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Approfondimenti: Se parte quel tavolo nel regno di Pimby. Di Ernesto Musio



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Approfondimenti » 25/07/2013

Se parte quel tavolo nel regno di Pimby. Di Ernesto Musio

Se c’è un territorio in Italia che può essere considerato il regno di Pimby -Please In My Back Yard, “Per favore (tutto) nel mio cortile”-, questo è Brindisi.
Difatti Brindisi ospita un mastodontico apparato industriale “classico” il quale, anche se non è corretto demonizzarlo con gli occhi odierni, fuori dal suo contesto storico, resta tra i più inquinanti (chimica ed energia da fonti fossili), con gli annessi lasciti di veleni da bonificare; ma Brindisi conosce anche una crescente e incontrollata produzione energetica “moderna” (fotovoltaico, eolico, biomasse), benché devastante per i campi, per il paesaggio, forse domani anche per le marine, con annessi immensi lasciti di silicio, che i nostri figli dovranno smaltire a proprie spese.
E c’è pure chi, in questo periodo, opponendosi legittimamente all’approdo di Melendugno del progetto Trans Adriatic Pipeline del gasdotto proveniente dal mar Caspio, “va oltre” e si avventura a indicare l’alternativa di Brindisi, per dimostrare che si è consapevoli dell’importanza della diversificazione dell’approviggionamento energetico dell’Italia. Lo diciamo solo per inciso: questo “andare oltre” non rientra nei classici della sindrome di Nimby, di cui non si vuole essere accusati?
Ma sulla storia e sul merito della TAP e altro daremo il nostro specifico contributo prossimamente.

Ciò che invece qui ci preme è porre una domanda generale di fondo che consideriamo vitale per Brindisi, come probabilmente per tante altre realtà investite dalle “intraprese” del capitalismo italiano: quanto dell’insieme del suo sviluppo, classico e moderno, è effettivamente voluto, pianificato e “progettato” dalla politica e dalle istituzioni e quanto invece esso altro non è che uno “sviluppo casuale”, prodottosi magari per aggiunte imprenditoriali su spinta di reti lobbistiche, vecchie e nuove, che influenzano o determinano le decisioni politiche e i destini collettivi, secondo quella “eterogenesi dei fini” che spaccia sempre per interesse generale gli interessi particolari?
Del resto, è forse un caso che finora l’italico lobbysmo non si è riusciti a regolamentarlo come in tante parti del mondo, in modo da rendere trasparente l’operato dei procacciatori d’affari e dei loro mandatari, dandogli volto pubblico, nome e cognome?

Il tavolo interistituzionale per Brindisi sulla condizione ambientale e sanitaria dell’area a rischio e del suo Sito di Interesse Nazionale, ottenuto dal Governo, per una coraggiosa e meritoria iniziativa dell’on. Elisa Mariano e di altri 29 parlamentari, è utile se –così come è intenzionalmente tesa l’Interpellanza parlamentare- oltre che per gli obiettivi in sé per il quale nasce, viene utilizzato dalla politica, dalle istituzioni, dalle organizzazioni dei lavoratori e delle imprese, come occasione e leva per una riappropriazione “collettiva” del proprio futuro anche economico, sociale e civile.
Aprire il tavolo sulle condizioni dell’ambiente e della salute dell’area a rischio, deve costituire per Brindisi l’occasione per avviare una riconversione e una re-industrializzazione sostenibile e “concertata” della sua economia, finalmente sottratta alle lobby possibili degli interessi particolari e riconsegnata a una “visione” progettuale, consapevole e collettiva. E’ l’unico modo per creare vero, nuovo e duraturo lavoro ai giovani che non ce l’hanno e a quelli che lo stanno perdendo.
E’ già accaduto nella storia brindisina che un accordo specifico sulle sostenibilità ambientali (La Convenzione con l’Enel) divenisse occasione per definire con il Governo un Protocollo “aggiuntivo” ad esso, riguardante l’economia territoriale e il suo rilancio ecosostenibile, le infrastrutture, il porto, l’interporto, il settore turistico, l’università, vari settori produttivi da reindustrializzare con l’individuazione delle fonti di finanziamento a ciò destinati, diversi progetti locali di una decina di Comuni, le forme e gli strumenti di tutela dei lavoratori che rischiavano di rimanere disoccupati nella fase transitoria di tale vasta riconversione ecosostenibile dell’economia.
Accadde nel ’96, con le firme, oltre della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri dell’Ambiente, del Bilancio, dell’Industria, dei Lavori Pubblici, del Lavoro, dei Trasporti, assieme al Comitato Nazionale per l’occupazione, al Presidente della Regione e della Provincia, al Sindaco, al Presidente dell’Autorità Portuale, all’Enel e alla GEPI.
Lì si creò il contesto culturale e si gettarono le basi progettuali per quella felice stagione della concertazione interistituzionale che dette vita a uno dei dodici primissimi Patti Territoriali d’Italia, chiamati per l’appunto di prima generazione, che furono forieri di successive implementazioni legislative nazionali.
Ricordo solamente che caratteristica del Patto Territoriale era quella di contenere obiettivi di promozione dello sviluppo locale in ambito subregionale compatibili con la sua ecosostenibilità, in quanto, benché i Patti fossero attivabili su tutto il territorio nazionale, le specifiche risorse destinate dal CIPE erano invece riservate esclusivamente ai Patti attivati nelle aree depresse, tra i quali quello di Brindisi, che per lo scopo si dotò di una Società mista di promozione denominata “Pacchetto Localizzativo Brindisi”, per l’attuazione di questo imponente programma d’interventi, finanziato con fondi ministeriali, convenzionali ed europei (dalla Sovvenzione Globale ai vari Programmi di Iniziativa Comunitaria).
Allora fu scritta una delle pagine più belle e creative del sindacalismo e dell’imprenditoria brindisina, che dovrebbe essere studiata ed essere presa a esempio dai soggetti sindacali e imprenditoriali di oggi.
Sarebbe poi interessante e salutare indagare perchè quella stagione dello sviluppo condiviso e “pattuito”, in uno con quanto si era condiviso e “convenuto” per la tutela ambientale del territorio, è stata “lasciata” morire.

E’ possibile costruire, nelle mutate e ben più drammatiche condizioni sociali ed economiche odierne, un’altra inedita ma necessaria via d’uscita, visto che lo sviluppo finora avutosi così come è andato “concependosi” in questi decenni ci ha portato all’insopportabile disoccupazione di oggi, nonché alla desertificazione di ogni sostenibile intrapresa produttiva, di progresso economico e sociale e civile?
Sarebbe esiziale per un futuro non breve se non si cogliesse e assumesse la sfida più vera e profonda che gli sviluppi possibili di quell’Interpellanza oggi ri-offrono al territorio.
Sta ora alle sue articolazioni politiche, istituzionali, sociali e culturali impedire alle reazioni che tradiscono un curioso e sospetto nervosismo di richiudere rapidamente, ancora una volta, questa finestra ri-aperta sul futuro delle nostre comunità, questa nuova luce che occorre mantenere viva e alimentare – mettendo insieme tutti i soggetti e gli uomini di buona volontà - con iniziative concertate e progetti di progresso, finalizzati al bene comune della nostra terra.

Ernesto Musio


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