni.
Ricordo di allora l’inconfondibile piglio toscano di Silvio Gigli, o la calata spoletina di Alberto Talegalli.
Sempre alla radio devo poi il mio debutto in arte, ad appena 17 anni, come “annunciatore sostituto” al gazzettino della Liguria, sede R.A.I. di Genova.
E ancora la radio è stata alla base della mia avventura lavorativa forse più esaltante, quando col “trio” varammo nel 1982 “Helzapoppin Radio Due”, preziosa palestra di tutte le nostre future creazioni e trasmissione che si rivelò poi programma-cult. L’approccio col testo di Sabina Negri è stato perciò un qualcosa di più che il rapporto con un mezzo espressivo che ha fatto da sottofondo alla mia carriera artistica, ma, come accade per il protagonista di “L’ultima radio”, pur se in maniera differente, ha caratterizzato anche i momenti più significativi della mia esistenza.
Il conduttore-factotum ripercorre l’avventura di questa sua emittente, ed essa coincide con un ben più profondo bilancio della sua vita, che passa attraverso quei miei stessi anni, anni densi di speranze deluse, di scelte essenziali, di esperienze che hanno lasciato un solco incancellabile nelle rughe del tempo.
Ci ho messo dentro molto di me, virando un po’ più verso l’ironia, che è alla base della mia ricetta di sopravvivenza. Anche la scelta del tappeto musicale sul quale si muove il tutto ha avuto una forte valenza evocativa, e qui ho trovato la preziosa collaborazione di Marcello, dal quale mi separano almeno due generazioni, ma con cui ho verificato “sul campo” una totale sintonia espressiva che non conosce datazioni o classificazioni.
Devo confessare che generalmente non sono attratto dal “monologo”, ma qui a convincermi è stato il contesto del tutto diverso: il “solista” in questione è solo il tramite di una infinita catena di contatti, rapporti, evocazioni; egli rappresenta la preziosa sinapsi tra gli infiniti microcosmi di umanità che affollano l’esistenza di ognuno di noi.
Tullio Solenghi

24 febbraio 2009
Indie Occidentali
Amanda Sandrelli, Blas Roca Rey
COL PIEDE GIUSTO

Una notte di pioggia, un temporale. Una strada provinciale, buia, poco battuta. Un uomo al volante della sua auto. Un altro uomo a piedi che attraversa la strada. Un incidente. Il guidatore dell’auto è terrorizzato e fugge. Un gesto incivile sempre più frequente nel nostro paese fino a diventare negli ultimi anni l’emblema stesso della disumanizzazione dei tempi che stiamo vivendo.
Ma cosa c’è dietro la fuga dalle proprie responsabilità? Non sempre si tratta di emarginati, ubriachi, extracomunitari o delinquenti abituati a scappare a causa di una vita vissuta al limite dell’illegalità.
Cosa succede quando a fuggire è una persona per bene? Un esponente dell’elite sociale ed economica del paese? Un uomo che ha tutto dalla vita? Una moglie, dei figli, una posizione elevata, un ruolo politico?
Da un incipit tragico prende il via una commedia borghese che unisce i toni comici alla riflessione intorno ad una classe dirigente che non si ferma di fronte a nulla pur di salvaguardare se stessa. Tutto è calpestabile e allo stesso tempo negoziabile.
Ciò che è imperdonabile si trasforma in un mezzo per raggiungere i propri vantaggi. I sentimenti stessi sono elementi di trattativa.
Diventano meri strumenti anche l’amore, l’amicizia, la famiglia, l’onestà, il rimorso. Persino una disgrazia può essere il trampolino per raggiungere un guadagno, per iniziare un’arrampicata sociale, per fare il proprio ingresso in società, per garantirsi un futuro.
In una serie di capovolgimenti di fronti, di imbrogli e di finzioni i protagonisti della storia mettono in scena una versione della propria anima e anche il suo contrario.
Essi saranno mossi in modo alterno dalla sincerità dei propri sentimenti e dalla volontà di usarli allo scopo di ottenere vantaggi. Allestiranno un gioco di strategie e alleanze che metterà in evidenza il fatto che, alla fine, a vincere, in questo sistema sociale, è sempre chi appartiene al gruppo più forte e strutturato, chi hai gli appoggi migliori e chi ha i mezzi per resistere agli urti della vita.
“COL PIEDE GIUSTO” fa del cinismo il suo campo d’indagine principale con i toni della commedia all’italiana più graffiante, quella che è sempre riuscita a cogliere i vizi e i difetti del nostro paese sottolineandoli con una risata.

