Approfondimenti » 12/03/2011
Antonio Tashuku è brindisino. Di Alfieri Carbone
Il 7 Marzo del 1991 era un Giovedì. Non so dirvi che tempo ci fosse nel Sud Italia. Sicuramente c'era mare grosso, onde alte tra le coste italiane e quelle albanesi.
Alle 6 del pomeriggio di quel 7 Marzo di venti anni fa Antonio Tashuku si imbarca. Non su un barcone. Una barchetta capace, però, di contenere almeno 80 ragazzi, tutti albanesi. Stipatissimi e partiti dal loro Paese alla volta dell'Occidente.
"Per noi,voi eravate il mondo civilizzato" - mi racconta Antonio - , uomo gioviale e affermato ingegnere, nel brindisino. "L'Italia era allora, come oggi, la porta verso una vita migliore."
Antonio, dalla sua casa di Scutari, ci osservava da tempo attraverso quella che chiama "una finestrina piccola piccola: la televisione".
"La guardavamo tutti -ci dice- anche se il segnale era disturbato. Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Raffaella Carrà, Little Tony che era il nostro Elvis Presley" - continua sorridendo Antonio - che parla con un accento mezzo albanese, mezzo pugliese. "Per noi l'arrivo del Festival di Sanremo era l'avvenimento dell'anno: attaccati alla radio facevamo a gara a chi imparava prima la canzone di Rita Pavone".
Per Antonio Toshuku è quello il mondo in cui vivere e in quei giorni del 1991 sono in tanti a pensarla così.
Il 7 e l'8 Marzo sulle coste pugliesi arrivano infatti almeno 20000 albanesi.
Se non li ricordate, andate a vedere quelle immagini.
Barconi con sopra migliaia di uomini, donne, bambini. Volti scavati, mani tese a prendere il cibo che viene loro lanciato. Sono facce stravolte eppure sembrano da una festa.
Vengono gli occhi umidi , ancora vent'anni dopo.
Anche Antonio si commuove mentre ci parla. Ma è una commozione che non piange, ride. Ride pensando per esempio alla sua adorazione durata anni per i frigoriferi pieni. Ride nel pensare a quella volta in cui lo chiamò sua madre dall'Albania nel '99. Arrivavano i kosovari in fuga dalla guerra e lei diceva: "Li metto in giardino, con la tenda!" E lui dall'Italia: "Ma no mamma, portali in casa". E lei: "Ma non sappiamo chi sono!" E ancora Antonio: " Manco li pugliesi sapevano chi ero quando mi hanno accolto nelle loro case!".
Carlucci si chiamava la famiglia che gli ha aperto le sue porte. Papa Nicola e mamma Cosentina li chiamava, allora ventisettenne. Oggi, a 47 anni, Antonio Tashuku ha una moglie pugliese e due figli. Vive a Carovigno e ci dice due cose.
Uno che il suo viaggio dall'Albania all'Italia l'ha quasi rimosso, tanto ha pensato di morire su quella barca.
In fondo lui è nato due volte, l'ultima delle quali a cavallo tra il 7 e l'8 Marzo 1991. Alle 8 di mattina avvista terra, poi l'arrivo. Sono le sei del pomeriggio e Antonio, stanco, spaventato coi suoi pantaloni a zampa di elefante mette piede in Italia.
- "Una volta che abbiamo raggiunto Brindisi, era quello che ognuno di noi aveva sognato nella sua vita, per cui mi vengono solo brividi al ricordo. Il popolo pugliese è per me un popolo meraviglioso. Di una grandissima disponibilità, di una grandissima bravura, di una grandissima sensibilità. Io non so dove ha trovato la forza quest'angolo della terra italiana. Giuro, non lo so! Tutta la cittadinanza, dai ragazzini di 5 anni agli anziani di 80 anni che erano tutti pronti.. Chi con una caramella in mano, chi con un libro in mano, chi con un pezzo di pane, una mela in mano che venivano verso i luoghi dove noi eravamo ospiti e ci consegnavano quello che loro avevano."
Per i Nord africani che arrivano in Italia in questi giorni, Antonio dice di provare dolore, perché scappano da qualcosa che li sta inseguendo e gli augura, di cuore, di trovare la loro via di fuga, come ha fatto lui.
Ho riportato fedelmente sia l'intervista rilasciata da Antonio a Radio Popolare Roma, sia l'introduzione della giornalista Marta Bonafoni, direttrice della radio.
Ho il piacere di conoscere personalmente Antonio per questioni lavorative. Lui è un ingegnere, molto simpatico e alla mano. Niente superbia per il ruolo che ricopre ma un'umiltà ed una gentilezza difficilmente riscontrabile neanche tra noi, poveri, miseri, rozzi operai.
Ieri, come spesso capita, è venuto in officina e mi ha chiesto di ascoltare l'intervista rilasciata. Avevo pensato tante volte di scrivere qualcosa su quell'avvenimento che rimarrà impresso in maniera indelebile e che ho vissuto quando ero poco più che ventenne.
A volte non si riescono a trovare le parole per spiegare degli avvenimenti così grandi e per elogiare una popolazione. Allora ho voluto che fosse un protagonista a farlo e di questo lo ringrazio.
Vedere la commozione nei suoi occhi nel ricordare quegli istanti così drammatici ma allo stesso tempo festanti e liberatori mi ha reso, ancora una volta fiero ed orgoglioso di appartenere ad un popolo, sicuramente bistrattato e non esente da colpe, ma sicuramente ospitale e generoso.
Non mi piacciono le etichette, le detesto.
L'uomo non è un pacco di cracker o una bottiglia di gassosa. Le etichette vengono "appioppate" troppo facilmente. Così se qualcuno si preoccupa dell'inquinamento che alcune grosse imprese fanno a spese del tuo territorio, diventi immediatamente "ambientalista", sostantivo usato per lo più in maniera negativa.
Quante volte ci è capitato di sentire il termine "albanese" rivolto a denigrare qualcuno e non certo per fargli un complimento?
L'Uomo è uomo, stai lu buenu e sta' lu fiaccu..
P.S. Andando via ieri Antonio ha notato delle mensole che dovevamo buttare ed immediatamente ha detto: " Se non vi servono, le porto via io... d'altronde vengo di Alba'nia!" L'ha detto e rideva ed io insieme a lui!
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