06/10/2004
Brindisi. Si cambia. Noi o il Santo?
La fine della stagione balneare segna l'arrivo del tempo del lavoro, dei cambiamenti, dei buoni propositi. Mai come quest'anno molti settori della vita brindisina ripartono quasi da zero. L'inizio di tante "attività", politiche, sociali, economiche per la terra di Brindisi e Provincia, contrassegna un cammino lastricato di buone parole ed idee lungimiranti, che vogliono fare di questa terra "un bel posto in cui vivere".
Qualcuno si è già accorto che la partita è iniziata da tempo. Ma questa città, vuoi per un motivo vuoi per un altro, è rimasta al palo lasciando un vantaggio enorme a quelle istituzioni che, mettendo a punto una macchina pubblicitaria perfetta, con investimenti indovinati, hanno dato vita al fenomeno "Salento". Fenomeno che occorre cavalcare e non denigrare, come alcuni brindisini sono soliti fare, cercando anche di limitare lo strapotere che viene dal "nord", dalla terra barese, che, come capoluogo di regione, catalizza su di sè gran parte delle "energie" vitali, lasciando ben poco alle altre città pugliesi, per la verità forse anche per demeriti loro.
Un esempio pratico è il porto, bene tanto prezioso quanto male sfruttato. Un mare di scelte e persone “fuori luogo” che hanno regalato a Brindisi record negativi in termini di traffico passeggeri, con pesanti ripercussioni per gli operatori locali, al contrario di Bari che segna trend crescenti !!!
Se il porto piange, l'aeroporto risponde con un sorriso. Incrementi a doppia cifra segnano per il Papola un anno florido. Nonostante ciò si rischia di perdere quei collegamenti aerei con l'Europa che proietterebbero Brindisi, insieme a tutto il Salento, nel circuito turistico internazionale in maniera più stabile, destagionalizzando un'offerta che potrebbe "coprire" tutto l'arco dell'anno.
Intanto nel 2003 Taranto ha avuto un incremento turistico del + 5,8%, il territorio salentino-leccese + 3,7%, mentre Brindisi un risicato +1,2%.
In questi giorni si parla di cambiare nome al "Papola", chiamandolo "Aeroporto del Salento"; è una furbata e per una volta cerchiamo di essere furbi; penso che nessuno si offenderà se il nome "Papola" rimarrà solo nelle foto, ma di fatto Brindisi sarà la porta d'ingresso di tutto il Salento. Dovremo essere bravi a riqualificare la struttura e a "trattenere" un pò di turisti. Ma sapremo "vendere" Brindisi?
Qualcosa si muove. I centri di potere hanno dato l’input di voltare pagina. Il tempo dei ricatti è finito. Al primo posto ci sono gli interessi della città e del territorio, poi quelli dei singoli, soprattutto di quei singoli che sono politici e quindi al “servizio” della comunità.
La scelta del "No" al rigassificatore, da parte di Comune e Provincia, ha di fatto tracciato una nuova via di sviluppo, lontano da quella percorsa finora. Il che non significa essere contrari all'industrializzazione razionale, ma piuttosto un batter cassa, per quanto dato in passato e per quello che continuiamo a dare giorno dopo giorno, in termine di vite umane, inquinamento, malattie tumorali e sviluppo non sostenibile di un territorio che è "turistico" per vocazione naturale.
Perché affannarsi a cercare un luogo adatto alle commesse aeronautiche, quando questa terra è fra le più rinomate e specializzate al mondo? Le ottime infrastrutture esistenti, la professionalità e la competenza degli addetti e di tutto l'indotto aeronautico brindisino, e quel famoso batter cassa, devono essere la chiave di volta.
E allora smettiamola di occupare posizioni da comparse ed interpretiamo la parte degli attori in una terra che si è sempre trovata al centro di grandi eventi ma ne è sempre rimasta spettatrice inerte, lasciandosi scivolare addosso tutto ciò che non collima con lo spirito "olimpico" che oramai ci caratterizza.
Diamoci da fare, cambiamo dentro per cambiare fuori.
A Brindisi sembra che il culto dei Santi abbia condizionato il modo di pensare e vivere.
Ne abbiamo ben due.
Il più conosciuto è San Teodoro d'Amasea, il “forestiero”, al quale abbiamo concesso amore ed ospitalità. La storia racconta che nel XIII secolo i marinai di una nave veneziana, proveniente da Euchaita in Oriente, vistosi inseguiti dai Turchi, abbandonarono le urna con le ossa del Santo su una zattera, al largo del Porto di Brindisi. Il prezioso carico fu poi recuperato dalla popolazione e viene adorato ancora oggi.
San Lorenzo è il meno “famoso” (chissà perché…). La sua sembra la storia di tanti brindisini che per un motivo o per l'altro sono costretti ad abbandonare le terre natie. E che lontano dalla città trovano il modo di farsi valere. Nel XVII° secolo Giulio Cesare Russo lasciò quattordicenne Brindisi per sfuggire ad un’invasione dei saraceni e pochi anni dopo entrò in convento con il nome di "fra Lorenzo da Brindisi". In breve tempo le sue capacità fuori dall'ordinario e la sua vasta cultura gli permisero di ricoprire importantissimi incarichi nella Chiesa.
E se in passato il motivo della fuga erano i turchi, ora lo sono la disoccupazione e la ricerca di un equilibrio per vivere in maniera onesta.
Morale della favola: o onori ai forestieri o mancato sfruttamento delle nostre potenzialità.
Ci serve un terzo Santo o facciamo da noi?
Valerio Gatti |