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Isola di G. Sciarra: La crisi della base navale di Brindisi. Di Giorgio Sciarra



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Isola di G. Sciarra » 07/03/2010

La crisi della base navale di Brindisi. Di Giorgio Sciarra

Brindisi, città perennemente in bilico tra emergenze (occupazionale, rifiuti, ambientale ecc.) e vertenze (da quella energetica, a quella delle tante aziende piccole e grandi che qui applicano la politica del “mordi e fuggi", sino all’attuale vertenza della Difesa).
Il Consiglio comunale monotematico sulla spinosa questione della sopravvivenza della Base navale brindisina, era affollato quasi unicamente da molti dei 413 lavoratori di questa.
Dalle cose dette durante il corso del Consiglio non è emerso, a mio parere, nulla che possa tranquillizzare le centinaia di lavoratori della Base navale militare, anzi credo che dopo quello che si è sentito non possano che restare forti le preoccupazioni appena lenite dall’ovvia, oltre che scontata, solidarietà e assunzione di impegni.

Assodato che non vi dovrebbe essere alcun pericolo per la vendita del castello Svevo ai privati rimane da chiarire il destino della base navale.

Ma cosa ci sarebbe da fare per salvare il salvabile?
Il primo indispensabile passo è certo quello d’intervenire affinché nel piano di riordino della difesa sia assicurato il futuro della base brindisina, penalizzata nell’ultimo ventennio da continui scippi della sua autonomia amministrativa e gestionale facendola divenire nei fatti una succursale della realtà tarantina. Questo ha significato, al di là della persa autonomia in sé per sé, una drastica riduzione della ricaduta economica sul territorio, infatti, il 99% delle aziende fornitrici di materiale e di servizi sono tarantine.
Le responsabilità di non aver saputo o voluto cogliere quegli indizi, che hanno portato all’attuale situazione, sono ascrivibili a tutti: ai dipendenti, alle rappresentanze sindacali e alla politica; però stare ad attardarsi col bilancino per vedere chi ne ha di più o chi di meno non serve a nulla se non a continuare a scavarsi la fossa. Ora è il momento di fare un grande sforzo per salvare l’esistenza stessa della base, e lo devono fare tutti, senza distinzione alcuna e collegialmente: politica, istituzioni, sindacati, senza perdere tempo né a privilegiare altri diversi interessi se non quelli del territorio stesso.

In Consiglio è emerso che la base, com’è ora, non ha futuro, infatti, è stato detto che il naviglio di nuova generazione non potrebbe attraccare alle attuali banchine del seno di ponente e, ancora, che se non si amplia l’attuale sede delle forze da sbarco, la caserma Carlotto, perderemmo anche quelle con conseguenze letali per la base stessa.
Quindi le soluzioni enunciate sono state quella di spostare l’attracco delle navi militari alla diga di punta Riso e ingrandire la caserma. Cosa, quest’ultima, possibile a quanto pare con i fondi dell’Autorità Portuale, quelli presumibilmente destinati in precedenza alla realizzazione del deposito costiero della stessa Marina Militare previsto dall’accordo di programma sottoscritto una decina di anni or sono.
Ma, sorge più di una perplessità.
Posto che sarà necessario ingrandire la Carlotto, se ne deduce che il deposito costiero, voluto anni fa dalla Marina, non si farà più (per il quale il Presidente dell’Autorità Portuale, Giurgola, non è mai stato d’accordo), e qui si pone la prima domanda: quale base navale, degna di questo nome, può privarsi di un deposito che garantisca il rifornimento del proprio naviglio?

La seconda considerazione è che spostare l’attracco alla diga di punta Riso è soltanto un palliativo non è, e non può essere, la soluzione del problema poiché lì non vi sono materialmente gli spazi per costruire uffici e officine, quindi si pone la seconda domanda: ha senso avere gli attracchi in un sito e le strutture di supporto al naviglio distanti circa quattro chilometri (via mare), di quale futuro si sta parlando?

Queste soluzioni non danno una prospettiva reale e seria alla base navale brindisina.
Ci si può girare intorno quanto si vuole ma l’unica soluzione che ne garantisce la sopravvivenza è la sua delocalizzazione in un sito idoneo dove attrezzare una base completa di attracchi, uffici, officine e deposito.
E quale può essere questo sito? Non giriamo intorno neanche su questo punto, l’unico idoneo è Capobianco, dove la Marina Militare dispone già di vaste aree, circa 15 ettari, prospicienti la colmata posta sotto sequestro penale, dove nelle immediate vicinanze, sulle isole Pedagne, si trova la base operativa del Reggimento San Marco e a poca distanza sorge il poligono di tiro di Torre Cavallo E si tenga presente che le numerose unità abitative, realizzate dall’allora Montecatini, insistono tutte su suolo del demanio della stessa Marina e che potrebbero essere utilizzate come alloggi per il personale militare (idea, tra l’altro, che è un’ipotesi progettuale presentata da Italia Nostra nell’Area Vasta).
Comunque se qualcuno ha in mente un sito con caratteristiche eguali o migliori si faccia avanti.

Non v’è dubbio che è necessario trovare le risorse economiche, cosa non facile ma che se esiste una reale volontà politica non è impossibile. E poi Brindisi, credo, possa e debba vantare un credito con lo Stato dopo che una politica industriale imposta ha reso critica la situazione ambientale e messo in pericolo la salute dei cittadini, dopo che la nostra città ospita il più grande polo energetico d’Europa e contribuisce congruamente alle necessità energetiche della nazione.
Abbiamo o no una qualche linea di credito, o dobbiamo subire anche la cancellazione della nostra base con ciò che ne conseguirebbe?

Qualcuno può anche eccepire che a Capobianco è prevista la costruzione del rigassificatore e sicuramente questo è un problema. Al di là delle mie conosciute considerazioni in merito, si metta sui piatti della bilancia da una parte un impianto che nessuno vuole, a parte l’ostinata British Gas, e dall’altro la possibilità di uno sviluppo più armonico della città e la sicurezza di costruire una prospettiva per centinaia di maestranze, per conservare una sede della Marina che è un pezzo di storia di questa città, che è anche una risorsa economica.
Quindi, il rigassificatore diverrebbe, tra l’altro, un tangibile impedimento per il progetto di una città diversa e non è possibile che il destino di centinaia di lavoratori debba dipendere dalla caparbia arroganza di una società inglese che vuole imporre la propria cultura colonialistica. Vuol dire che questo impianto oltre al resto impedisce anche questa possibilità e non vi può essere rigassificatore o interessi di parte che tengano di fronte al futuro della città.

E a proposito di futuro ho letto da qualche parte l’ennesima definizione della politica che la interpreta come l’arte di costruire un futuro alle popolazioni. Spero davvero che sia così ma soprattutto che i nostri politici siano dotati di questa capacità artistica.

Giorgio Sciarra


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