Approfondimenti » 27/04/2011
La rete e l'uovo. Di Pino De Luca
Coda di aprile all'insegna del brutto tempo. Qui, al tramonto di queste brevi vacanze pasquali accavallate alle festività fondative della Repubblica Italiana, dalla finestra della mia casetta, vedo salire cumulo-nembi dai colori scuri e minacciosi di pioggia a catenelle. Le imposte ormai disposte a vasistas lasciano entrare un filo di aria fredda che contrasta non poco con la data stampata sul calendario.
A parte le ricerche sulla principale delle attività umane (ricerca del cibo), la consultazione di volumi straordinari direttamente da casa (che bella la rete) e lo scambio di battute con qualche amico nel più diffuso dei social forum, capita che ci si soffermi su stati minimi della relazione fra sé stessi e l'ambiente che circonda.
Asimmetrico è il rapporto con la rete, globale ma fortemente asimmetrico.
Possiamo avere influenza nella realtà estesa che abbiamo costruito ma è assai più improbabile che essa ci influenzi avendo noi medesimi, piccoli automi miopi, possibilità di scaricare attraverso un unico assone le nostre sensazioni e, però, di ricevere innumerevoli sollecitazioni attraverso le molte dendriti che ci raggiungono. E poiché il nostro unico assone è una delle tante dendriti che giungono alla ambia dimensione del nostro globale pertinente, la nostra capacità di influenza risulta assai ridotta.
Interessante sarebbe l'investigazione sulla “matematica delle influenze” all'interno della rete, mi riservo di approfondirla, mi colpisce di più, in questo momento, approfondire un ragionamento sulle ragioni che, segretamente o palesemente, ci spingono a valutarci in termini di “sfera di influenza”.
Tanto s'è inveterata questa “nuova esigenza” che ne ha avuto immediata “traduzione commerciale”.
Il blog di successo o la pagina più quotata o il video più visto diventano rapidamente oggetto di proposta commerciale e fonte, per lo meno, di soddisfazione personale anche microscopica.
Di rado ci si occupa del contenuto del messaggio. Anche qui “appareo ergo sum” e l'essere “taggato” diventa segno di considerazione e messaggio stesso in ragione della postura del “tag”.
Non son certo il più indicato per accomunare tutto ciò sotto il termine riassuntivo di “stupidaggine”. Il mezzo, nella comunicazione, diventa fine e la forma si sostanzia producendo modificazioni reali e concrete ad ogni livello, finanche antropologico.
Cambiano i linguaggi e con essi la rappresentazione dei pensieri e cos'altro sono le rappresentazioni dei pensieri se non dei progetti? Progetti spesso votati al naufragio ma a volte capaci di realizzarsi.
Le sfide che sono innanzi al genere umano sono ciclopiche, gigantesche, da far tremare i polsi. La rete costruisce connessioni rapide, mediazioni culturali e denominatori comuni mai esistiti, la lingua, la musica, anche il sesso superano barriere geografiche e temporali. Eppure la società reale e concreta fatica, in ogni luogo, a trovare ragioni di cooperazione, capacità di stare insieme e di operare in armonia organizzata ed equifinale.
Tecnologia e necessità impongono unione ed il comportamento dei singoli inclina pericolosamente nell'individualismo.
Sembra una contraddizione in termini. Ma la spiegazione è semplice, semplicissima. La tecnologia e la cultura non sono andate di pari passo. La potenza tecnologica ha sopravanzato il progresso culturale mettendo nelle mani di una moltitudine di individui dalla inclinazione beluina un'arma micidiale soprattutto perché rivolta verso sé stessi.
La possibilità di costruire connessioni da parte di individui impreparati alla cooperazione è stata intesa non già come opportunità di relazione con il mondo ma come possibilità di costruire il proprio “regno”, il proprio spazio di riconoscibilità e di optare rapidamente per il proprio mondo virtual nel quale si è qualcuno piuttosto che per il real nel quale, probabilmente, non si è nessuno.
E la frantumazione sociale ha cominciato il suo rapido tracimare in ogni luogo, decomponendo agglomerati, organizzazioni e sistemi compartecipati, promuovendo esclusivamente agglomerati giganteschi con simboli quasi feticisti (i colori di una squadra, le canzoni di una band, le chiacchiere di un leader politico o le farneticazioni di santoni all'amatriciana).
Il riunirsi contro è diventato l'appello che garantisce “amicizie” e “contatti”. Costante fissa: qui non vogliamo bandiere di partito. Senza comprendere che i partiti non esistono più, nemmeno in rete, nemmeno per scherzo. Perché fare un partito significa confrontarsi con il mondo reale, quello che si trova e non quello che si sceglie.
Continuerò a frequentare la rete e a scrivere cose “al di fuori” del linguaggio della rete. Mi piace avere “contatti” e “amicizie” ma mi intriga molto di più continuare a sapere come si fa a vedere se una gallina è ovaiola oppure no.
Pino De Luca
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