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Approfondimenti: Wine & Land. Di Pino De Luca



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Approfondimenti » 28/02/2011

Wine & Land. Di Pino De Luca

È di venerdì che cade il 25 di febbraio 2011. Il mio amico Sergio, brindisino, produttore di vini eccellenti, partecipa al meeting di Wine & Land in Puglia. Per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare devo riportarlo indietro. Finito il mio lungo giorno di lavoro imbocco la 379 e, sotto un pioggia tanto sottile quanto fredda ed insistente, arrivo nello splendido scenario di Torre Maizza. Non ho accredito come giornalista e nemmeno come produttore, potrei averlo per entrambi ma mi piace “testare” le organizzazioni che promuovono eventi. Dotato di semplice faccia tosta riesco a fare un lungo giro all'interno del padiglione contando anche sulle numerose conoscenze di cui dispongo all'interno degli espositori. Ambiente ordinato, efficiente, caldo (forse troppo) con soluzioni da open office che lasciano grande visibilità e insieme grande riservatezza. Passa quasi mezz'ora prima che il cerbero mostri la sua faccia feroce e con modi appropriati da cerbero mi suggerisca di accomodarmi fuori. Ovviamente lo faccio e ciò mi consente di osservare il contesto e di intrattenere colloqui con gli operatori che hanno il vizio del fumo e che mi raccontano le loro impressioni nelle pause dedicate alla soddisfazione di bisogni nicotinoidi.
Il commento pressoché unanime è positivo anche se le aziende meno strutturate fanno qualche fatica a gestire l'intensità dei colloqui che avvengono in lingue diverse. I visitatori (compratori e giornalisti) di media sono più a loro agio con le lingue conoscendo tutti un inglese fluente e abbastanza ricco. Meno efficienti sembrano le aziende anche se molto migliorate e molto migliorata è la qualità dei prodotti presentati. Rigiunta l'ora giusta vengo riammesso alla visita dei padiglioni insieme ad alcuni giornalisti della carta stampata e delle tv e un splendida signorina ci accompagna raccontandoci la forma organizzativa adottata e il loro modus operandi. Sorpresa grande sono tre giovani ragazze tra le quali una collega di testata che si interessa ai vini. Trovo tutto molto migliorato rispetto alla edizione precedente e molto utile la presenza dell'enoteca in un'area riservata. Il personale di Torre Maizza a disposizione è tanto, ma sono rapidi e silenziosi come giaguari. Fanno sparire bicchieri usati e resti di degustazioni sostituendolo tutto con stoviglie monde come abilissimi borsaioli, senza fare il minimo rumore o manifestare la minima invadenza. Giacinto poi è in formissima e riesce ad esser foriero di serenità anche quando ha vissuto appena esperienze personali luttuose. È bello avere amici così.

S'avvicina la cena, Gianvito mi consegna la sua delega di rappresentanza che esibisco al cerbero (forse incarognito ma sappia che non ho alcun rancore verso chi fa il proprio lavoro, anche quando è antipatico) e la sera ci spostiamo dalla bellezza diurna di Torre Maizza allo straordinario fascino serale di Torre Coccaro. Bellissimo l'ingresso e le sale ristorazione.
Sala aperitivi con bianchi e bollicine, tavolo dei formaggi, dei salumi, pettole e panzerotti fritti al momento, come delle verdurine in tempura e soprattutto “Hulk”, un meraviglioso ragazzone che fa dei nodini di mozzarella e delle burratine all'istante. Abilissimo (ottimo il taglio della burrata) e rapido vale la pena da solo una visita e il sorbirsi l'ennesima interpretazione di suoni della pizzica e di danze di fanciulle tanto brave quanto sadiche: al solito invitano a ballare due malcapitati giovanotti fra gli astanti. Un po' per l'imbarazzo e molto per impreparazione, questi coraggiosi si muovono come cammelli ubriachi facendo fare una magra figura all'intero genere maschile. Ad un tavolo olive, lupini e frutta secca.
E i vini, alcune cose buone tra i bianchi, altre solo cose. Degustiamo con Beniamino una cosa buona: la sua Verdeca spumantizzata. Eccellente bollicina non esportabile. Va a ruba.
Scemando le note di una Kalinitta improbabile si svolge il rotolo di qualche centinaio di persone pronte alla cena dove attendono momenti di convivio sempre secondo parametri stabiliti dall'organizzazione. Ottima l'idea: rafforzare i legami deboli che si creano per lavoro con la prosecuzione in ambito conviviale. Di rado s'afferma. Vi sono relazioni che si creano durante il giorno che hanno bisogno di riconfermarsi durante la sera e, almeno nell'immaginario, anche oltre il desco. Vado ad occupare un posto insieme al mio amico Paolo (Paoluzzo) e al suo sodale Mino ad un tavolo dove sono assisi una ragazza californiana (parla perfettamente l'italiano), un signor belga (parla francese e inglese), una ragazza brasiliana (parla un sacco di lingue tutte benissimo compreso l'italiano) e un ragazzone del Quebec che mi siede alla destra. Non è il mio, quello è stato occupato da persone che avevano voglia di stare insieme. Alla stessa guisa altri si son comportati contravvenendo al cerimoniale ma ritrovando una stabilità autonoma e comunque serena.
Ho bisogno di ascoltare, comunico che sono sordo e che devono parlar piano in modo che possa leggere il labiale. Lo so che è una palla o quasi (in realtà sono solo semisordo) ma starò solo una sera e ho bisogni di accumulare il massimo delle emozioni e delle notizie. Sorvolo sul menù servito, sono troppo impegnato ad ascoltare e a comunicare con il mio commensale canadese al quale faccio un po' da guida sui vini rossi. L'agneau servito ha eccessiva dose di aceto balsamico, da massacrare un qualunque onesto rosso. Vedo sul tavolo delle bottiglie un Nero di Velluto, lo arpiono e lo servo ai presenti. Sia il giovane canadese che la giovane brasileira apprezzano assai (giustamente, cosa gli davi su quei sapori così accentuati?), il signore belga è rigoroso, avrebbe assaggiato l'indomani il Nero di Velluto perché era abbinato a Gianvito. Subito dopo Alberelli di Paoluzzo, splendido negroamaro in purezza de L'Astore che, prima o poi, spero verrà commercializzato, e, a chiudere con i rossi un vino dedicato alla bellissima signorina che adora le olive verdi: il primitivo di Beniamino. Ultima bottiglia, è andato a ruba.

