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Approfondimenti: Per una Brindisi "città aperta"… ai tempi del Pliocene



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Approfondimenti » 21/05/2013

Per una Brindisi "città aperta"… ai tempi del Pliocene

Immaginiamo Brindisi cinta da surreali barriere portuali e costiere, con il livello del mare innalzatosi di 30, 50 cm, forse di più. E’ lo scenario probabile che si presenterà, a fine secolo, ai neonati d’oggi. Essi si troveranno a vivere nelle stesse condizioni climatiche di 3 milioni di anni fa, nell’era del pliocene, quando la temperatura terrestre era di due-tre gradi più alta di quella attuale, e non erano ancora apparsi i nostri antenati, gli ominidi….
…”le città del futuro”, specie quelle più vicine al mare, dovranno mitigare fin d’ora l’impatto dell’innalzamento del livello del mare, che aumenterà mediamente nei prossimi decenni di 20-30 cm per lo scioglimento dei ghiacci e di altri 25 cm per l’espansione degli oceani, causata dal surriscaldamento delle acque.
Lo studio “Ice 2 Sea”, commissionato e finanziato dalla Comunità Europea, diffuso in questi giorni, prevede anche che tra 80-100 anni Venezia, Los Angeles, Amsterdam, Londra… saranno un metro sotto l’acqua.
I Piani Regolatori delle città, dei porti, delle coste dovranno necessariamente e strategicamente prevedere questi inediti scenari urbani.
Ciò è la conseguenza delle varie “floppenaghen” susseguitesi a Kyoto –da Copenaghen in poi- nelle quali si è solo sostanzialmente deciso di non decidere, ovvero di decidere sempre la volta successiva quella riduzione dei gas clima alteranti necessaria a rallentare l’attuale velocità del surriscaldamento della terra, con le sue non più arrestabili conseguenze le quali, a questo punto, possono essere solo mitigate.
Il Mediterraneo e il Salento da tempo si trovano al centro dei processi di desertificazione e tropicalizzazione del clima, come ci stanno già avvisando le anomalie climatiche e stagionali.
E Brindisi è città campione dell’”indecisione” politica, perennemente schiacciata dalle sue classi dirigenti a quella contingenza emergenziale che si sta mangiando la vivibilità del suo futuro.
Nell’interessante documento preparatorio del Convegno di Left sulle città del futuro, che invoglia alla partecipazione, si dice che Brindisi è un caso emblematico di “glocalità”.
Questo orrendo ma efficace neologismo, raffigura bene una città che, ad esempio, ospita “localmente” uno dei poli energetici più clima alteranti “globalmente”.
Ovviamente, ciò porta i furbacchioni a dire che l’anidride carbonica non è un gas inquinante, ma un gas climaalterante a livello globale, come se proprio la quantità emessa di 15, 16 milioni di tonnellate annue di CO2 non svelasse l’abnorme cifra proporzionale di gas inquinanti, velenosi per l’ambiente e la salute, prodotti dai circa sette, otto milioni di tonnellate di carbone.
Non è mai abbastanza ricordare che nel 1996, non sulla base di studi epidemiologici né di prove del perennemente invocato nesso di causalità tra carbone e malattie, ma per un ovvio ed elementare principio di precauzione, fu costruita con Enel e lo stesso Governo quella mitica Convenzione che riteneva compatibili per il territorio solo 2 milioni di tonnellate di carbone, frantumata da una liberalizzazione alla “cieca” dell’energia.
Ma ciò che qui preme più ricordare è che a quella Convenzione fu aggiunto un Protocollo, che prevedeva il riavvio di uno sviluppo ecocompatibile del territorio, proprio con quell’altra “vision” della città -suffragata da un illuminante studio del Cerpem-, che la “vedeva” gradualmente e progressivamente liberata dalle sue storiche schiavitù monoproduttive –chimica ed energia-, che continuano a tenerla incatenata a un mercato del lavoro senza sbocchi, impedendole ogni altro sviluppo e cambiamento.
Del resto, tutti gli indicatori attuali non confermano che Brindisi ha perduto un ventennio di possibile sviluppo? La persistente accettazione di quel catorcio che è la centrale elettrica di Brindisi Nord, situato nel suo cuore urbano, non ne costituisce la plastica dimostrazione?!
In verità, la storia di Brindisi è sempre stata indissolubilmente legata alla storia del suo porto, che ne ha accompagnato e seguito splendori e decadenze.
Brindisi ha bisogno di tornare a una osmosi smarrita con il proprio mare, di progettare il suo rinascimento con un nuovo urbanesimo, inscindibile dalla storica, naturale vocazione “polifunzionale” del porto.
Il Piano Urbanistico Generale di Brindisi e il Piano Regolatore del Porto non dovrebbero elaborare una comune strategia di sviluppo della città – in una sorta di conferenza e di collaborazione permanente? che, da un lato affranchi il porto da quel modello d’uso esclusivamente industriale ideato nel lontanissimo 1971 tuttora vigente; dall’altro, affranchi la città da una visione urbanistica “chiusa” al resto del territorio.
Brindisi rinasce se diviene “città aperta” alle potenzialità mercantili, turistiche, commerciali, crocieristiche, oltre che industriali, delle sue acque, e nello stesso tempo alle potenzialità produttive, civili e culturali del territorio circostante, dei paesi e delle campagne, delle civiltà e delle infrastrutture, del territorio al di là delle proprie mura.
Quale pianificazione potrà mai dirsi strategica quella che non porti Brindisi a porsi il superamento di un conflitto irrimediabile con la zona a sud del suo perimetro urbano, ad esempio, per le sue delocalizzazioni energetiche? E quale valore aggiunto potrà dare, come dovrà dare, al suo marketing territoriale, coadiuvato da un rinnovato sistema portuale e aereoportuale, se Brindisi non assume il compito di essere il propulsore della valorizzazione e della crescita di un’area più vasta, a una paradossale benefica sua provincializzazione salentina, “per dare “uso di città” a un territorio più o meno esteso”? –come si dice bene nel documento di Left (peraltro necessario con la prossima scomparsa delle province).
Brindisi “città aperta” al mare e al territorio: a me piace compendiare così la sfida strategica urbana di Brindisi, immaginarla conquistata a quella “visionaria” felicità che anela a un altro futuro, nonostante quel passato che ci siamo costruito, tuttora presente, e che ci sta velocemente inoltrando nell’incognita era del Pliocene...
Saranno gli urbanisti e tutti i tecnici e i professionisti utili alla pianificazione territoriale a fornire studi, strumenti e progetti, dal Piano Urbanistico Generale al Piano Regolatore Generale del Porto, e tutte le espressioni di cittadinanza attiva, come in questo caso l’Associazione Left, a fornire stimoli di riflessione e di azione.
Ma chi alla fine deve offrire un progetto di città, una “visione” di territorio, e pianificarne la realizzazione, sarà sempre la politica –purtroppo quella politica non ancora pervenuta, e della quale non è mai il tempo né l’età di non occuparsene….

Ernesto Musio


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