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Libri: Eutopia, La civiltà dell'amore. Di Francesco Colizzi



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Libri » 07/08/2012

Eutopia, La civiltà dell'amore. Di Francesco Colizzi

Titolo: Eutopia. La civiltà dell'amore
Autore: Francesco Colizzi
Editore: La Meridiana
Data di Pubblicazione: 01/08/2012
Collana: Paceinsieme
EAN: 9788861532731
Pagine: 124
Prezzo di listino: € 15,00

L'autore
Francesco Colizzi (Ostuni, 1954), direttore del Centro di Salute Mentale di Brindisi, è dal 2005 Presidente Nazionale dell’AIFO.
Ha pubblicato Inseguendo le cose (1996) e Danzatori e orchestrali (1998).
Con la meridiana ha pubblicato Un potere più grande (2010).

Il libro
“Una volta, da bambino, nella città vecchia di Ostuni, mentre infuriava un violento temporale, con lampi, tuoni e fulmini, mia madre spezzò del pane e corse fuori di casa. Messi i pezzi di pane a un incrocio di stradine a chianche, mi chiamò, mi mise in mano un ultimo pezzo di pane e me lo fece deporre tra gli altri. Recitò una piccola preghiera e, grondanti d’acqua, rientrammo in casa ad asciugarci, pervasi da un senso di gioia.
Lo strano gesto di offerta – per me una vera e propria impresa – mi stupì così tanto che più tardi, da ragazzo, giunsi alla conclusione che si era trattato di un rituale pagano, superstizioso, propiziatorio.
Eppure, mia madre era stata educata fino ai suoi diciotto anni in un convento di suore cattoliche. Era una donna dalla religiosità tradizionale, povera e molto generosa.
A cosa rimandava allora quel gesto, magari inconsciamente?
Questi anni sono trascorsi in una continua ricerca del significato del mio stesso impegno e come un cercatore d’oro dell’Ottocento ho setacciato i materiali più diversi.
Ho cercato sempre di condividere l’entusiasmo e lo stupore di chi avverte, pur per brevi momenti, di essere entrato in contatto con un potere più grande. L’esperienza del dono, nella sua continua tensione tra dovere e libertà, ha in sé qualcosa di estatico.
Ecco, ora vedo una scena bellissima. Un bambino affianca la madre, sotto la pioggia battente del dolore e dell’ingiustizia, e assieme mandano il loro povero pane sul volto delle acque.
E l’uomo, che quel bambino è stato, si accorge che le sue tasche sono piene di pane.
Del pane ritrovato in molti giorni, appena sfornato, caldo e croccante, gustoso e fragrante come solo il bene può essere.
Pronto per essere spezzato e nuovamente affidato alla corrente.”

Prefazione di Luciano Ardesi
Ritrovare una feconda linea di lettura della complessa realtà del mondo di oggi a partire dai molteplici “ultimi”, questo è il tenace percorso che Franco Colizzi ha intrapreso con grande passione e con la ragionevole speranza che sia possibile trasformarla. Del resto è dagli ultimi che sono scaturite le più feconde esperienze di speranza.
In questo contesto l’autore muove da una prospettiva particolare.
Nel corso del tempo, in luoghi e situazioni diverse, gli “ultimi”, i poveri, gli esclusi non hanno cessato di moltiplicarsi e di presentarsi sotto nuove forme, dagli indios agli ebrei, alle vittime delle pulizie etniche, delle guerre totali, delle emarginazioni.
Per secoli tuttavia nell’immaginario collettivo e nella realtà, l’ultimo tra gli ultimi è rappresentato dal malato di lebbra.
Questa immagine ne è uscita via via rafforzata e nello stesso tempo si è cercato di occultare, cancellare la fi gura del lebbroso.
Non si tratta di un paradosso, ma della natura stessa di questa malattia così temuta da suscitare una forte vigilanza e repulsione e nello stesso tempo una totale rimozione.
Questo stato perdura fi no a quando il malato di lebbra viene ricondotto, il più delle volte occasionalmente, alla sua dimensione di persona “contagiando” chi la incontra.

È stata proprio questa rivelazione a indurre un poliedrico francese, Raoul Follereau (1903-1977), poeta, giornalista, organizzatore di cultura, nazionalista e cattolico originale, a convertirsi in età ormai matura alla battaglia contro la lebbra.

