Approfondimenti » 19/07/2013
E la chiamano estate… Di Guido Giampietro
“Stagione di densi climi dei grandi mattini dell’albe senza rumore…”, così inizia una lirica di Cardarelli dei tempi della rivista Solaria, anni Venti del secolo scorso.
Dunque, per il poeta, una stagione in cui è naturale farsi cullare dalle onde o ascoltare il loro rompersi sulla riva confuso con l’incessante canto delle cicale, sotto un cielo di miele e di fuoco, tra gli incendi degli oleandri in fiore.
Avrebbe declamato in questo modo il poeta se si fosse trovato a vivere la stramba estate di questo 2013? Un’estate in cui siamo condizionati dalle temperature che sono stravolte e dal cielo che, da limpido, si fa improvvisamente nero e lascia precipitare chicchi di grandine grossi come noci. Un’estate che, in barba al solstizio del 21 giugno, alterna brezze gentili a monsoni devastatori.
E intanto la gente che fa? Fiduciosa aspetta l’estate. Perché ˗ dice ˗ questa non può essere l’estate. L’estate, quella vera, deve ancora venire...
Mi viene di contraddirli, di spiegare loro che quella che stiamo vivendo È l’estate. Un’estate diversa dalle altre, più strana, ma non meno estate. Che non dobbiamo continuare ad aspettare perché, così facendo, ne passa ancora un po’, e poi è finita. Che dobbiamo abituarci all’idea, altrimenti rischiamo di non goderci nemmeno questi scampoli e di ritrovarci in un autunno mentalmente prematuro.
E invece non dico niente. Perché “sento” che la gente, nell’attesa di quella vera, questa strana estate la sta già vivendo.
Da che cosa lo deduco? Dal livello di cafonaggine che questa stagione porta sempre con sé.
Sia ben chiaro: non che la volgarità riguardi solo luglio e agosto. Si può essere cafoni anche a novembre come a marzo. Però è fuori discussione che sole, vita all’aria aperta e voglia di passare alla grande il proprio periodo di ferie, trovano proprio in questo momento la loro “alta stagione” zoticona.
Quali sono i segnali rivelatori dell’estate cafona? C’è solo l’imbarazzo delle priorità.
Tanto per cominciare, il vezzo di presentarsi o di conversare inforcando maxi occhiali dalle lenti scure o a specchio anche quando la luna è da un pezzo alta nel cielo.
E che dire dei colori troppo sgargianti (oltre che infantili) dell’abbigliamento? La sommatoria di stravaganti capi (ancorché firmati) non sempre si traduce nella raffinatezza del risultato finale.
Per non parlare dei barzellettieri che approfittano degli incontri conviviali per fare sfoggio di un repertorio che, grazie alle allusioni e al turpiloquio, fa scendere notevolmente l’asticella del buon gusto.
Un discorso a parte merita la canottiera. Lanciata da Bossi ai tempi felici della Lega vive oggigiorno una seconda giovinezza legata all’esibizione d’impressionanti tatuaggi muscolari.
Anche l’affumicatura dei vicini di casa ad opera d’ingombranti barbecue è da considerare gratuita volgarità, specialmente quando le incolpevoli vittime sono vegetariane…
E non si finirà mai di bollare come maleducato l’eccessivo volume delle suonerie dei cellulari e il forzato coinvolgimento del pubblico in animate e privatissime conversazioni.
Né mai si potrà scusare il gesto di chi, emulando gli eroi del pallone della domenica, beve a garganella dalla bottiglia.
Un capitolo a parte meriterebbe la Maleducazione da spiaggia (con la maiuscola), ma lo spazio limitato non mi consente di scorrere l’elenco delle nefandezze che, in ossequio a un personalissimo concetto di libertà, si compiono sui lidi.
Quest’anno, ai cafoni che deambulano sul rinnovato lungomare di Brindisi, è stata offerta una ulteriore e insperata possibilità di svago. Quella d’infilare le cicche di sigaretta tra una doga e l’altra del parquet davanti al palazzo Montenegro. Ma, come al solito, non gettiamo la croce sull’Amministrazione comunale che non ha provveduto a sistemare un portacenere per ogni occupante le panchine di quell’insolito salotto. Anche in questo caso ˗ così come per gli atti vandalici in corso nel parco XIX Maggio (Cillarese) ˗ la colpa è tutta e solo dell’estate!
Dove però la cafonaggine raggiunge l’acme è nel rumore assordante (preferibilmente nelle ore notturne) che si diffonde dai condomini, dai tubi di scappamento delle moto, dai SUV con lo stereo a palla, dalle amplificazioni da stadio dei locali all’aperto. “Perché la caciara ˗ osserva Sibilla della Gherardesca, esperta di comunicazione e buone maniere ˗, il rumore in qualsiasi forma, non soltanto musicale, è il primo appiglio della volgarità. Anche al ristorante non si parla, si urla”.
Aveva ragione Bufalino quando affermava (Dicerie dell’untore): “Ed io… non riesco ad amare l’estate. È un tempo di ulcere, collerico, tracotante…”.
Insomma, sarà per il caldo o per l’aria di vacanza (anche se in tempi di crisi) o per il piacere di fare notare le proprie nudità (anche lontano dalla spiaggia), fatto sta che d’estate si allentano i freni inibitori e si rischia di dare una cattiva (se non proprio falsa) immagine di se stessi. Diceva Oscar Wilde: “Ci sono soltanto due cose inspiegabili: la morte e la volgarità”. Forse quest’ultima non è poi tanto inspiegabile…
Guido Giampietro
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