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Arte: L'Eredita del Novecento. Recensione di Domenico Saponaro



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Arte » 31/12/2009

L'Eredita del Novecento. Recensione di Domenico Saponaro

L’eredità del Novecento. I capolavori della Collezione Mazzolini

Palazzo Granafei-Nervegna
dal 24 ottobre 2009 al 28 gennaio 2010

inaugurazione: sabato 24 ottobre 2009, ore 18.30
feriali e festivi: 9,30 /13.00 – 16,30 / 20.00
chiusura: lunedì - ingresso gratuito

In mostra anche a Brindisi la collezione Mazzolini uno spaccato dell’arte italiana del ‘900 tra luci e ombre di Domenico Saponaro


La collezione Mazzolini (o, più propriamente, Simonetti–Mazzolini) è uno dei più corposi esempi di raccolta privata di opere d’arte italiana del secolo scorso.
L’imponente corpus consta di ben novecento pezzi - ottocentonovantanove per l’esattezza, con ottocentosettantadue tra dipinti e grafica e ventisette sculture – ed è il frutto della grande passione per l’arte contemporanea condivisa per oltre cinquant’anni, parallelamente all’attività professionale, dai fratelli medici milanesi Giovanni Battista e Fede Simonetti e la loro infermiera Domenica Rosa Mazzolini.
Alla morte dei due illuminati professionisti (1992 e 1994) l’assistente eredita l’intera collezione e la integra con la propria raccolta personale, emancipando ulteriormente la nutrita messe di opere – alla cui scelta aveva già efficacemente contribuito – da quel pittoricismo più tradizionale che aveva improntato il gusto del dottor Simonetti. Nel 2005 la signora Mazzolini dona il tutto alla diocesi di Piacenza–Bobbio (sua terra di origine), che affida a don Giuseppe Lusignani, giovane direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali, la cura del ponderoso catalogo generale (schede biografiche di Frantz Piva), intendendo anche rispettare la volontà della donatrice di non disperdere le opere e di esporle.
Dopo le importanti mostre di Piacenza (a cura di Renato Barilli, 2006) e Maleo (curata da Tino Gipponi, 2008), e alcuni significativi prestiti, una buona parte della collezione è ora proposta anche al pubblico di Brindisi con un’esposizione, a cura di Teodoro De Giorgio, dal titolo invero enfatico “L’eredità del Novecento. I capolavori della collezione Mazzolini”, allestita nelle sale di palazzo Granafei–Nervegna (dal 24 ottobre 2009 al 24 gennaio 2010).
Si tratta di una selezione di circa centoventi opere che attraversano ampiamente il ‘900 italiano, con le inevitabili carenze – non solo temporali – che ogni raccolta privata implica, rispecchiando come è ovvio il gusto del collezionista.
Assenti “giustificati” dunque, molti grandi maestri con la loro eredità; esemplare la mancanza dei futuristi (è presente Carrà con due paesaggi del ’52 e un disegno del ’44 piuttosto lontani, per dire, dal concetto di “capolavoro”); di De Chirico non possono ammirarsi i veri capolavori del primo periodo metafisico ma tarde autocitazioni e altri lavori che, scrive acutamente Barilli nel catalogo di Piacenza, “un’intera generazione di critici, la mia, ha imparato a detestare”.
Ma la grande assenza, per fare qualche nome non da poco, di Modigliani e Marini, Morandi e Guttuso, Burri e Vedova, può considerarsi compensata da altri eccelsi protagonisti dell’arte italiana del XX secolo, presenti con opere ragguardevoli: voglio menzionare la Fanciulla di Emilio Gola, il “Ritratto di dama” di Donato Frisia, un raro paesaggio di Migneco, le “Barche” di Giuseppe Ajmone, le “Donne” di Maccari o ancora le “Bagnanti” di Carlo Prada.
Pregevoli pure due piccoli oli su tavola non datati di Signorini, e una natura morta del ’33 di De Pisis, ben “gettonato” (come pure Rosai) dal dottor Simonetti, e in mostra con diverse opere della maturità parigina.
Altrettanto interessanti i lavori di Birolli e Corpora, che introducono d’impeto nella collezione il fattore-astrattismo, unitamente ad altri esponenti del Gruppo degli Otto (Santomaso e Turcato, mentre di Morlotti ammiriamo un paesaggio risalente all’anteriore adesione a “Corrente”) e ad ancora altri rappresentanti dell’informale italiano: Baj, Bonalumi, Capogrossi, Manfredi, Sanfilippo e Scanavino per citare i più importanti.
Splendido l’Achrome “d’annata” (1958) di Piero Manzoni. Discorso a parte per Lucio Fontana: davvero notevoli i suoi lavori in mostra (sei “Concetti spaziali” della seconda metà degli anni ’50 e “Cristo sulla croce”, una scultura in ceramica del 1951).
