Teatro » 16/03/2009
Dux in scatola @ Susumaniello - Brindisi
• ALLA FACCIA CHE SPETTACOLI!
Seconda rassegna di spettacoli teatrali al Susumaniello, Via Lauro 51, Brindisi
Direzione artistica: Donatella Potenza
Info e Prenotazioni: 320 8257367
Luned' 16 e Martedì 17 Marzo 2009
Ore 21.00
Dux in scatola
Autobiografia d'oltretomba di Mussolini Benito
Di e con Daniele Timpano
"Nella nostra bella Italia, tra le due guerre,
fioriva in Italia uno statista meraviglioso:
Benito Mussolini.
Facciamo uno sforzo d’immaginazione collettiva:
fate conto che sia io. Morto."
Un attore , Daniele Timpano, - solo in scena con l’unica compagnia di un baule che viene spacciato come contenente le spoglie mortali di “Mussolini Benito”- racconta in prima persona le rocambolesche vicende del corpo del duce, da Piazzale Loreto nel ’45 alla sepoltura nel cimitero di San Cassiano di Predappio nel ‘57. Alle avventure post-mortem del cadavere eccellente si intrecciano brani di testi letterarii del Ventennio (Marinetti, Gadda, Malaparte…), luoghi comuni sul fascismo, materiali tra i più disparati provenienti da siti web neofascisti, nel tentativo di tracciare Il percorso di Mussolini nell’immaginario degli italiani, dagli anni del consenso agli anni della nostalgia. L’attore, costretto ad avvicinare la materia da una lontananza cronologica e ideologica immensa, gioca una identificazione posticcia con l’oggetto del suo racconto, parlando sempre in prima persona, come se il suo corpo contenesse la forza criminale del fascismo tra le sue quattro ossa. Una identificazione che è appunto posticcia, visto che in scena non c’è nessun tentativo di rappresentare un personaggio-Mussolini: il duce degli italiani è nel baule, o al limite nella tomba di Predappio. L’assimilazione forzata tra il soggetto (Daniele Timpano: “sinistramente” vivo) e l’oggetto (Mussolini Benito: “destramente” morto) del racconto riconferma la lontananza irriducibile tra due visioni del mondo inconciliabili. (Lo spettacolo è stato finalista del Premio Scenario 2005)
Note di regia
Dal momento che sono, oltre che l'attore, insieme l'autore e il regista dello spettacolo la mia irresponsabilità politica è immensa. C'è stato già chi ha detto che non si può parlare di queste cose in modo così leggero. Oltre che leggero: ambiguo.
C'è chi è arrivato a dire che lo spettacolo sfiora l'apologia di fascismo, qualcun altro addirittura mi ha detto che il modo in cui mescolo le carte può creare degli equivoci, specie in un momento come questo. La realtà è molto più semplice, e più onesta: semplicemente appartengo alla prima generazione per la quale il fascismo non è più neppure una memoria dei genitori. Lo spettacolo è stato un tentativo di riappropriarmi di una materia da cui mi sento generazionalmente escluso. Il Ventennio e la Resistenza io li ho conosciuti da piccolo guardando i documentari Luce in tv, negli stessi anni in cui guardavo i cartoni animati giapponesi e i Western con John Wayne. Da un punto di vista emotivo, non razionale, devo ammettere con grande senso di colpa che per me non c'è differenza tra il fascismo e una puntata del Grande Mazinga: gli alieni cattivi o i robot nazistoidi di Kyashan per me erano sullo stesso piano dei fascisti. Il male assoluto, ma che tutto sommato non esiste. Due cose che fanno parte entrambe dell'immaginario. Il fatto è che siamo tutti malati di immaginario.
Il mio è stato un tentativo di squarciare il velo di irrealtà che copre il fascismo - come cosa che è accaduta sessant'anni fa ma poteva anche essere al tempo dei Sumeri - per farne riaffiorare drammaticamente la realtà. Questa irrealtà è sotto gli occhi di tutti: dai nazisti all'acqua di rose de La vita è bella di Benigni agli ultimi libri di Vespa, fino all'uso improprio di celtiche, svastiche e littori negli stadi.
