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Approfondimenti: Quel pasticciaccio degli alberi BNL. Di Guido Giampietro



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Approfondimenti » 09/02/2013

Quel pasticciaccio degli alberi BNL. Di Guido Giampietro

Ho letto la notizia una prima volta poi, per dissipare ogni dubbio, l’ho riletta con maggiore attenzione. Le parole, pesanti come sampietrini, erano lì, nella stessa identica posizione, a raccontare il medesimo fatto: la donazione di 144 alberi fatta dall’istituto di credito della BNL a favore del Comune di Brindisi. Un gesto degno di nota, sia per il messaggio ambientale che sottende sia per l’intrinseco valore dell’offerta, visto il perdurare dei venti di crisi che spirano sulla città e l’intero Paese.
Purtroppo, a Brindisi, anche omaggi disinteressati come questo finiscono per creare problemi. Infatti solo 27 di quegli alberi hanno finora trovato degna sistemazione nel giardino della Scuola Media Marco Pacuvio. Tutti gli altri, da ben sei mesi, malgrado le sollecitazioni della banca, giacciono in un deposito (con oneri d’affitto e cura delle piante a carico della BNL!) in quanto l’Amministrazione sembra non riesca a trovare il posto – di proprietà comunale – più idoneo per metterli a dimora.
E tutto questo avviene in una città che ha un bassissimo rapporto verde-abitante e i cui parchi si trovano in condizioni pietose come il Cesare Braico e il Parco Maniglio del rione Bozzano. Oppure ˗ come il Palmarini-Patri (o Magrone) e quello del Cillarese ˗ da anni esistono solo nelle intenzioni degli amministratori. Si apprende ora che a questi dovrebbe aggiungersi il Parco Filia Solis che il Presidente della Provincia intende realizzare a San Pancrazio nel posto dei veleni dell’ex Lepetit. Domanda non pleonastica: a che scopo aprire tutti questi parchi se dopo non si ha la “forza” di curarli…?
Intanto, se al Comune si continua a cincischiare, le piante potrebbero prendere la via di Lecce (cui la BNL ne ha già donato quattrocento), molto ben disposta a prendersi anche le restanti 117 di Brindisi!
Mentre rifletto sugli aspetti paradossali della vicenda mi torna alla mente un episodio di qualche tempo fa ambientato a Milano. In quella circostanza il maestro Claudio Abbado, rinunciando al suo compenso, pose come unica condizione per il suo rientro alla Scala la piantumazione di 90.000 alberi. E l’architetto Renzo Piano si candidò per un artistico progetto di messa a dimora delle piante, a cominciare da piazza Duomo. Ebbene, la grande Milano, la capitale dell’economia e la nostra punta di diamante nel cuore dell’Europa, rifiutò – per mancanza di sponsor, si disse – rilanciando, per bocca della Moratti, una controproposta mirata alla sistemazione di soli 150 alberi. Cosa che fece indignare Renzo Piano inducendolo a inevitabili raffronti con ciò che avevano già fatto città come Londra, Stoccolma e New York.
Allora mi sono detto: se la Milano dell’Expo 2015 ha detto no agli alberi, a maggior ragione lo può fare Brindisi. D’altro canto non è un mistero che Marguerite Yourcenar, nelle sue Memorie di Adriano, abbia scritto: “Gli italiani detestano gli alberi”…
E invece no! Andando oltre l’Indignatevi di Hessel sento di dover gridare: vergogniamoci! Tutti. Ché la responsabilità non può ricadere solo sui singoli dirigenti del Palazzo di Città. La vergogna dev’essere equamente spalmata su tutti noi per l’ottusità dimostrata nel venire a conoscenza di questa e altre vicende simili a questa e non aver saputo sensibilizzare per tempo quei dirigenti…
Forse che ci chiediamo perché il sole è necessario alla vita? Lo stesso deve valere per gli alberi, da sempre preziosi regolatori dell’equilibrio eco ambientale dell’intero pianeta. Senza contare che sono i silenziosi testimoni del trascorrere del tempo, delle stagioni, della nostra stessa vita... Inoltre, quando si piantano, segnano il superamento del nostro egoismo perché di essi beneficeranno i nostri figli e i figli dei nostri figli. Concetto questo già noto a Cicerone quando scrisse “Serit arbores, quae alteri saeclo prosint” (pianta gli alberi che gioveranno in un altro tempo). Ma noto anche a un mio antenato che alla nascita della figlioletta Bettina ˗ perché ne rimanesse traccia nel tempo ˗ piantò un melograno tuttora prodigo di frutti vermigli. E mi piace pensare che tale usanza non sia del tutto scomparsa e si continui a gemellare la nascita d’un neonato e quella d’un alberello.
Ma gli alberi danno anche una connotazione particolare alle città che altrimenti sarebbero immobili, fatte di soli mattoni senza vita. Sono loro, infatti, insieme alla gente, agli odori e ai rumori a renderle vive. E con gli alberi si parla, sotto di essi si scambiano baci e promesse d’amore eterno, si fissano appuntamenti per la stagione che verrà... Fin qui le ragioni del cuore, ma ci sono anche quelle pratiche. Con la loro folta chioma, oltre a fornire uno “spazio sociale”, si riduce l’effetto termico che durante la calura estiva porta a un aumento di quattro-cinque gradi dell’asfalto e dei mattoni. Lo stesso dicasi per la riduzione dell’umidità relativa e della CO2 rilasciata dal traffico automobilistico.
Ma gli alberi, con un po’ di fantasia ˗ la stessa che ha ispirato Italo Calvino ne Il barone rampante ˗ potrebbero anche offrire una possibilità di fuga dalla vita moderna. Così come fa quel ragazzino, Cosimo, che stanco d’una vita piena di regole e costrizioni, decide, in segno di protesta, d’andare a vivere sugli alberi e di non scenderne più. Morirà, oramai adulto, attaccandosi all’ancora d’una mongolfiera in volo e buttandosi lontano dal paese, per non dare agli abitanti la soddisfazione di vederlo alla fine toccare terra.
Certo le radici possono creare problemi, così come le foglie che cadono e sporcano il suolo, o le chiome troppo alte che tolgono visibilità alle insegne dei negozi, o il polline che crea problemi allergici (dove sono gli olmi o le querce d’una volta…?) o i tronchi che riducono lo spazio dei parcheggi. Anche se, in quest’ultimo caso, bisognerebbe riflettere sull’equazione: più parcheggi uguale più traffico!
Benedetto Croce, in Cultura e vita morale, riferisce l’aneddoto d’un parroco che visse nella seconda metà del Seicento in un paesetto del Molise, Montagano. Nel quale essendo capitato, circa un secolo dopo, l’economista Giuseppe Maria Galanti, e avendo visto con meraviglia la contrada tutta coperta di alberi e di frutti della quantità più squisita, e domandando come era sorta quella rigogliosa vegetazione, seppe che quel parroco, di cui durava la memoria, Damiano Perone, non dava altra penitenza ai peccatori che di piantar alberi, e le piantagioni erano in ragione del numero e della qualità dei peccati…
Sicuramente se anche Brindisi avesse potuto contare sull’aiuto d’un parroco simile, con tutti i peccati che ci sono in giro, non solo si sarebbero messi a dimora tutti i 144 alberi della BNL, ma l’intera città si sarebbe presentata a un attonito turista più intricata della selva oscura dantesca…

Guido Giampietro


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