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Musica: Diario di bordo. Pagina n. 68



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Musica » 10/02/2011

Diario di bordo. Pagina n. 68

Se solo la musica potesse parlare, spiegherebbe da sola perché RADI@zioni è un fiume in piena e continua a regalarci emozioni così forti. Ogni situazione è una nuova pagina da scrivere sul nostro diario…
Come già segnalato, il 4 febbraio scorso, sul prestigioso palco del Circolo ARCI “Renfe” di Ferrara, teatro degli artisti di spicco della scena “indie” italiana, si sono esibiti VU-MeTeR (Michele De Luca) e la band de Il Soldato Timido.
Il primo è uno dei nuovi e giovani talenti più originali e di maggior spessore che sta crescendo musicalmente all’interno di RADI@zioni. Il secondo, invece, è il nuovo progetto musicale dei “pionieri” Vincenzo Assante, Giovanni De Leonardis, Nanni Surace e Danilo Ingrosso.
Nella città della gloriosa Spal, una parte della scena indipendente brindisina ha mostrato lo spirito, il cuore e la voglia insieme alla carta d’identità e il certificato di residenza.
Questa è la parte alternativa della città di Virgilio, le cui fonti di ricchezza e di energia sono rappresentate dalle idee musicali e dalla qualità dei suoi artisti a cui finalmente si stanno riconoscendo significativi e importanti meriti. Vi riportiamo di seguito le sensazioni e le emozioni di una memorabile, fantastica, familiare e caldissima serata di rock’n’roll, raccolte da uno degli autori degli affreschi sonori brindisini creati e dipinti all’interno del “Renfe” di Ferrara.
(Marco Greco)

