Approfondimenti » 09/06/2011
Sessione di scrutinio. Di Pino De Luca
Finisce la scuola e siamo al redde rationem, alla fase più difficile del lavoro di insegnante: la valutazione. Sono nella scuola superiore, è li che la mia carriera lavorativa si è evoluta (sic!) negli ultimi decenni. Stuoli di ragazzi che combattono con l'acne e il testosterone, con la famiglia e il prof stronzo hanno incrociato la parabola della mia esistenza che ha da tempo raggiunto il vertice e ora, dolcemente, si avvia al prossimo punto di intersezione con l'asse delle ascisse.
Stuoli di ragazzi ora adulti e di adulti ora sepolti. Ho incontrato docenti straordinari ormai in pensione o che cavalcano liberi nelle grandi praterie. Persone che mi hanno insegnato ad insegnare, a comprendere le ragioni dei ragazzi e a provare a convincerli che la scuola era utile.
Qualche volta, lo dico senza falsa modestia, con qualche successo. Rina Centonze e Doretta Bandello, Antonio Lepore e Salvatore Linciano, Francesca Martina e Franco Licci sono nomi che tengo stampati nella carne, docenti che sapevano davvero docere.
Era il tempo in cui insegnare era faticoso, c'era la “contestazione”, il “movimento”, la necessità di essere riferimenti e presenze concrete per ragazzi che progettavano un futuro pieno di speranze e, però, ambiguo, controverso, difficile da interpretare.
Poi quel futuro si è riempito di illusioni, di vetrine scintillanti e insegne luminose. Il docente è diventato un orpello e insegnare una inutile attività. Bastava mostrare le tette o i pettorali, vestirsi alla moda, frequentare discoteche o campi di calcio per avere fortuna e successo. Il tempo dei nomi leggendari è finito e anche il tempo di chi a quella leggenda era legato. Sconfitti e in pensione si ammaina la vela lasciando che le correnti facciano strame di scialuppe piccole e abbandonate ai marosi, senza timone e senza bussola. Il futuro è una palude nella quale, come nel canale di Sicilia, molti cercano fortuna, qualcuno la trova e in tanti affondano senza scampo.
Quasi vent'anni di lustrini fasulli e di debiti a carico di chi doveva venire. Poi son nati i ragazzi che oggi si presentano a scuola. Una scuola che non sa accoglierli, popolata da zombie e da fantasmi incattiviti nel cuore e nell'anima. Tanto vili da essere incapaci di ribellarsi ad un potere cieco ed ignorante, tanto miserabili da elemosinare un incarico per integrare il magro stipendio, da inventare corsi dall'utilità improbabile, tanto rattrappiti nelle loro frustrazioni da diventare acerrimi boia di chi è più debole, di chi fa più fatica, di chi è stato semplicemente meno fortunato.
Classi numerose, famiglie complicate, personalità in fase di sviluppo non sono più elementi di valutazione. “IO SAI QUANTI PROBLEMI HO AVUTO? EPPURE HO FATTO SACRIFICI E SONO RIUSCITO A LAUREARMI!!” Si manifesta così l'ultima risorsa dialettica del “professore severo”. In genere si tratta di un poveraccio spesso con ambizioni adolescenziali inversamente proporzionali alle proprie capacità, ignaro dei muri sociali ed economici invisibili e resistentissimi, la cui massima aspirazione è quella di “far soldi” perché “i soldi comandano tutto” e che, quindi, ama la sua professione solo perché in classe comanda lui.
Questo individuo che entra in aula in genere detesta i “ragazzi vivaci” che non riescono a fargli fare lezione, incapace di comprendere che le cose che dice sono spesso inutili e ridicolizzate da tutto il resto delle agenzie educative, e che vorrebbe avere una classe di scienziati a disposizione ai quali non gli importa di trasmettere il proprio inutile sapere ma per poter brillare, un giorno, della luce riflessa di un qualche suo allievo che, nonostante la frequenza della scuola degli zombie e dei fantasmi, è riuscito ugualmente a imparare qualche cosa.
Che cosa è successo? Nulla di eccezionale. La “meritocrazia” ha preso il sopravvento, è diventata comune sentire. Naturalmente la “meritocrazia” all'amatriciana come si intende in questo meraviglioso paese. Il merito non consiste nella conoscenza, esso è misurato semplicemente in termini di condiscendenza. Nel paese dei papisti e dei federalisti il merito lo attribuisce chi comanda (Santoro, Mentana, Lerner, Biagi, Grillo, la banda dei Guzzanti, ecc. sono un esempio. Troppo bravi quindi fuori!!!).
Il metro si allunga e si accorcia per simpatia, raccomandazione o, semplice effetto alone. Un ragazzo è sporco e trasandato? Allora non può essere bravo. Parla male l'italiano? È un ignorante. Non conosce Giolitti o Cadorna? Non è degno di proseguire gli studi. Ma può sempre scrivere un libro sgrammaticato, fare il tronista, essere eletto in Parlamento o, se per tre volte ripete gli esami di stato, essere convocato nelle riunioni nelle quali si definisce il destino della Nazione. Votato dai medesimi docenti che per tre volte lo hanno giudicato sostanzialmente incapace di fare il ragioniere.
Ai ragazzi che registrano un insuccesso, una valutazione non corrispondente alle proprie aspettative, una delusione per il comportamento di questo o quel docente io provo a suggerire di guardare avanti. Di fermarsi a pensare alle proprie responsabilità, di impegnarsi a superare i propri limiti e di ricordarsi che la scuola è maestra di vita sempre. Anche quando si incontrano docenti poco innamorati del proprio lavoro, esegeti di loro stessi che vi fanno ripetere le loro parole e leggere i loro libri, sfigati malati di narcisismo o semplicemente stronzi.
Sono persone che esistono ovunque, non solo nella scuola. Incontrarli è esercizio importante per il domani. Se anche io son parte di queste categorie sarete voi a giudicare, ma come docente devo insegnare qualcosa: di fronte al sopruso, alla prepotenza e all'ignoranza di chi dalla cattedra sputa sentenze invece di porre problemi non vi dovete scoraggiare, basta scoreggiare.
Pino de luca
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