Da questa scoperta è nato uno dei più diffusi movimenti di solidarietà internazionale, rappresentato in Italia dall’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo), di cui Franco Colizzi è stato presidente fi no al 2011.
Il percorso dell’autore muove proprio da questa riscoperta di Follereau, per dare al suo pensiero e alla sua opera una dimensione nuova, una rivisitazione in termini moderni e attuali delle sue intuizioni e dei suoi orientamenti.
Il rischio per un grande, come certamente Follereau è stato, è quello di vedersi ossifi cato in formule ripetitive che alla fine diventano gusci vuoti rispetto a realtà in continuo cambiamento.
Questo pericolo viene ampiamente scongiurato da Colizzi grazie all’elaborazione originale compiuta ancor prima di diventare presidente dell’Aifo.
I grandi temi e i motivi ispiratori dell’azione di Follereau, dalla “Civiltà dell’amore” alla “Bomba atomica o carità”, dal “Nessuno può essere felice da solo” a ”Uomini come gli altri” sono declinati alla luce di una ricerca feconda delle realtà di oggi e dell’apporto di nuovi profeti e di coloro che hanno scandagliato il mondo e la vita con le più diverse forme di sensibilità , compresi artisti, scrittori, musicisti o cantanti. Ne esce un quadro di riferimento culturale molto più complesso e articolato di quanto Follereau, costantemente orientato alla denuncia e all’azione, non fosse riuscito a fare durante la sua frenetica ed errabonda esistenza.
Questo non signifi ca confi nare allora l’autore nella categoria degli intellettuali staccati dalla realtà. È vero proprio il contrario: dalla rifl essione profonda, con l’ausilio dei grandi pensatori universali, Colizzi trae la conclusione dell’urgenza di un nuovo impegno dando forma e sostanza all’indicazione dello stesso “apostolo dei lebbrosi”, Raoul Follereau, che non aveva mai smesso di guardare oltre la lebbra ingaggiando la battaglia contro tutte le lebbre.
Tale battaglia richiede tuttavia uno sforzo permanente, un’attenzione tutta particolare alle realtà emergenti per individuare le nuo11 ve sfi de.
Un impegno che l’Aifo ha saputo portare avanti collettivamente, rinnovandosi, rimotivandosi senza perdere l’ispirazione e la spinta iniziali. Colizzi continua a partecipare con particolare effi cacia ed audacia all’arricchimento di questa elaborazione collettiva.
Lo fa utilizzando uno strumento concettuale a lui particolarmente caro, quello dell’amore politico nonviolento, una categoria di analisi e al tempo stesso programma di azione, nella tradizione di Follereau e di tanti altri profeti. L’amore usa lo strumento della politica dandole una dimensione etica che esclude il ricorso alla forza e alla violenza, esige l’apertura all’altro in un processo inclusivo. Si tratta della purifi cazione della cultura politica di cui, particolarmente di questi tempi, si sente l’urgenza.

La prima parte dell’antologia raccoglie le relazioni, rivedute e corrette, svolte dall’autore nel corso dei Convegni dell’Aifo tra il 2005 e il 2011.
Sono testi relativamente lunghi dove la scrittura può spingersi in profondità, arricchita da riferimenti a pensatori o a uomini e donne d’azione che aiutano ad illuminare le situazioni attuali.
Sono pagine al tempo stesso intense e “piane”, mai banali, che rendono accessibili i concetti, le suggestioni, gli inviti ad agire.
Una scrittura di grande creatività che restituisce la speranza nella potenza dell’azione solidale.
I testi più brevi della seconda parte riportano gli editoriali scritti per il mensile dell’Aifo, Amici di Follereau, nell’ultimo anno di presidenza tra il giugno 2010 e il settembre 2011, non raccolti nella precedente antologia Un potere più grande (edizioni la meridiana, 2010).
Si tratta di scritti non meno densi e profondi, limitati certo ad argomenti più circoscritti ma che muovono nella medesima direzione di ricerca. Dettati spesso dall’urgenza di una denuncia, dalla necessità di orientare, gli editoriali fanno apparire, in misura maggiore dei testi più ampi, la capacità dell’autore di muoversi con immediatezza, di saper trarre spunti fecondi da occasioni molto diverse tra di loro.

Il risultato d’insieme è di grande valore.
Il volume invita ad una lettura piacevole, dove l’interesse e l’attenzione non vengono mai meno, perché coinvolgente e sempre stimolante. Inoltre attraverso queste pagine si dipana un percorso, anzi una pluralità di percorsi per chi ne sappia cogliere l’autenticità e la bellezza.
Perché la bellezza e la felicità possono, anzi devono essere ritrovate nell’agire sociale purché non si rinunci a confrontarsi con la sofferenza e l’emarginazione, dei malati di lebbra come di tante altre lebbre, a cominciare dalle fortezze nelle quali abbiamo la tendenza a chiuderci.
Il luogo di questo possibile incontro, buon-luogo della felicità, del bene fatto e di quello che rimane da realizzare, il luogo della speranza e del sogno è, per dirla con don Tonino Bello, l’eutopia.
Siamo tutti invitati a percorrere questo cammino, a sperimentare la speranza e la solidarietà, insieme. “Nessuno ha il diritto di essere felice da solo” (Follereau)


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