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Approfondimenti: La quota … (libere divagazioni in tema di nomine pubbliche). Di Guido Giampietro



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Approfondimenti » 26/01/2013

La quota … (libere divagazioni in tema di nomine pubbliche). Di Guido Giampietro

Lo spunto, meglio dire il pretesto, per questo articolo me l’ha fornito l’intervista (pubblicata sull’ultimo numero di TBmagazine) che il direttore Fabio Mollica ha fatto a Rino Casilli, uno dei brindisini candidati alla poltrona dell’Autorità portuale di Brindisi. A beneficio di chi non ne fosse al corrente va detto che il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, ha da tempo sollecitato i responsabili degli enti (Comune, Provincia e Camera di Commercio) di Bari, Taranto e Brindisi a indicare i nominativi da cui poi estrarre i presidenti delle Autorità. Sembra infatti che la sua volontà sia quella d’affrontare ˗ presumibilmente nel periodo febbraio-marzo ˗ in un’unica tranche la discussione con la Regione Puglia sulle candidature avanzate.
Quello che mi ha colpito scorrendo le (nutrite) liste dei nominativi apparsi sulla stampa locale è la constatazione che la maggior parte dei candidati in ballottaggio nei tre capoluoghi pugliesi viene accreditata non tanto per i curricula, ma per il fatto “d’essere graditi” al tale esponente del tal partito o d’essere ˗ secondo una terminologia oramai entrata nel politichese ˗ “in quota” a una certa corrente o coalizione politica. Ma ancora di più mi ha meravigliato la prassi secondo cui è l’autorità politica più alta (in questo caso il Ministro) a condizionare, prima, e a prevalere, poi, sulla scelta del candidato. Quando logica e onestà intellettuale vorrebbero esattamente il contrario!
Nel senso che chi sta più in alto dovrebbe limitarsi ˗ a meno di fatti illeciti ˗ a convalidare le scelte che provengono dal basso, cioè dal territorio che è poi quello che “subirà” quella scelta. Ma è probabile che sia io a vedere le cose in modo distorto! È dunque muovendo da questa strana realtà che, facendo astrazione dalle polemiche in corso sul rinnovo dei vertici delle Autorità, prendono le mosse le considerazioni che seguono.

Parafrasando la famosa frase pronunciata da Humphrey Bogart nel film “L’ultima minaccia” (Deadline, 1952): “È la stampa, bellezza e tu non ci puoi fare niente …”, qui si dovrebbe dire: “È la politica, bellezza …”. Ma proprio questa è la nota dolens: la politica. È giusto che tanti incarichi pubblici debbano essere assegnati a personaggi “in odore” di questa o quell’altra essenza partitica? È possibile che vi sia un circuito (che ben presto diventa però un cortocircuito) stabilizzato di manager che, finché la propria corrente è sulla cresta dell’onda, si spostano da una poltrona all’altra provocando sovente, per riconosciuta incapacità (e tuttavia senza alcun nocumento personale), danni considerevoli a cittadini, società e, in definitiva, allo Stato? È possibile insomma che i partiti, oltre a rifilarci i nominativi da votare alle elezioni, debbano presentare anche le nomination per una pletora di cariche pubbliche?
C’è qualcuno che s’adombra nel sentire ciò? Che è pronto a sventolarmi sotto il naso l’articolo 49 della Costituzione per ricordarmi che in esso è sancito il diritto dei cittadini di “associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”? Il fatto è che io qui non metto in discussione l’esistenza dei partiti. Ci mancherebbe altro. Io sono solo contrario alle “deviazioni” che, nel tempo, sono intervenute. E su questa posizione ritengo d’essere in buona compagnia. È sufficiente, tanto per fare un esempio, rileggere il brano tratto da Un uomo di Oriana Fallaci per comprendere le trasformazioni ˗ in peggio ˗ che ha subito il concetto di partito: “Un partito non ha bisogno di individui con personalità, creatività, fantasia, dignità: ha bisogno di burocrati, di funzionari, di servi. Un partito funziona come un’azienda, un’industria dove il direttore generale (il leader) e il consiglio di amministrazione (il comitato centrale) detengono un potere irraggiungibile e indivisibile. Per detenerlo assumono solo manager ubbidienti, impiegati servili, yes-men, cioè gli uomini che non sono uomini, gli automi che dicono sempre sì …”.
Giudicate troppo di parte le parole della toscanaccia? E allora ecco quello che ha scritto in tempi più recenti Giovanni Berardinelli (“Ai miei studenti dico: meglio andarsene”): “… Il riferimento a una sorta di carattere nazionale (familista) induce a sottovalutare quel che è successo nei decenni passati, in particolare quel fattore decisivo che fu la grande espansione della spesa pubblica e, con essa, del numero di posti nella disponibilità della politica e dei partiti; di partiti in cui le vecchie identità andavano scomparendo trasformandoli in grandi macchine di potere e di controllo del mercato del lavoro …”.

Tornando allo spinoso problema delle nomine nelle cariche pubbliche forse sarebbe ora d’abbandonare la sconsiderata pratica della meritofobia, cioè della sistematica e capillare mortificazione del merito. In che modo? Se proprio non si voglia ricorrere ai concorsi pubblici (sarebbe tanto scandaloso?) si dovrebbe adottare la prassi di far nominare da apposite commissioni (se non apartitiche, quantomeno bipartisan) ai vertici delle aziende pubbliche (a tutti i livelli) coloro i quali ˗ per titoli ed esperienze attinenti agli incarichi per i quali concorrono ˗ dimostrano d’essere, in quel momento, gli uomini giusti per quel posto. Perché non si deve dare per scontato che un bocconiano o un licenziato dalla Normale di Pisa (con tutto il rispetto per quegli alti istituti di formazione) siano sempre e solo i più qualificati a condurre una grande azienda di trasporti o dell’energia o della sanità. Utopia? Può darsi, ma se non s’inseguono questi sogni all’inizio dell’anno, a cosa possiamo aggrapparci man mano che scorre il tempo?
Ma al momento, nell’attesa che le cose cambino, e sempre che i giochi non siano stati già fatti, che cosa ci si deve augurare a proposito del rinnovo dell’Autorità portuale di Brindisi? Intanto che la scelta, ancorché demandata per legge a singoli soggetti politici, scaturisca almeno dal preventivo e democratico confronto in seno alle forze rappresentate nei rispettivi enti. In secondo luogo che la decisione sia super partes; tenga conto, cioè ˗ a prescindere dalle miopi valutazioni partitiche ˗ della competenza professionale e delle pregresse, positive esperienze dei candidati nel complesso campo della gestione operativa delle aree portuali, dei terminal e delle attività retro-portuali. Con l’aggiunta che, nel caso di ballottaggio tra soggetti parimenti meritevoli, prevalga il criterio dell’appartenenza al territorio.
Venga cioè premiata la brindisinità che, alla fine, rappresenta la migliore garanzia per il conseguimento di risultati in grado d’imprimere una svolta significativa alle finora poco incisive politiche di sviluppo del sistema-porto.

Guido Giampietro


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