Forniscono tuttavia lo spunto per una riflessione sulla cura dell’allestimento. Ha suscitato più di un mugugno, ad esempio, la sistemazione di un suo dipinto sospeso ad alcuni metri di distanza dalla parete, con il presumibile intento di porre in risalto il celebre gesto fontaniano di penetrazione dello spazio pittorico, quindi della violenta e reiterata perforazione della tela: sarebbe stato però utile, in tal caso, non occupare lo spazio retrostante con un televisore, sedie e piante.
Né lascia indifferenti vedere le deliziose carte di Hans Arp e Sonia Delaunay relegate in un piccolo corridoio, in compagnia di una natura morta mortificata di Antonio Bueno.
Curiosa, inoltre, la silhouette vuota, in perfetto stile Facebook, del volto di quegli artisti di cui non si è riuscito a reperire un ritratto a corredo delle note biografiche.
Ma sono scelte, pur discutibili, che rientrano evidentemente nel “gusto” o nelle priorità del curatore, e voglio rispettarle.
E però la verifica storico-filologica delle fonti, l’approfondimento critico, la supervisione sull’apparato didascalico e biografico non sono questioni (solo) di stile, ché sono questi fattori a determinare lo spessore scientifico e critico di una mostra e del relativo catalogo, quindi il loro valore tout court.
Ancora, la selezione delle opere va supportata da una lettura attenta di ogni singolo manufatto, verifiche cronologiche e biografiche (datazioni e/o attribuzioni) “sul pezzo”, nonché da riscontri sulle fonti, rimandi storici, e infine onesta citazione bibliografica (anche in caso di ricorso al provvidenziale web).
Ora: atteso che superficialità o disattenzioni devono essere possibilmente estranee a tale approccio metodologico, andavano evitate alcune sviste marchiane: l’errata indicazione della data sulla didascalia di ben tre dipinti di Fontana (si anticipa l’anno di esecuzione, annotato di pugno dall’autore) o la mancata datazione del cezanniano “Ricoverati che giocano a carte” di Lanaro (non può sfuggire il “1937” accanto alla firma) e del quadro della Delaunay di cui sopra, che invece reca chiaramente, in calce al dipinto, giorno mese e anno (quest’ultimo parzialmente, e colpevolmente, celato dal passepartout) - mai artista fu più diligente.
E sorvolo sulla superficiale (la do per fatta) lettura – e conseguente errore nel riporto didascalico - della tecnica esecutiva della “Pittura 21-56” di Licata o dell’”Interno americano” di Recalcati (trattasi di tecniche miste).
Infine, una scorsa al catalogo: elegante, graficamente valido, con un apparato saggistico ricco di interessanti testimonianze, ma piuttosto carente sul piano del contributo storico-critico, nonché assolutamente privo di rimandi bibliografici; la catalogazione delle opere in stretto ordine alfabetico causa inevitabili asincronie storico-stilistiche; e se alle sculture è giustamente dedicata un’apposita sezione, suscita perplessità un’incomprensibile bipartizione dei dipinti tra realizzazioni su carta (pittura e grafica insieme) e su altri supporti. Chiudono il volume le schede biografiche degli artisti, particolarmente snelle ed essenziali, fin troppo in qualche caso: solo tre righe per Telemaco Signorini, ma il povero Carlo Prada batte tutti. Sono tutti aspetti che, ad ogni modo, non privano della sua rilevanza la collettiva brindisina, che si connota apprezzabilmente per la cospicuità degli artisti e la ricchezza delle opere esposte, nonché per gli eventi collaterali (conferenze e concerti).
Resta il rammarico di dover constatare che ancora una volta venga importato un prodotto culturale già organizzato e proposto altrove, piuttosto che offrire, viceversa, canoni che – lungi comunque da ogni provincialismo – siano espressione delle pur pregevoli risorse nostrane.
In verità si può dire che questo evento possa aver rappresentato un tentativo in tal senso, pur debole e malriuscito. Ma occorrono maggior convinzione e, soprattutto, maggiori esperienze e specifiche competenze, nell’ottica degli approfondimenti di ricerca e della valorizzazione delle risorse culturali, nonché della promozione e, perché no, dell’esportazione di propri modelli di riferimento.

Domenico Saponaro
Da: AltreStrade (n. 11, di prossima distribuzione nelle edicole e nelle librerie della provincia di Brindisi e online sul sito www.altrestrade.com)


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