Consapevole di questa situazione di partenza, che non è certo motivo di orgoglio ma anzi di profonda preoccupazione, mi sforzo di non prendere una posizione ideologica chiara. Se d'altronde la mia posizione, dallo spettacolo, emergesse espressamente “di sinistra” otterrei l’ascolto e l’approvazione solo degli spettatori “di sinistra”. Così, con una posizione “spavaldamente” ambigua, non ottengo forse la piena approvazione di nessuno, ma conquisto (spero) l’attenzione di tutti. Questo mi pare un dovere prima di tutto etico. il pubblico teatrale è in larga parte di sinistra, specie quello del cosiddetto "teatro di ricerca": se ce la suoniamo e ce la cantiamo tra di noi che senso ha? Nello spettacolo il mio punto di vista è volutamente spiazzante. Sono pienamente Timpano e pienamente Mussolini: siamo in fondo una sola carne. Dico io identificandomi con la salma e pretendo di impietosire il pubblico col racconto del mio corpo appeso a Piazzale Loreto, ma poi introduco anche miei ricordi personali, viaggi nei luoghi menzionati nella storia, slogan neofascisti letti su un muro sotto casa. Soprattutto a Mussolini non somiglio per niente: anche solo guardandomi in scena lo spettatore non può fare una sovrapposizione, come accade nel film Mussolini ultimo atto di Lizzani. Tra Timpano e il duce non c'è alcuna somiglianza. L'autobiografia di Mussolini morto è anche un telo non neutro su cui proiettare l'autobiografia di un giovane trentenne del 2006, che è Daniele Timpano. Ma la proiezione vale anche per gli spettatori. L'italia del 2006 non è certo democratica come vuole credere di se stessa. Ma non solo a causa di Berlusconi e di Alleanza Nazionale o, come dicono quelli della Cdl, dei comunisti che mangiano i bambini. L'italia non è democratica da 150 anni, cioè da quando è stata fatta. Da Garibaldi in poi. La stessa impresa dei mille non è un'impresa altamente democratica: basta pensare ai risvolti militari sulle popolazioni di Sicilia e Calabria. Nello spettacolo lo dico chiaramente. Quando racconto la mia autopsia, parlo di un aneddoto certamente falso che raccontò Curzio Malaparte, secondo cui gli infermieri giocarono a ping pong con le mie budella. E la gente ride. "No, non ridete!" - gli urlo. "Questa connivenza tra scena e platea è una vergogna. Io e voi siamo d'accordo, no? Non siamo mica come quei fascisti là fuori, vero? Beh, troppo comodo. Dio, patria, famiglia, Dante, Leopardi, D'Annunzio, Alfieri, Goldoni, Carducci, e l'enciclopedia Treccani, e le targhe commemorative, e l'altare della Patria, e il Milite ignoto, e il risorgimento, e Garibaldi… Siamo circondati da secoli di cultura reazionaria, papalina, paternale, aristocratica, retorica, destrofila e sessista. Ogni italiano dovrebbe gettare la maschera e dichiararsi francamente fascista. Cioè vale a dire reazionario, papalino, paternale, aristocratico, retorico, destrofilo e sessista."
Questo passaggio, come parecchi altri del testo, è profondamente mio, ma è anche il risultato di un collage di spunti e testi altrui (in questo caso la fonte è Furio Jesi, Cultura di Destra, Garzanti, Milano, 1993), per lo più libri di storia, memorialistica o saggistica, ma anche molta letteratura. Non mi interessa la cultura orale: nessun ex partigiano e nessun ex saloino sono stati intervistati per realizzare questo spettacolo. Del resto non sono uno storico e non sono un antropologo, nemmeno dilettante, e sul fascismo non ho niente da dire. Del resto, anche se utilizzo alcuni stilemi del cosiddetto "genere", non sono neanche un "narratore". Della cosiddetta “narrazione” lo spettacolo contraddice (a mio parere) le premesse: la parola io, con la quale solitamente il “narratore” si mette in gioco in prima persona, come un uomo che instaura da subito un rapporto chiaro, di fiducia, tra lui-uomo e gli altri spettatori, uomini anch’essi come lui, è qui ambigua. Non c’è più questo rapporto di fiducia. Anzi, di me – che sono io e non sono io, che sicuramente non sono neanche il personaggio-Mussolini, non ci si può proprio fidare. Dux in scatola è dunque un monologo.
DanieleTimpano
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