Approfondimenti » 10/03/2013
Il corto circuito del voto. Di Salvatore Tomaselli
Nel mentre buona parte del dibattito apertosi dopo il voto si è concentrato più sulla natura e sulle insufficienze del PD, che ovviamente ci sono e su cui bisognerà discutere ed agire, a me pare necessario tornare innanzitutto ad una lettura più profonda dell'Italia.
Il voto del 24-25 febbraio scorsi, infatti, non solo ci consegna il rischio grave dell'ingovernabilitá del paese, in una situazione di gravissima difficoltà economica e sociale, ma disegna un'Italia profondamente lacerata in un passaggio storico assolutamente delicato.
Le principali forze politiche hanno svolto una campagna elettorale all'insegna di idee di paese profondamente diverse tra loro. Guardiamo un attimo alle parole maggiormente utilizzate.
Il PD ha richiamato concetti quali responsabilità, regole, solidarietà. Il PDL, con Berlusconi di nuovo "dominus" del centrodestra, ha sollecitato istinti opposti puntando su fiscalità e casa (la restituzione dell'IMU, lo Stato oppressore, il condono tombale...). Il Movimento 5 Stelle ha evocato un radicale cambiamento di classe dirigente (tutti a casa, arrendetevi tutti, il potere della "rete" contrapposto alla "casta").
Non intendo qui svolgere alcuna esercitazione di carattere "morale" sulla natura di tali messaggi, a campagna elettorale terminata ognuno é ancora più libero di giudicare autonomamente.
Questa sintesi, per quanto estrema, mi pare, però, possa rappresentare efficacemente quanto sia accaduto in profondità nel rapporto tra gli italiani e la politica, procurando un sommovimento tale da considerare il voto un vero e proprio spartiacque nella storia recente del nostro paese.
Pierluigi Bersani aveva denunciato già tre anni fa il rischio per l'Italia di un corto circuito tra "crisi democratica", legata alla crescente distanza tra cittadini, politica e istituzioni, e "crisi sociale", con una vera e propria devastazione delle condizioni economiche e di vita di una parte sempre più ampia del paese.
Quel corto circuito é andato in scena nel voto del 24 e 25 febbraio scorsi: vi è qui, a mio parere, il senso profondo del risultato negativo del Partito Democratico.
Non siamo riusciti, da un lato, a convincere gli italiani della bontà e della affidabilità delle nostre risposte alla crisi economica e sociale, anche per via dell'eccesso di austerità e rigore prodotto dal Governo Monti che non solo ha prodotto recessione e ulteriori perdite di lavoro e di reddito, con il PD apparso corresponsabile, ma ha rilanciato le spinte "a far da sé" interpretate dalla destra e dai messaggi di Berlusconi prima richiamati. Una destra certamente cinica nel rivolgersi agli istinti egoistici e conservatori di una parte del paese, ma altrettanto capace di parlare a bisogni veri e concreti di intere fasce di popolazione non più in grado di sostenere un così alto livello di pressione fiscale (le piccole imprese o le stesse famiglie, per l'80% proprietarie della loro abitazione).
E, altresì, abbiamo pagato un prezzo altrettanto alto alla reiterata incapacità dell'attuale sistema politico di "autoriformarsi" (legge elettorale, sobrietà e costi della politica, lotta alla corruzione) di cui il PD é stato individuato, oltre i propri demeriti, parte integrante. Un processo degenerativo che ha prodotto un diffuso sentimento di rabbia e rancore verso la politica, i partiti, le stesse istituzioni che la "rete" misura da mesi con linguaggi spesso violenti e liquidatori.
Il risultato elettorale del M5S, oltre le attese, é da leggere in questi processi profondi, molto più che in programmi in buona parte condivisibili nella loro genericità, mentre in altri punti del tutto irrealizzabili. Hanno inciso ben altri fattori e molto più radicati nel corpo vivo di un paese stremato dalla più grave crisi dal dopoguerra e "incazzato" verso chi è apparso portare il paese in questo stato non rinunciando ad alcuno dei suoi privilegi, al di là delle responsabilità del tutto differenti che centrosinistra e centrodestra hanno avuto negli ultimi venti anni.