05 marzo 2009
Compagnia Virgilio Sieni / Comune di Siena - Assessorato alla Cultura / Comune di Firenze - Assessorato alla Cultura
SONATE BACH
di fronte al dolore degli altri

Sono 11 coreografie che deflagrano nel gesto del dolore e della pittura, e ci rammentano altrettanti avvenimenti tragici accaduti nei conflitti recenti: Sarajevo, Kigali in Rwanda, Srebrenica, Tel Aviv, Jenin, Baghdad, Istanbul, Beslan, Gaza, Bentalha, Kabul. 11 date emblematiche raccolte intorno agli 11 brani che compongono le 3 Sonate di J.S.Bach. Fotografie di corpi che si diluiscono attraversando la dinamica e la figura, cercando un approccio irrisolvibile all’orrore.
La danza qui afferma lo sforzo di evocare da queste macerie di esistenza una bellezza impossibile e paradossale, da cesellare con lo strumento etico e politico per eccellenza: il gesto.
L’attenzione torna quindi alla questione del corpo, al suo significato, alla sua complessità e attualità.
La sola risposta che si offre è ancora quella rivolta allo sguardo del pittore del ‘300: la sublimazione della tragedia nella trasfigurazione artistica senza commento, che coinvolge insieme l’umano e il sacro, il singolare e l’universale. Le 11 danze che si succedono hanno l’aspetto di ballate; allo stesso tempo sono una continua dedica in memoria, riferita agli eventi che segnano iconograficamente il tessuto coreografico.

29 marzo 2009
Teatro Bellini Teatro Stabile di Napoli – Politeama Mancini
Leopoldo Mastelloni, Katia Terlizzi
DUE DOZZINE DI ROSE SCARLATTE

Pur se riportato dall'epoca dei telefoni bianchi a quella dei nostri cellulari, resta ancora vivo quell'umorismo raffinato, quel linguaggio dinamico ed effervescente, quella sensualità discreta e garbata che furono gli ingredienti base di una commedia che riscuote successi fin dal suo felice esordio nel 1936. La trama si sviluppa alla maniera della più classica commedia degli equivoci: da un lato un marito che, per sbaglio, invia alla propria moglie un mazzo di rose destinate alla sua amante; dall'altro la moglie che, lusingata dall'ammirazione di questo sconosciuto, nasconde fiori e relativo bigliettino amoroso al marito! In più ci si mette anche l'amico fedele della coppia che, approfittando della situazione, confessa alla donna di essere lui il misterioso spasimante...
Ed ecco che il matrimonio inizia inevitabilmente a scricchiolare, la gelosia divampa e uno smanioso desiderio di evasione soffoca la tranquilla realtà quotidiana dei nostri personaggi.
Un testo brillante e divertente ma che dietro la sua leggerezza nasconde quell'infelicità e quell'insoddisfazione che spesso accompagnano l'essere umano costringendolo a una vita claustrofobica e stagnante, in attesa che, prima o poi, arrivi “qualcosa” di nuovo a riaccendere una scintilla di vita, magari... due dozzine di rose scarlatte!

30 aprile 2009
Armamaxa
BRACCIANTI
La memoria che resta

Braccianti viaggia nel passato, nella fatica di quando si lavorava “da sole a sole”… fino a squarci odierni, a quei nuovi braccianti “a colori”, venuti dalla miseria di altre parti del mondo.
Nello spazio vuoto del palcoscenico poche sedie e, sul fondo, un grande velo bianco dove sono proiettate immagini che prendono vita dai gesti degli interpreti: volti, mani, stalle, strade, campi, vigne, povere stanze dove il ritratto di Giuseppe Di Vittorio, l’uomo che fece della lotta contadina il proprio credo, affianca una grande icona di Cristo. E la terra, quella terra che inghiotte e prosciuga le forze, torna nelle voci, nei racconti, nelle parole dei testimoni di allora.
Un paesaggio umano dal quale emergono gli attori, che da narratori si trasformano in dettagli, in elementi che evocano l’emozione di un mondo, ad aprire la porta della riflessione su quello che siamo, sul passato che ci portiamo denso o negato dentro.
“…Era la stagione delle lotte contadine, dell’occupazione delle terre, della Riforma Agraria. L’entusiasmo e il dolore dello scontro. E subito dopo il sapore amaro di una sconfitta inattesa, perché la riforma era stentata, parziale, stravolta. E la terra ottenuta, tre ettari di pietraie quasi sempre, non bastava; e bisognava partire, andare via. I cortei di contadini a cavallo, fanfare in testa e bandiere in mano, lasciavano un po’ alla volta il posto alle lunghe file di emigranti nelle stazioni. I treni per le fabbriche: Torino, Milano, la Svizzera, la Germania… il paradiso”.
Il teatro, così effimero, si fa carico, di costruire memoria: lo sfruttamento passato che, in altre forme, si ripropone oggi; echi della storia tra paure e ribellioni, durezze, sogni e solidarietà.

Abbonamenti a 7 spettacoli
Platea intero 70,00 euro
Galleria intero 60,00 euro
Galleria ridotto 50,00 euro
Biglietti
Platea 14,00 euro
Galleria 12,00 euro
Galleria ridotto 10,00 euro

Info botteghino
0831.377863
339.8432981
349.5474715
ceglieteatroabitato@libero.it


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