Approfondimenti » 25/01/2014
Una scorciatoia per il cielo. Di Guido Giampietro
Anche il più duro dei miscredenti non lo lascerebbe mai intendere. Neppure sotto tortura. Ma un pensierino ad un posto in Cielo, magari defilato, in galleria “ridotti”, lo fa anche lui. Eccome se lo fa! Si tratta solo di trovare la strada, magari la meno faticosa ed impegnativa per guadagnarselo.
Tobia il giovane (personaggio dell’Antico Testamento e protagonista dell’omonimo libro deuterocanonico) così si esprimeva: “Dei tuoi beni fa elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, da’ molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo” (4, 7-11).
Non so se Tobia possa condividere la mia idea, ma io penso che un modo per guadagnarsi un posticino nell’aldilà ci sarebbe. Ad escogitarlo, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ci ha pensato l’inventiva dei napoletani. Ma, ancora di più, il loro cuore.
“Na tazzulella ʼe caffè acconcia a vocca”. Una tazzina di caffè ˗ dicono i napoletani ˗ addolcisce la bocca e, talvolta, anche l’anima.
E così ecco riesumare l’antica usanza del “caffè sospeso”, grazie al quale il signore benestante paga alla cassa due caffè, ma poi al banco ne beve solo uno. Del secondo ne potrà fruire il poveraccio (termine oggi desueto perché sostituito da sottoimpiegato, disoccupato, cassintegrato, esodato…) che non può permetterselo. Sarà sufficiente che, entrando nel bar, chieda sottovoce se per caso c’è un caffè sospeso. Oppure che dia un veloce sguardo alla lavagnetta sulla quale il gestore del locale tiene il conto dei “sospesi”.
Questa notizia (così appare a prima vista) può intenerirci o farci sorridere perché rimanda al clima di stenti di una Napoli così ben descritta dal grande Edoardo De Filippo e, ancora prima, da Scarpetta. Purtroppo non c’è tanto da meravigliarsi perché quella Napoli è ritornata.
In effetti è tutto il Paese che, a causa della crisi, si è “napolizzato”.
Così il bisogno di fruire della generosità altrui ha aggiunto alla ritrosia di chiedere un pasto caldo alla Caritas, anche quella di far fare al barista un semplice caffè sospeso.
E ˗ si badi bene ˗ non si tratta di elemosina! Non è quello che Fëdor Dostoevskij, nei “Demoni”, fa dire a Varvara Petrovna: “L’elemosina è un piacere presuntuoso e immorale, è il piacere del ricco per la sua ricchezza, per il suo potere e per il confronto della sua importanza con l’impotenza del miserabile…”.
Francamente non credo che chiedere se c’è un “sospeso” sottintenda, per chi lo offre e chi l’accetta, un giudizio così duro.
Qui non ci troviamo di fronte a quelli che Milan Kundera (ne “La lentezza”) definisce colpiti da “miopia spirituale”. La gente che offre un caffè, non all’amico, ma all’estraneo ha gli occhi buoni. E un caffè caldo offerto a chi non si conosce è molto di più di una semplice bevanda: è un diritto dell’uomo a sperare in un mondo migliore, almeno per il tempo che dura quel sorso. Forse per questo, insieme alla altre classiche raccomandazioni partenopee, va gustato comodo: perché possa durare un tempo il più lungo possibile.
Questo è anche il motivo per cui è nata l’Associazione “Rete del Caffè Sospeso – festival, rassegne e associazioni culturali in mutuo soccorso”.
Questa Associazione ha deciso di istituire, in concomitanza con la Giornata mondiale dei diritti dell’uomo (10 dicembre), la Giornata del Caffè Sospeso per proporre la ripresa dell’antica usanza napoletana nei bar e nei locali d’Italia e per diffondere anche nei settori della produzione culturale e sociale la filosofia solidale su cui si fonda.
Dal 2010, anno in cui è stata costituita la Rete, hanno aderito 61 locali, ognuno dei quali espone un manifesto che invita alla pratica del caffè sospeso. Di questi ben 58 si trovano in Italia (da Trieste a Lampedusa) e tre perfino all’estero (Spagna, Svezia, Brasile). Al gruppo dei nove fondatori si sono aggiunte 18 associazioni che praticano la “cultura del basso e in mutuo soccorso” come forma di resistenza alla crisi e ai tagli. D’altro canto, basta accedere al sito anglofono “Coffee Sharing” per rendersi conto che ben 195 bar di 138 città in diciannove nazioni hanno adottato il “suspended coffee”…
Curiosando nella lista ho appurato che, in Puglia, solo due esercizi hanno aderito a questa iniziativa: il bar “O cafè do professor” di Foggia e il bar-libreria “La Maria del porto” di Trani…
E le altre nostre città? Tutti quei paesi che pure hanno dato concreta prova di generosità in occasione degli eventi eccezionali che hanno scaricato sulle nostre coste migliaia di derelitti?
Mi piace pensare che la solidarietà segua percorsi meno appariscenti e più concreti. Perché, francamente, mi rifiuto di pensare che possa costituire un problema, per noi pugliesi, lasciare al bar un caffè sospeso (ma anche un cornetto, una pizza e ˗ perché no? ˗ un pasto in trattoria…).
L’importante è che, qualunque cosa si lasci in sospeso, sia sempre presente lo spirito napoletano che ha inventato la formula. Secondo l’accezione napoletana, infatti, chi soffre è proprio il benefattore. È lui che ha bisogno dell’altro per non sentirsi solo. È lui che chiede ad una tazzina fumante lo stesso calore che dà una piccola azione buona. E quando l’altro, lo sfortunato, accetta il sospeso, il circolo si chiude: egli, anche se limitatamente al momento breve della consumazione, condivide il sentimento di chi l’ha preceduto al bancone. Entra in quella Comunità da cui la vita lo tiene ancora fuori o l’ha appena cacciato. E l’aroma che sale alle sue narici non è solo una miscela di caffè. È anche un concentrato di diritti!
Nessuna elemosina, dunque. Nessuna vergogna. Ma una rinnovata fratellanza grazie a quel semplice caffè che per Edoardo era “la poesia della vita”.
Susanna Tamaro (“Và dove ti porta il cuore”) diceva: “Ci vuole generosità nella vita: coltivare il proprio piccolo carattere senza vedere più niente di quello che sta intorno vuol dire respirare ancora ma essere morti”. E allora, lasciamolo questo caffè sospeso. E se non siamo ancora preparati per fare questo gesto per gli altri, facciamolo almeno per noi stessi!
Guido Giampietro
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