Il convivio si è aperto, ho avuto il privilegio di conoscere Valentina, una giovane produttrice di vino biologico in quel di Apricena, alle falde del Gargano tra mari e monti e una collega del Movimento Turismo del vino. Bellissime, e non mi riferisco all'aspetto fisico oltremodo gradevole, ma per competenza e coraggio, capacità d'esser presenti in termini di dialogo e accurata preparazione. Che bello sapere che molte donne giovani entrano nel mondo della produzione vitivinicola. Non potevo che ringraziarle proponendo un giro di vini dolci (Botrus, Passo delle Viscarde, Serra dei Santi) per finire con quello che piace moltissimo alla signorina delle olive verdi: il Gravisano di Beniamino, appena in tempo perché ne è rimasta solo una bottiglia piccola. È andato a ruba.
Beniamino si lamenta, fin dall'inizio i suoi vini son rari ai tavoli e son testimone oculare di alcuni signori che hanno sottratto una bottiglia fin dal Gravina, e Beniamino mi testimonia che ogni anno è la stessa storia … Gli fregano le bottiglie.
La fine della cena sena il ritorno a casa con Sergio, anche lui stanco ma soddisfatto. In macchina non parliamo né di politica né di calcio come abbiamo fatto con Beniamino concedendoci una tregua. Già, perché Beniamino è milanista (capita, non é colpa sua) ed è anche berlusconiano (questa è proprio colpa sua), ma gli voglio bene lo stesso.

Ottima serata. Progresso visibile. Per il futuro ho una speranza, anzi due. In un mondo che ricomincia a girare normalmente:
- 1) i produttori, per partecipare a queste manifestazioni, dovrebbero essere remunerati invece che accollarsi le spese;
-2) una mezza giornata dedicata alla stampa italiana che incontra i visitatori per raccogliere giudizi, umori e sensazioni potrebbe essere utile a tutti. Impedirebbe la necessità di ricorrere alla faccia di bronzo e renderebbe anche i cerberi più simpatici. Prometto comunque che la prossima volta, se ci sarà, seguirò tutte le strade ortodosse e non farò nemmeno finta d'esser sordo.
Ah, dimenticavo, alla splendida signorina californiana che, giustamente, fustiga “alcuni giornalisti italiani specializzati che non conoscono una parola di inglese” vorrei confermare la mia stima e però sottoporre un mio personale tarlo: quando, molti anni or sono, ho cominciato a studiare informatica, mi spiegarono che dovevo necessariamente imparare l'inglese poiché gli americani erano la punta di diamante nel campo e, ovviamente, scrivevano nella loro lingua. Così è accaduto quando ho dovuto fare gli esami per diventare Cisco Instructor. Ora trovo singolare che lo stesso non accada per quanto riguarda il vino, campo nel quale, mi si permetta un minimo di amor patrio, siamo un paese certamente all'avanguardia sullo scenario planetario. E oso meravigliarmi molto di più dell'esistenza di giornalisti specializzati in campo enoico che non conoscono una parola di italiano. Faccio un errore?
Last but not least: sarà possibile, un giorno, che chi fa vino che va a ruba possa sostenere qualcosa di meglio di chi va a Ruby?

Pino De Luca


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