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Approfondimenti: Ai nostri fratelli basta il rispetto. Di Dario Bresolin



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Approfondimenti » 11/01/2011

Ai nostri fratelli basta il rispetto. Di Dario Bresolin

Quando si parla di “immigrati” la città si spacca in due. Da una parte quelli che conoscono la realtà e dall’altra, come sempre accade, quelli che credono di conoscerla. Anche quando si parla del “dormitorio” le notizie, a volte, non sono completamente esatte.
Quella struttura, una volta “macello” poi “sede dei Servizi Sociali del Comune” e poi “Centro Anziani” e poi “magazzino per la segnaletica stradale”, fu individuata nel 2004 per offrire una soluzione “temporanea” a poche decine di cittadini eritrei che dormivano ai giardinetti della stazione.
L’allora assessore ai Servizi Sociali Cesare Mevoli affrontò il problema e trovò una risposta in quella struttura che, immediatamente svuotata e ripulita, fu affidata all’unica organizzazione in grado di poterla gestire, la Caritas. Locali ampi, purtroppo non riscaldati ma dotati comunque di vecchi letti messi a disposizione dalla ASL.
Quattro bagni e quattro docce, realizzati in precedenza come servizi igienici per i dipendenti comunali. Una soluzione “temporanea” per poche persone.
La Caritas provvedeva alla somministrazione del latte al mattino e al panino e latte la sera. Per il pranzo c’era la mensa in Via Porta Lecce.
Poi la notizia si diffuse. Gli arrivi in quella struttura erano sempre più frequenti, forse anche per il fatto che i “lavorati” di Restino, una volta usciti, non sapessero dove altro andare.
Al momento il “dormitorio”, sempre gestito dalla Caritas, “ospita” circa duecento persone. Non pensiamo però a circa duecento letti, a circa duecento armadi e a circa venti bagni e docce.
E’ una sorta di accampamento al chiuso dove reti con su materassi consentono a molti di dormire. Gli altri si arrangiano su qualche scrivania o per terra, con dei cartoni che li separano dal pavimento. Le borse contengono tutto.
I bagni sono sempre quattro e le docce pure. Non c’è acqua calda. C’è anche da riparare, e lo faranno presto, un buco nel tetto dal quale entra la pioggia.
Al mattino non c’è più la distribuzione del latte ma, di sera, il panino ancora c’è.
Il dormitorio deve essere lasciato entro le 8.30 e riapre alle 16 nei giorni normali e alle 20 nei giorni di festa. Già, e i ragazzi dove vanno? Se qualcuno è ammalato, dove va? Non c’è differenza. Tutti fuori.
Ecco perché le piazze e le vie del centro si affollano di “immigrati”. Alcuni di loro sono fortunati e lavorano a giornata in campagna oppure sono di supporto per qualche lavoro che dura pochi giorni. Gli altri, che sono sempre cittadini di altre nazioni in attesa di regolarizzazione in Italia per via delle leggi vigenti, gironzolano in città. Caldo o freddo che sia, che stiano bene o male.
E, ovviamente, sono visibili e fanno nascere domande. La più frequente: “Ma questi ragazzi dove prendono i soldi per campare, per le sigarette, per vestirsi, per il telefonino?”. Fra di loro ci sono quelli che lavorano. E quando si hanno in tasca 20 o 25 euro sono anche per chi non ne ha.
E’ la loro “fratellanza”, un sentire di solidarietà che noi certamente non conosciamo più.
Se c’è chi non ha soldi per chiamare a casa o per comperare qualcosa da mangiare per la sera sa di poter contare sul “fratello” che quel giorno ha lavorato. E poi ci pensa Dio, che spesso pensa a loro molto di più di quanto non facciamo noi uomini.
Se queste persone sono qui ed in queste condizioni è perché attendono una “regolarizzazione”. I più fortunati hanno trovato lavoro e vivono in affitto. Gli altri, senza un lavoro regolare e quindi senza un reddito dimostrabile, non possono nemmeno affittare una casa.
Sono ragazzi perbene, tranquilli, lontani dalla terra e dalla loro casa. Bisogna ammettere che, nonostante le condizioni di vita che riusciamo a garantire loro soprattutto istituzionalmente, dimostrano tutta la loro dignità sia nel comportamento sia nel modo di essere sempre in ordine.
E da qui si capisce la qualità delle persone. Tra di loro ci sono diplomati e lavoratori qualificati. E’ bello sapere che tra di loro c’è dialogo, nonostante le differenze di lingua, per vivere in un clima che sia sempre tranquillo, in attesa di una sistemazione più “vera”. Basti pensare che se uno ha fame e non può comperarsi niente ed un altro ha da mangiare… si divide in due. Come in una grande famiglia.
Non è poi assolutamente vero che il Comune o qualche altro Ente garantisce loro una somma quotidiana. Non è mai stato vero.
C’è da chiedersi, a questo punto, come mai risulti così difficile, a livello istituzionale congiunto, trasformare in “attenzione” e “rispetto” quei valori fondamentali che sono la carità e la solidarietà.
Più velocità per i documenti e più letti nel dormitorio. Acqua calda corrente e qualche bagno in più e funzionante. Non crediamo sia così tanto. Il guaio è che loro non chiedono, non organizzano manifestazioni, non usano le televisioni, non bussano alle porte dei giornali. Ma non per questo non vivono quotidianamente il loro sentirsi “diversi”. Una diversità che nasce esclusivamente dalle nostre regole di legge e che speriamo non abitino più nel cuore di molti.
Abbiamo aperto le porte di casa a più di ventimila albanesi.
Possibile sia così difficile trovare letti a sufficienza, l’acqua calda e qualche bagno in più? E magari un servizio di sicurezza, anche interno, perché la struttura rimanga aperta sempre? Come ci sentiremmo se ci fossero i nostri fratelli o i nostri figli, lontani da casa, in una terra straniera e tanto diversa dalla loro, in quelle condizioni?

Dario Bresolin


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