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Approfondimenti: Mi vietano di portare fiori sulla lapide di mio figlio. Di Caterina Schiavone



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Approfondimenti » 10/12/2011

Mi vietano di portare fiori sulla lapide di mio figlio. Di Caterina Schiavone

Sono Katia Schiavone, madre di una giovane vittima della strada, Flavio 17 anni, ucciso da un criminale che non ha rispettato una regola di precedenza.
Quello che voglio denunciare in questa lettera è un fatto personale, ma lo faccio a nome dell’Associazione che mi onoro di presiedere poiché il mio è un esempio lampante delle ingiustizie e meschinità contro le quali dobbiamo combattere dopo aver perso un figlio.
Come se ciò non fosse abbastanza!
L’AGUVS (ass.ne gruppi uniti tutela e giustizia per le vittime della strada) si prodiga di divulgare messaggi di vita, la cultura dell’educazione stradale e del rispetto delle regole; e non trascura di offrire assistenza e sostegno ai familiari delle tante vittime. Nel nuovo anno offriremo anche il servizio di assistenza legale ai familiari che vivono queste situazioni, e speriamo in un prossimo futuro, anche quello psicologico.
In pratica cerchiamo nel nostro piccolo di colmare le gravi lacune delle Istituzioni, perché quando in una casa si abbatte una simile tragedia interi mondi vanno in frantumi e persone che fino a quel momento avevano una vita normale si ritrovano catapultati in un inferno dalla profondità sconfinata dalla quale non si intravede alcuna luce. Completamente soli e abbandonati da tutti.

Comincia così una guerra terribile, dilaniante, per cercare di sopravvivere. Ma non basta. Ti ritrovi a combattere contro l’insensibilità, contro coloro che sono tanti bravi a risolvere i tuoi problemi, dimenticando il piccolo particolare che il loro figlio è al sicuro nel calduccio del suo letto, e non, in una gelida tomba in un cimitero… possibilmente sepolto affianco ad una persona morta a 105 anni di età!
Ingiustizie e beffe si ogni sorta: questo è quanto dobbiamo sopportare nonostante la quotidiana lotta per la sopravvivenza già tanto dura e sfiancante. Perché quando muore tuo figlio muori anche tu, ma respiri e il cuore continua a battere nel tuo petto. Ed è orribile, perché è come sentire il respiro e il battito del cuore di un cadavere.
In questo caso, per non dilungarmi troppo, sorvolo sulla negata giustizia che riceviamo nei tribunali, e vorrei portarvi invece un esempio delle meschinità che dobbiamo affrontare nel quotidiano e nello specifico nel cimitero. Proprio in quel posto che diventa per noi una seconda casa, quel posto lugubre che tuttavia impariamo ad amare e a sentire nostro, perché esattamente lì, giacciono i resti di quel figlio tanto desiderato, portato al mondo, cresciuto e amato più di noi stessi.
Quel figlio che un irresponsabile, supportato da chi non ha fatto il proprio dovere di mettere le strade in sicurezza, ti è stato strappato brutalmente lasciandoti piegato da un dolore che non finirà mai. Amputato per sempre… a questo sei stato ridotto!
E vengo al dunque. Il loculo di mio figlio si trova in una cappella di una delle tante confraternite del nostro paese: la cappella dell’Immacolata Concezione. I responsabili hanno fatto di questo posto qualcosa che somiglia più a un lager che non a un posto dove poter piangere i propri cari. In pratica vige l’assurda regola che non si possono apporre fiori sulle lapidi o ceri, o altri simboli. Ci sono solo grandi vasi comuni nei quali mettere i fiori.
Un assurda regola che sin dal quel 20 ottobre del 2006, giorno in cui mio figlio è stato chiuso nella sua prigione da innocente, mi sono categoricamente rifiutata di rispettare. Portare un fiore a mio figlio, accendere un cero per non lasciarlo al buio in quel posto freddo e orribile, fare per lui il suo personale piccolo albero di Natale, è tutto quello che mi rimane e dopo essere stata derubata di mio figlio non permetterò a nessuno di togliermi questi piccoli gesti con i quali lo abbraccio, lo bacio, gli faccio quelle carezze che per colpe altrui mi sono state negate per sempre.
In cinque anni non mi sono mai arresa: io mettevo ogni giorno il suo fiore e gli addetti alle pulizie lo toglievano; per non parlare di simboli vari come un viso d’Angelo in pietra che hanno tolto dalla lapide con uno scalpello o chissà quale altro attrezzo (che non oso immaginare).
Diciamo che non potendo imporre il mio pensiero, mi sono rassegnata ad andare ogni giorno “armata” di un nuovo fiore o oggetto, per rimpiazzare quello che sapevo già essere stato tolto.
Dicono che quella regola sia stata adottata per il decoro della cappella…Mah! E’ grottesco pensare a una regola che per il decoro del posto ti vieta di mettere un fiore su una tomba. Cappella della quale tutto si può dire, tranne che sia decorosa, in quanto gli addetti alle pulizie si limitano a rimuovere i fiori dalle lapidi (di coloro che come me, infrangono quella regola)…e non vado oltre…
Questa mattina però, il vaso ha traboccato quando sono giunta da mio figlio, ho scoperto che il suo alberello di Natale che avevo fatto con tanto amore nel giorno dell’Immacolata (crudele coincidenza), era scomparso. Mi sono recata immediatamente alla sede della confraternita e ho ripreso il mio albero che un addetto non voleva darmi perché doveva chiedere il permesso al Presidente. Gli ho detto che avevo ben altro da fare che non prendere appuntamenti assurdi per riprendermi l’albero e dopo aver lasciato il mio nome e numero di telefono ho salutato e sono uscita con il mio alberello tra le mani.
Assieme a le tante cose che ho capito affrontando la dura prova di perdere mio figlio, ora posso aggiungerne un'altra: “Neppure nella morte siamo tutti uguali, perché solo chi ha una tomba privata può permettersi il “lusso” di piangere il proprio caro e di “vivere” la sua morte come meglio crede. Gli altri devono sottostare ad assurde e grottesche regole che vietano a una madre di apporre un fiore sulla lapide del proprio figlio!”
Questo è quanto avevo da dire, ora lascio ai lettori trarre le conclusioni.

Caterina Schiavone
Presidente Aguvs


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