Approfondimenti » 21/04/2013
Basta, non mi indigno più! Di Oreste Pinto
E' da oltre venti anni che provo indignazione.
In tutte la uscite con i miei amici (storici o melliflui) ci siamo sempre indignati e continuiamo ad indignarci.
Tra di noi si indigna anche chi, nel lavoro o nel privato, assume comportamenti illegittimi e avversi all'etica pubblica.
Insieme ad altri, abbiamo anche partecipato, ma è servito a poco. Nel nostro piccolo, abbiamo anche contribuito a costruire qualcosa, ma - forse - è servito ancora di meno. E allora, ci siamo indignati ancora di più.
Sarà per l'età, per la noia crescente o perché le persone oramai credono di incontrarsi anche senza vedersi e ascoltarsi, oggi abbiamo quasi smesso di uscire. Ma per alcuni, l’indignazione è cresciuta ed è diventata valvola di sfogo. E di esibizione. Pensate ai social network: più della metà dello spazio è occupato dall'indignazione.
"Non è la vecchia e superficiale questione della violenza verbale di internet: quella è un fenomeno più definito e spiegato. Sappiamo tutti che la gente è incazzata, e sappiamo anche che molta gente ha ragione di esserlo (anche se le ragioni spiegano i sentimenti ma non legittimano le reazioni).
Ma a me pare che ci siano stati in questi anni un sistematico allevamento e una sistematica promozione dell’incazzatura ... dell’affermazione di sé attraverso l’incazzatura, di professionismo della critica negativa, di infantile bastiancontrarianesimo, di costruzione del male altrui, di ricerca del conflitto e di elevazione dello sfogo a diritto fondamentale".
Naturalmente tutto ciò porta la firma di quelli che nella vita non hanno mai prodotto niente, di quelli che hanno sempre predicato il rispetto quasi fosse un precetto costituzionale, di quelli che un accordo si definisce inciucio o condivisione a seconda se ci stanno dentro anche loro, di quelli che "restare umani" è un obiettivo politico e sociale. Sono certo che se arriverà anche da noi la guerra civile come in Bosnia, diranno "come abbiamo fatto a non accorgercene?", proporranno riflessioni sul tema, riprenderanno il carro dei pacifisti e si indigneranno contro i guerrafondai.
E allora, sai che c'è di bello?
Stavolta ho deciso di fottere veramente sia i sedicenti capipopolo che i loro (ir)razionali proseliti: mentre tutti urlano più forte che "indignarsi è l'unica cosa da fare", io ho deciso che da oggi non mi indigno più.
"L’indignazione – lo testimonia la storia di questi anni – non ha generato nient’altro. E non è un caso, perché indignarsi vuol dire sentirsi estranei a ciò che accade davanti ai propri occhi; è una reazione civile, ma che respinge ogni coinvolgimento nella realtà. Vuol dire tirarsi fuori da quello che accade. Non partecipare mai fino in fondo".
Per partecipazione intendo stare dentro le cose e lavorare per cambiarle, non certo far finta di stare dentro le cose e non far nulla per cambiarle. Quest'ultima prerogativa se la tengano pure quelli che "critico dunque esisto", quelli che hanno trovato nel turpiloquio e nella distruttività la loro ragione di vita, quelli che senza l'ostentazione dell'indignazione sarebbero nell'oblio e smetterebbero di avere appeal.
Basta, non mi indigno più!
Non alzo le mani. Alzo le maniche per tentare di cambiare le cose. Veramente.
Oreste Pinto
* virgolettati da Luca Sofri e Francesco Piccolo
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