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Approfondimenti: Il casino di campagna Skirmunt. Di Guido Giampietro



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Approfondimenti » 22/12/2012

Il casino di campagna Skirmunt. Di Guido Giampietro

Il casino di campagna Skirmunt
(ovvero come da un luogo degli spiriti può nascere un luogo dello spirito …)


Come l’immagine paesistica di Napoli, per tantissimi anni, si è identificata con un secolare pino marittimo e, sullo sfondo, la veduta del Vesuvio dal Vomero, così quella del porto di Brindisi riporta alla memoria la spiaggia di Sant’Apollinare e, sullo sfondo ˗ immersa anche qui tra i pini ˗ una bellissima villa di fine Ottocento. Villa che, per la cronaca, fu costruita da un polacco ˗ tale Simone Skirmunt ˗ originario di Pinsk, un paesino turistico che, a causa dei continui “taglia e incolla” a cui è stata sottoposta nel tempo la Polonia, oggi si ritrova in Bielorussia.
Come mai lo Skirmunt (al quale i brindisini ˗ e questo è il primo dei misteri in cui c’imbattiamo ˗ affibbiarono il sopranome di “lu francesi”) capitò nella nostra città? Già! Perché proprio a Brindisi? E questo è il secondo dei misteri di una storia che avrebbe stuzzicato la curiosità di Dario Argento se mai ne fosse venuto a conoscenza. Di certo si sa ˗ secondo quanto si legge nelle carte dell’Archivio di Stato di Brindisi ˗ che era “gentiluomo e proprietario”; che aveva impiantato nelle campagne brindisine uno stabilimento enologico; che con atto del 30.3.1888 aveva venduto al Comune di Brindisi il Convento domenicano con annessa chiesa della Maddalena (immobile destinato poi a divenire l’attuale sede del Palazzo di città); che aveva costruito, in località “masseria Perrino”, quello che viene indicato con il nome ˗ oggi un po’ démodé ˗ di “casino di campagna”.
Sempre per completezza di cronaca va detto che tale fabbricato, nel 1903, passò per successione a Skirmunt Alessandro e Enrico, presumibilmente figli di Simone che, nel frattempo, doveva essere rientrato a Pinsk (in effetti non aveva mai trasferito la residenza a Brindisi). Nel 1911 la villa fu acquistata dal conte Salvatore Balsamo e successivamente, nel 1930, venduta al dott. Antonio Monticelli.

Ed è proprio in quest’ultimo periodo che il casino acquista la triste nomea di “villa degli spiriti”. Come mai? Qui le preziose carte vengono surrogate dalla memoria di quell’autentico patrimonio costituito dai nostri cari ottuagenari (o giù di lì). Lo scrittore Javier Marìas avrebbe sentenziato che, in casi come questi, “è alla letteratura che compete raccontare il mistero senza spiegarlo”. Io invece, in mancanza di testi autorevoli, insisto col dire che bisogna ascoltare la voce del popolo. E la voce del popolo parla di una tragedia che forse fu all’origine del rientro dello Skirmunt a Pinsk.
Si sussurra (non certo per omertà, ma per il rispetto che tuttora gli anziani portano alle persone ancorché trapassate) di uno statuario guardacaccia della villa (sembra si chiamasse Vincenzo o, più realisticamente, Vicienzi) che, in aggiunta ai compiti “istituzionali”, s’era assunto anche quello ˗ non autorizzato ˗ di guardia del corpo (nell’accezione letterale del termine!) della padrona … Come dire che a Brindisi, prima ancora di ciò che avrebbe pubblicato D. H. Lawrence nel 1928, esistevano già un guardacaccia (Vicienzi s’identificherebbe con il Mellors del romanzo) e una dama antesignana di quella Connie meglio conosciuta come Lady Chatterley! In compenso la storia brindisina sarebbe più movimentata di quella del Lawrence perché annovera anche un sicario (assoldato dal marito della signora) che, dopo l’uccisione del guardacaccia, viene associato alle patrie galere. Il dramma si conclude con il suicidio (o omicidio?) dell’amante superstite. Sembrerebbe infatti che la Lady Chatterley brindisina ˗ o sua sponte o perché spinta ˗ dalla terrazza della villa precipitasse sugli scogli sottostanti che lambivano le … chiare, fresche e dolci acque (allora!) di Sant’Apollinare.