Anche per questo lo stesso sforzo che pure il PD ha fatto verso il rinnovamento della rappresentanza istituzionale mediante le primarie é risultato quasi vano, con molti di noi (dirigenti o uomini delle istituzioni in nome del PD) impegnati in quei giorni, anziché a valorizzarle, a delegittimarle con astruse discussioni su regole e modalità, tutte interne alle nostre ambizioni realizzate o frustrate. Eppure quelle primarie hanno contribuito in modo determinante a rinnovare i nostri gruppi parlamentari per due terzi e a portare oltre il 40% di donne elette in parlamento. Una rivoluzione generazionale e di genere ridotta da noi stessi ad un banale rito burocratico, che ha finito per indebolire anche la nostra capacità di parlare ai giovani con le parole e i volti dei nostri ragazzi/e candidati e poi eletti. E così anche le "buone prassi" sono state svilite a motivo di discussione o di lotta politica interna...!!!
Ma torniamo all'Italia e all'esperienza del Governo Monti: per quanto generosamente sostenuta dal PD, essa ha prodotto un pesante aggravamento delle condizioni del paese, un impoverimento progressivo che ha colpito non solo i ceti più popolari ma ha intaccato lo stesso ceto medio e quel vasto sistema di piccole e medie imprese, lavoratori autonomi, professionisti. Nei confronti di tali settori della società italiana siamo apparsi rilanciare pesanti pregiudizi in tema di "fedeltà fiscale" anziché coglierne lo stato di prostrazione che la crisi e gli interventi assunti negli ultimi anni avevano prodotto, tornando ad allontanarli dal PD e ricacciandoli, per quanto delusi, in parte verso Berlusconi e in parte verso la critica anti-sistema rappresentata da Grillo. Basti considerare che in quel mondo, durante la fase decisiva della campagna elettorale, si discuteva più delle proposte fiscali della destra o, in negativo, della nostra proposta di ulteriore riduzione del tetto della tracciabilitá del contante, anziché del pagamento dei crediti della Pubblica Amministrazione alle PMI che pure avevamo concretamente avanzato.
Ecco perché, a me pare, che sia proprio "leggere l'Italia" il primo punto da cui ripartire nella sfida alla costruzione di un moderno partito riformista del terzo millennio, che abbia finalmente le caratteristiche di cui abbiamo parlato nella recente campagna elettorale, ovvero sia davvero "popolare" in termini di capacità di produrre ed attrarre partecipazione, e "nazionale" ovvero votato all'interesse generale del paese. E, quindi, come, conseguentemente, far vincere una proposta politica e di governo riformista conquistando la maggioranza del consenso degli italiani e non solo il titolo di minoranza più forte.
E qui vanno richiamate la natura e le stesse modalità costitutive del PD. Tema di discussione su cui tornare e che merita di essere aggiornato anch'esso alla luce di quanto avvenuto e nella consapevolezza che i luoghi del "fare politica" sono sempre più altri rispetto a come li abbiamo conosciuti finora, a cominciare dall'irruzione della "rete" che si è rivelata per tanti cittadini-elettori una sede non solo "competitiva" ma "sostitutiva" ai partiti tradizionali e alle loro pratiche burocratiche e autoreferenziali, da cui il PD non è purtroppo esente anche in tanti nostri territori.
In questo profondo sommovimento che ha portato milioni di elettori a spostarsi da uno schieramento all'altro e che ha visto il PD progressivamente vedere prosciugarsi il proprio consenso in modo netto, ci sono poi, per quanto marginali (ma ci sono!!!), le ragioni di un voto ancora più negativo in Puglia e a Brindisi, che invocano scelte nette di discontinuità e un processo di vero e proprio reinsediamento sociale del partito. Ma questo é un altro capitolo che, per ragioni di spazio, mi permetto di rinviare ad una ulteriore riflessione.
Salvatore Tomaselli
Parlamentare del Partito Democratico
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