Ho il vento sulla faccia, la vita tra i capelli e molto freddo nelle ossa, che sono nude come i pensieri. Puoi leggerli, quelli, sul mio volto, negli occhi che ridono, nelle labbra che si spaccano in un sorriso porpora per il sangue raggrumato delle piccole ferite verticali che il vento d’inizio febbraio partorisce sulla mia pelle fragile. Quello che mi preoccupa di più sono le mani, perché sono fredde, e… già lo so, non si scalderanno, almeno sino a che non sarà “tutto finito”, e sangue gelido e faccia bronzea non saranno più accessori utili da portare nel bagaglio ingombrante e longilineo del mio corpo da ventunenne. Arrivo in largo anticipo rispetto al mio consueto ritardo.
Il locale è chiuso, ma gli “artisti” entrano dal retro. Rido. Arrivano i “Timidi”, con strumenti e facce stanche, purtroppo mancano all’appello bandiere e sciarpe bianco azzurre, altrimenti, l’invasione estense di una frangia Rock della curva sud “Michele Stasi” sarebbe cosa fatta. Non avevo mai visto tanta luce al “Renfe”; è sempre stato un posto scuro ed incerto per le mie “passeggiate” a spintoni durante le serate universitarie o i concerti da “braccia incrociate e bocca spalancata” di Amerigo Verardi e Marco Ancona, dei Bachi da Pietra e di Moltheni.
È tutto “strano”, e ciò che è strano, finisce per divertirmi, quasi sempre. Anche solo sapere che voce ha il fonico è una cosa “strana”, anche rendersi conto che tutto è più “normale” e “vicino” e “tangibile”, è strano. Probabilmente “strani” sono anche i vestiti che indosso, o semplicemente il cappello (o tubo per capelli) che mi porto appresso da quando l’inverno ha deciso di scegliere Ferrara come sua meta per la stagione fredda. Non sono sicuro che la chitarra sia accordata, me ne preoccupo, in un lampo di “chiarezza terrena”.
Finisco per suonare e cantare in un angolo, “raptus musicistico”; credo si tratti di una strana malattia che, ad ogni modo, non ho intenzione di curare. Ma il tempo è una cintura che regge i pantaloni del giorno, e, di tanto in tanto, stringe.
Si va sul palco, soundcheck, la luce è tanta, la voce poca e stonata, non si rischia a poche ore dall’esibizione. Alza i bassi, abbassa i medi, non toccare gli alti, cambia il Jack, “1-2-3… sa-sa-PROVA!”.
Ancora più confusi i capelli, rilassate le guance. Sono le 20, presto per un sacco di cose, già tardi per altre. Si va a mangiare, cibo spinto nello stomaco echeggiante, per eliminare il riverbero; coca-cola nella gola, non acqua, quella fa ruggine. E dischi, e risate e fumo di riflesso; miele prima di uscire, cambio d’abito in bagno, EDDA ed il topo sul petto, una giacca nera sulle spalle, per fingere che siano larghe e forti.
Nuove luci, più familiari questa volta, è tutto pronto, manca il pubblico e la mia vergogna, ma per la seconda non posso e non voglio garantire.
Soffio tra le dita, aria calda inutile. E rido ancora, mentre la gente entra, mi saluta, mi abbraccia, e mi domanda: “Carico?”, ed io che mi sento un “Nokia” ultimo modello, rispondo laconico “Si”. Poi flash e i “Oh, ma quando inizia?” Gli omaggi per le bibite; io mi scordo di prendere l’acqua, poco male, canterò a secco. Il telefono che squilla, l’intervista in diretta dai Bagni del Renfe, con mio padre che cerca di essere professionale e ci riesce, mentre io, fallisco miseramente, gettando nel ricevitore adrenalina e stronzate. E poi, “click”. Acceso!
Salgo sul palco, il legno rende i passi sordi ed il respiro rumoroso, il microfono è già aperto, la chitarra fa un sacco di rumore. Divento di uno e tanti colori, sento il sudore delle luci calde, i brividi di quelle fredde e mando gli occhi a cercare un punto di riferimento: quando farò finta di guardare verso il pubblico, guarderò “lui”. Le mani battono, fiducia che devo ripagare, le voci si spellano in “Dai Michè” necessari, non c’è paura, non più, forse incoscienza, forse ancora, solo, il divertimento dello strano. Avvicino la bocca al microfono, non fischia, mi aspetta.
E’ un attimo quello che ti separa da un silenzio imbarazzante, e se vuoi sopravvivere, devi vincerlo, devi parlare. “Ehm…buonasera a tutti! Allora… l’altro giorno, ho letto una notizia che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. La recente svalutazione dei metalli pesanti, ha mandato in fumo il mio progetto di mettere all’asta la mia faccia di Bronzo”.
Qualche sorriso strappato alle facce perplesse, chiudo gli occhi, e poi: “click”. “MI minore”. Finisco il primo brano, la gente applaude, io la guardo, facendo finta, ringrazio tutti (ricambio la fiducia), dico qualche altra fesseria e richiudo gli occhi, altro “click”. Perdo maschere e vergogna, compro cambiali di voce ed accordi e riparto, cantando e suonando quello che non sono, gridando me stesso, urlandomi.
L’ultimo “click” è quello che saluta ogni sguardo perso, ogni sussurro amplificato: è il “click GranFinale”, per quello, cambiale doppia con il destino, ma io prometto, pagherò. Consensi, sorrisi, mi alzo, mi inchino. Vincenzo dice il mio nome al microfono, ma riconoscermi mi viene ancora difficile.
Scendo dal palco, investito dal caldo e dalle pacche sulla spalle; stringo decine di mani umide, dico un sacco di automatici “Grazie”, ma la priorità è quella di cercare il “mio angolo”, pugile stremato ma con un sorriso che ha ancora tutti i denti, e come un carcerato fresco di galera e completo a strisce, reclamare il diritto alla “mia telefonata”. Compongo il numero, dico quel che riesco a pensare, ma ancora una volta di tempo ne servirebbe troppo, ed i momenti sono famosi per non concederne così tanto.
“Il Soldato Timido” è già sulla scena, a nutrirsi di “click” adrenalinici, delle luci psichedeliche e del rock che scorre nei cavi dell’alta tensione, che si collega al mixer ed insegue “la Figlia del vizio”. L’onda d’urto mi spettina, canto a squarciagola, senza aver cura, ora, di corde vocali ed annessi anatomici. Mi vibra ogni singola ciocca, e le note sono come le estati degli anni del liceo, troppo brevi, troppo intense. Quando “tutto finisce” il sangue torna caldo, la faccia di carne ed ossa sporgenti; il rumore dei raggi della bici, dei pedali cigolanti e della notte di Ferrara mi riempie le orecchie.
Apro la porta di casa, poso la chitarra sul tavolo nell’atrio e getto me stesso sul divano del soggiorno; chiudo gli occhi e sono certo di essere vivo.
Per un secondo, uno solo, penso a chi poteva esserci, ma non c’è stato… e Rido. “In fondo si tratta di dare alla gente quello che la gente vuole!”.
(Michele “VU-MeTeR” De Luca)


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