Ma una leggenda, per essere tale, ha bisogno di testimoni e, allo stesso tempo, di un concreto interesse a mantenerla in vita. Requisiti, questi, entrambi presenti nella nostra storia. Da un lato, infatti, c’erano i tantissimi pescatori che sciabbicando alle prime luci dell’alba in quel tratto di mare giuravano e spergiuravano di vedere una signora dai pepli svolazzanti aggirarsi inquieta sulla terrazza della villa. Dall’altro c’erano i contrabbandieri che, per poter agire indisturbati nei momenti dello scarico merci, diffondevano voci sempre più circostanziate sulle passeggiate notturne dell’infelice donna.

Alla fine anche a questa storia è toccato il destino di buona parte delle cose di Brindisi: l’oblio. Finché, percorrendo la strada che porta al parcheggio riservato ai visitatori dello Snim (leggasi Salone Nautico del Salento), non l’ho rivisto il casino. Purtroppo dell’aggraziata costruzione d’un tempo non è rimasto che un rudere che mostra le orbite vuote delle finestre in un paesaggio che ha ˗ è il caso di dirlo ˗ dello spettrale.
A questo punto, tralasciando i fatti dei secoli XIX e XX, appare opportuno concentrarci su quelli del secolo in corso. Cominciamo col dire che l’ex casino di campagna, attualmente nella disponibilità dell’Autorità Portuale di Brindisi, insiste su un’area ˗ Punta Le Terrare ˗ che costituisce un interessantissimo sito archeologico a motivo della presenza d’importanti tracce di insediamenti neolitici. Per l’esattezza, la Soprintendenza Archeologica della Puglia ha effettuato sistematiche campagne di scavo negli anni 1966 – 1969 – 1972 – 1979 e 1981 rinvenendo nel sito numerose “capanne sovrapposte, realizzate con battuti argillosi e muretti a secco in pietra, nonché focolari e aree di lavoro, databili alla metà del II millennio a.C.”. Come dire che tra i più antichi segni di antropizzazione nel nostro territorio vi sono proprio quelli di Punta Le Terrare! E tra il materiale rinvenuto, attualmente custodito presso il locale Museo Archeologico Provinciale, spiccano, tra l’altro, anforette di produzione egea con decorazione dipinta a fasce del Tardo Elladico, asce e pugnali in bronzo, fusaiole per l’attività tessile, punteruoli in osso, olle per la cottura dei cibi, brocche e perfino un palco di cervo che, a parte le disquisizioni linguistico-messapiche sull’origine del nome della città, testimoniano la presenza di tali animali dalle nostre parti.
A causa di queste importanti testimonianze rinvenute nelle vicinanze del casino ex Skirmunt vige pertanto un vincolo imposto con D.M. 03.04.1985. D’altro canto si deve rilevare come l’Autorità Portuale, pur “nel rispetto delle prescrizioni in materia ambientale ed archeologica, contenute nella delibera di approvazione del Piano regolatore portuale e nel decreto di Valutazione di Impatto Ambientale”, con il Piano Operativo Triennale 2010-2012 intenda riqualificare la zona di Punta Le Terrare, realizzando “un’opera di grande pregio, significativa di benvenuto ed accoglienza a Brindisi per chi arriva dal mare”.
Questo, però, malgrado le lodevoli intenzioni dell’Autorità Portuale significa che il nostro casino rimarrà ˗ chissà per quanto tempo ˗ in quelle miserevoli condizioni offrendo, di fatto, un pessimo biglietto da visita ai turisti che sbarcano in quel sito. Che fare allora per sbloccare la situazione? Sarebbe, a mio avviso, auspicabile che l’Autorità Portuale facesse pressione sul Ministero dei Beni Culturali per una rapida definizione della questione, al limite contribuendo, con stanziamenti ad hoc, al completamento della campagna di scavi. In tal caso, ove continuassero a venire alla luce ulteriori reperti, si valorizzerebbe definitivamente l’intera area con un conseguente ritorno d’immagine a tutto vantaggio di quanti sbarcheranno nei prossimi nuovi accosti di Sant’Apollinare.
E il romantico casino? Opportunamente ristrutturato potrebbe costituire un’appendice museale del parco archeologico e/o ulteriori locali a disposizione dell’A.P. Sempre che tutto questo trambusto non risvegli dal sonno gli spiriti …

GUIDO GIAMPIETRO


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