Approfondimenti » 06/07/2013
Gli Ogm, questi sconosciuti. Di Guido Giampietro
Il livello d’attenzione alle problematiche ambientali, oramai limitato ai temi che riguardano lo stato della falesia del litorale (l’inquinamento del mare già tocca meno le coscienze) e dell’aria cittadina, si azzera del tutto di fronte alle emergenze d’una campagna che pure rappresenta ancora la nostra principale fonte di sopravvivenza.
Infatti, fatta eccezione per il delittuoso dilagare dei pannelli fotovoltaici e delle torri eoliche ˗ oltre che per la polvere di carbone che si deposita specie a sud della Centrale Enel ˗ della campagna si parla poco o niente. Non solo si è perso il senso dell’“arte dell’agricoltura” cui si riferiva il Palladio, cioè del luogo “dove finalmente l’animo stanco delle agitazioni della Città, prenderà ristauro e consolazione, e quietamente potrà attendere agli studi e alla contemplazione”. Ma ˗ cosa ancora più grave ˗ ci si disinteressa del fenomeno dell’abbandono dei campi e del progressivo impoverimento delle colture.
Così diventa opportuno chiedersi: come sta la salute della nostra campagna? Una domanda che mi sono posto dopo avere letto una notizia sulla pericolosità degli Ogm, gli organismi geneticamente modificati.
E, a seguire, un’altra è la domanda da farsi: papaveri e api (che non è una variante della sanremese “Papaveri e papere”) continuano a fare il loro dovere?
Cerchiamo di capire come stanno le cose.
Gli Stati con campi Ogm sono ventotto in tutto il mondo e, di questi, solo cinque sono europei: Spagna, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia. La normativa italiana, recependo quella dell’Ue, non ne vieta la coltivazione, prevedendo solo la necessità che le aree siano “tabellate”. Per questo, di recente, un agricoltore del Friuli Venezia Giulia, su un suo appezzamento di terreno di 6.000 metri quadrati ha seminato mais Ogm.
La necessità degli Ogm, è risaputo, è quella di consentire una maggiore produzione (specie di soia, cotone, mais, colza) con un uso minore di sostanze velenose nell’ambiente. Ma il pericolo, cacciato dalla porta, quasi sempre rientra dalla finestra. Infatti, per riuscire a sconfiggere gli insetti, le colture di mais Ogm contengono il gene del “bacillus thuringiensis”, un gene che produce tossine in grado di uccidere i parassiti delle piante. Peccato che, nel caso delle api, attaccano la loro memoria, rendendole simili agli anziani affetti dall’Alzheimer.
Certo noi cittadini non siamo più avvezzi al ronzio delle api. Altri sono i rumori che scuotono il nostro sistema nervoso. Come quelli della movida notturna che quest’anno imperversa sul rigenerato lungomare. L’importante, però, è che l’affascinante vibrazione degli sciami al lavoro nei campi continui ad esserci. Essa rappresenta il canto delle api operaie che, in questo momento della fioritura del tiglio, trasportano il loro prezioso carico nelle arnie.
Perché se le api, per colpa degli Ogm, perdono la memoria, non sono più capaci di ritrovare la via di casa e il miracolo dell’impollinazione e della fecondazione va a farsi benedire, finendo così di assicurare la varietà genetica presente in natura. Senza contare che, in questi ultimi tempi, le povere api mellifere devono vedersela anche con un altro temibile killer ˗ la vespa velutina ˗ che, migrata da Shanghai in Francia, rischia ora di spostarsi verso Sud...
Tanto per comprendere la gravità del problema Ogm, in Cina, per ovviare al disastro della moria delle api, i contadini comprano il polline secco e con certosina pazienza, inerpicandosi su per le scale, vanno a posarlo sui fiori...
Non si tratta dunque di un fatto di poco conto anche perché, secondo una citazione attribuita ad Einstein, senza le api anche la nostra vita sulla terra è destinata ad estinguersi in pochi decenni.
Purtroppo il problema non riguarda solo le api. Va anche detto che le piante Ogm producono semi sterili. Un ossimoro! Come fa un seme, geneticamente deputato alla nascita della vita, ad essere sterile? Eppure a questo ˗ e chi sa a cos’altro ancora ˗ ci sta portando la smania di produrre sempre di più e sempre più in fretta.
E l’argomento Ogm mi spinge a fare un’altra considerazione.
È, questo, il periodo della maturazione del grano e, seppure abitanti della città, la memoria ci riporta alle gialle distese mollemente ondeggianti sotto la brezza dei venti. Una visione appagante per ciò che la raccolta del grano, da che mondo è mondo, ha significato per l’uomo. Si dovrebbe essere perciò felici per il ripetersi del miracolo. E invece…
Invece osservo l’ossessiva monocromia di quelle distese di giallo e, inconsciamente, avverto un turbamento. Sento che manca qualcosa a quel quadro della natura. Mi sovviene un dipinto di Claude Monet in cui il giallo si mescola a macchie di rosso. Ecco cosa mancano: i papaveri! Ma anche i fiordalisi, la camomilla e gli altri umili fiori di campo, da sempre fedeli compagni del grano. E a sopprimerli sono stati proprio gli Ogm e i diserbanti selettivi.
Bisogna produrre sempre di più, ottimizzare, e dunque vanno eliminati erbacce e fiori. Non importa se poi, al posto di quelle tavolozze di colori, oggi c’è solo una grande e triste distesa di giallo.
È il rifiuto della diversità che oramai governa il mondo. È la globalizzazione la dea ispiratrice del nostro agire. È l’egocentrismo il vero trionfatore. Invano il guru indiano Osho predicava: “Il mondo non esiste per te. A nessuno interessa il tuo ego, che tu esista o no, non fa differenza. Sei solo un’onda. L’onda va e viene, l’oceano non se ne preoccupa…”.
Vacue ˗ o peggio ˗ allarmistiche disquisizioni le mie? Purtroppo no. Ho fatto qualche giro per le campagne attorno a Brindisi e quelle macchie di rosso non le ho trovate. Forse perché hanno già concluso il loro breve ciclo di vita o, magari, perché non le ho viste. Spero tanto che la colpa sia mia e non degli Ogm…
Guido Giampietro
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