03/05/2005

Il Movimento del 4 Maggio


Quando nel 1919 i Paesi vincitori della I Guerra Mondiale si riunirono a Versailles per firmare l’accordo di pace, il Giappone ed una delegazione della giovanissima Repubblica Cinese, rivendicarono entrambi le concessioni ottenute dall’ex impero asburgico nel Paese di Mezzo negli anni precedenti la guerra.
Il Giappone aveva già fatto intendere alla Cina con le “21 Richieste” che avrebbe giocato un ruolo sempre più egemone nel panorama asiatico.
Queste Richieste, presentate qualche anno prima, erano l’ennesimo ricatto di una potenza straniera verso la Cina, ma venivano da un Paese limitrofo, fino a quel momento sempre culturalmente assoggettato al Paese più grande.
Le potenze occidentali, in un primo momento, non accolsero le istanze cinesi ma preferirono accontentare il Giappone, politicamente e militarmente più influente.
I cinesi che per anni erano stati sottomessi sotto la pesante minaccia delle armi occidentali, concedendo diversi territori alle potenze straniere e trattati “alla stregua dei cani” nella loro stessa nazione ( nei locali bene di Shanghai spesso appariva un divieto di entrata ai cinesi ed ai quadrupedi), si ribellarono, dando vita ad una lunga serie di manifestazioni e scioperi in un tutto il Paese.
Per la prima volta le potenze straniere si resero conto che quella massa fino ad allora quieta e sottomessa, stava vivendo un profondo cambiamento al suo interno, animata da un nuovo sentimento: il nazionalismo.
Finalmente i Cinesi Han (questo il nome dell’etnia più numerosa), che erano riusciti qualche anno prima a liberarsi della dinastia straniera Mancese dopo 400 anni, rivendicavano l’appartenenza ad una razza, ad una nazione, per quanto debole ed indecisa.
Il Movimento del 4 Maggio creò anche le basi per la rivoluzione del ’49. Il Giappone, in seguito a questa incontrollata ed inaspettata reazione della popolazione cinese, dovette attendere qualche anno prima di veder realizzati i propri sogni di conquista.
Il suo obiettivo chiaramente dichiarato nelle “21 Richieste” era quello di prendere il controllo militare ed economico, non solo della Cina, ma dell’intera Asia. Qualche anno dopo, alleatasi con la Germania di Hitler, procedette all’invasione militare.
I Giapponesi si abbatterono sulle nazioni limitrofe con una crudelta senza confini. La città di Nanchino, che aveva valorosamente tenuto testa alle truppe nipponiche, fu letteralmente devastata. Milioni di persone trucidate. Le donne sistematicamente violentate in pubblico, spesso sotto gli occhi dei propri figli.
Poco fuori Pechino, i Giapponesi avevano installato l’Unita 731, che utilizzava cavie umane scelte tra la popolazione cinese, per sperimentare armi biologiche.
Insomma i Giapponesi non furono meno feroci dei loro alleati tedeschi.
Eppure questa storia è stata a lungo taciuta e viene ancora negata al popolo giapponese. I libri scolastici di storia del Giappone evitano di parlare di quegli anni in dettaglio.
I politici giapponesi, per quanto abbiano pubblicamente e ripetutamente chiesto scusa alla Cina, continuano a commemorare le proprie vittime in quella guerra.
Questo ha creato il clima di ribellione che si è scatenato in questi ultimi giorni in Cina contro le sedi diplomatiche giapponesi.
Ovviamente si dirà che le fonti di informazione tutte strettamente controllate dal Governo Cinese, non abbiano fatto altro che alimentare la protesta. Forse.
Si dirà anche che se fossero state dimostrazioni politiche contro il governo, le forze di polizia avrebbero avuto un atteggiamento meno accondiscente. Sicuramente. Ma non solo.
Mi trovavo a lavorare in Cina in una fiera internazionale, quando gli americani bombardarono l’ambasciata Cinese a Belgrado uccidendo diversi giornalisti. Fui l’unico occidentale che ebbe l’ardire o l’incoscienza di recarsi al lavoro il giorno dopo. Gli sguardi erano di odio. Un vecchio cinese alzò il bastone ed incominciò a gridare nella mia direzione “Imperialisti schifosi, avete ucciso i nostri figli !”.
Per giorni la televisione nazionale trasmise le immagini dei cinesi morti sotto le bombe americane. I locali frequentati dagli occidentali divennero ben presto deserti. Si temevano rappresaglie. Poi la situazione finalmente migliorò.
In quella circostanza mi resi conto che diverse generazioni cinesi sono cresciute studiando “la rivoluzione cinese contro l’oppressore imperialista”. L’oppressore imperialista simo tutti noi, non solo i Giapponesi. La diffidenza nei nostri confronti è atavica ed ha delle basi storiche inconfutabili. Non bisogna dimenticare questo aspetto quando ci si relaziona al gigante giallo.

Gabriele D'Errico
Denver - Usa

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