07/04/2005
I messaggi della vittoria di Vendola. Di Michele Di Schiena
«Continuammo, seguendo la tua orma buona, a costruire piste di utopia: ecco, utopia è la parola che adoperano, con intenzioni di scherno, i trafficanti di realismo, i farisei dei nostri giorni, i burocrati dei silenti genocidi mercantili. Ma a dispetto di tutte le realpolitik … ora, gridiamolo don Tonino, ora è il tempo della utopia!».
Così si esprimeva Nichi Vendola in una lettera scritta nell’aprile del 2003 in memoria di don Tonino Bello. Un’utopia che con la vittoria del candidato dell’Unione nelle elezioni regionali di Puglia dovrà ora tradursi in concreti atti di governo. Un programma che vuole avere un’anima pervasa dai grandi valori costituzionali di pace e di liberazione, di giustizia e di equità sociale, di legalità e di partecipazione.
Innanzitutto la pace sia come valore informatore dell’intero progetto alternativo e sia come impegno concreto rivolto a “pretendere” che sul territorio regionale tutte le presenze e le strutture di guerra siano convertite in opere e servizi di solidarietà e di accoglienza.
Una scelta per la pace anche come antidoto alle culture violente e prevaricatrici che sono l’humus naturale dei fenomeni criminosi i quali vanno combattuti non solo sul piano delle misure repressive e di prevenzione ma anche sul versante educativo e su quello sociale.
E poi la giustizia sociale come fondamento di politiche rivolte a costruire in Puglia un nuovo modello di sviluppo economico che, nel rispetto del diritto alla salute e alla salubrità ambientale, sia capace di curare la piaga della disoccupazione e di emancipare in qualche modo il lavoro dalle condizioni di precarietà nelle quali è stato sospinto dalle logiche liberiste.
E ancora nel campo sanitario un vigoroso impegno che, capovolgendo gli indirizzi politici finora seguiti, prenda le mosse finalmente dal rilevamento dei bisogni dei cittadini per dare adeguate risposte alle loro domande e per mettere il governo centrale sul problema delle risorse di fronte alle sue responsabilità.
Il successo di Nichi Vendola è visto quindi dalla maggioranza dei pugliesi come un’ancora di salvezza per sollevare la regione dalla grave situazione in cui versa ma questo successo ha anche un significato politico più ampio perché dice all’intero Paese che proprio in una delle regioni saldamente nelle mani del centrodestra l’Unione può vincere quando moderati, riformisti e sinistra radicale si mettono insieme al servizio di un comune progetto nettamente e coraggiosamente alternativo a quelli di stampo berlusconiano.
In Puglia hanno certamente vinto la credibilità e la carismatica personalità di Nichi Vendola ma hanno vinto anche e soprattutto il coraggio, la chiarezza ed i connotati fortemente partecipativi e innovativi della proposta avanzata dallo schieramento progressista.
Ma la vittoria di Vendola lancia anche un altro messaggio di rilievo, un messaggio di grande civiltà perché dice che il vento del Sud sospinge il Paese non solo in direzione di una nuova politica ma anche, come necessario presupposto di essa, verso una cultura di spontaneità, di mitezza, di accoglienza, di tolleranza, di rispetto nei confronti di ogni diversità.
Una cultura dell’incontro e del dialogo contro tutti i razzismi e contro tutte le arroganze.
Una cultura che si nutre di partecipazione e guarda con sospetto a tutti i leaderismi, che si fa carico delle vecchie e nuove povertà e che fa proprie le ragioni dei più deboli e dei meno tutelati.
Sul piano religioso infine l’affermazione di Vendola dovrebbe costituire motivo di riflessione per i vertici della Chiesa e non solo di quella pugliese.
Sarebbe infatti utile domandarsi cosa ha mosso le migliaia di cattolici, specialmente di giovani organizzati anche in gruppi e comitati, a sostenere entusiasticamente una candidatura tanto lontana dai modelli stancamente proposti dal perbenismo cattolico.
E’ impossibile invero non accorgersi che questi giovani e meno giovani, in Puglia come altrove, sono gli stessi che scendono nelle piazze e attraversano le strade in difesa dei diritti umani fondamentali e contro tutte le guerre; che non vogliono vedere nella Chiesa una comunità rigidamente gerarchizzata e chiusa nelle proprie sicurezze ma il «popolo di Dio» in cammino nel mondo per «scrutare i segni dei tempi» ed interpretarli alla luce del Vangelo; che chiedono all’esperienza cristiana non solo di essere vicina ai poveri ma anche di lottare con essi; che respingono le inclinazioni verso un nuovo temporalismo della gerarchia ecclesiale fatto di relazioni che contano, di sostegni politici offerti, di privilegi sollecitati e di interessate influenze; che si attendono dalla Chiesa una giusta distanza dal potere, il rispetto dell’autonomia della politica e la rinuncia a dare esplicite o implicite indicazioni di voto anche nella forma diseducativa dell’astensionismo: e ciò soprattutto perché essa possa in libertà e credibilità esprimere tutta la forza trasformatrice e liberante del messaggio evangelico.
La stessa vicenda spirituale di Nichi Vendola non può forse costituire per la Chiesa motivo di una qualche riflessione?
Sia perciò perdonata una seconda citazione del neo presidente pugliese che, trasformato da “rivale” in credente da don Tonino Bello, così scriveva qualche tempo addietro ricordando il suo Vescovo: «Non mi hai mai rimproverato, non hai mai scrutato nello scrigno dei miei peccati, non mi hai mai presentato il conto delle mie eresie, non hai ma cercato di catechizzarmi, non mi hai mai tenuto a cordiale e formale distanza. Mi hai soffiato dolcemente dentro il cuore. Io ti scrivevo a Pasqua e a Natale biglietti augurali e per così dire spirituali. Tu mi rispondevi il primo maggio, festa del lavoro, ed il 25 aprile, festa della Liberazione».
Michele Di Schiena |