14/07/2005
"E’ politica culturale o vecchia cultura politica?". Di Emanuele Amoruso
La recente vicenda della Delibera comunale sul programma dell “estate brindisina”, prima approvata dalla Giunta e poi ritirata dal Sindaco dopo le forti critiche avanzate dall’opposizione e dagli organi di stampa (e “corretta” nel cartellone con alcune proposte sostitutive, ) mostra il forte ritardo con cui la città affronta il complesso tema della cosidetta politica culturale.
Ritardo che non è solo “organizzativo” e/o di “cartellone”, come pensano in molti, ma soprattutto è di concezione e consapevolezza della attuale funzione che la Cultura assume come elemento decisivo per lo sviluppo.
Ciò vale in termini identitari, di nuovi processi di innovazione progettuale (di linguaggi, tecniche e professioni) ma soprattutto come momento di sintesi del nuovo corso che la città vorrebbe intraprendere. Purtroppo il paradigma che informa le attuali scelte culturali (invero di molte amministrazioni pubbliche) continua ad essere fortemente compromesso da due elementi portanti: idea della cultura come spettacolo/ divertimento e occasione per piccole operazioni di clientela/consenso. Se aggiungiamo che le scelte del “cartellone” sono anche condizionate dai “gusti” personali di chi compie le scelte medesime, il circolo vizioso si chiude su se stesso e, ahinoi, su questo “bene collettivo” che dovrebbe creare condizioni di socialità e di “scambio”, fonte di “capitale sociale” diffuso e di atteggiamento partecipativo alla cosa pubblica.
Tutto ciò per l’aspetto più propriamente “sociale” del fare cultura oggi, ma anche per la funzione che la cultura ha di “fare economia”.
Sono vicine alcune esperienze di area geografiche limitrofe che dietro l’appariscente “cartellone”, delle tante e diversificate e organiche proposte culturali, hanno intrapreso, da tempo, la strada di costruire una politica culturale capace di incidere sui processi socio-economici più generali del territorio.
Nell’anno del Signore 2005 non si può reiterare, “ a prescindere” dal merito e dal metodo, il vecchio schema del decisore “unico”: la cultura è un processo sociale e le varie sue manifestazioni (nelle arti performative come in quelle visive, nella tradizione alta e in quella folclorica) sono solo effetti manifesti di quanto accade nelle viscere della società. Per questo la stessa formazione del “cartellone” deve prodursi attraverso un processo/percorso partecipativo completamente nuovo che sappia cogliere le istanze dal basso come le alte vette della ricerca e sperimentazione.
Da tempo oramai sono consolidati gli studi e le ricerche su quei territori che hanno saputo fare della svolta culturale dell “idea di cultura” un nuovo paradigma per lo sviluppo, per guadagnarsi quel futuro che non arriverà mai “bello e pronto” per essere mangiato, e che nel mare magnum dei tanti “prodotti culturali” sanno distinguere, scegliere e farne “oggetti culturali” che “attraversano” le persone e le loro speranze.
Per abbandonare la vecchia cultura politica, oltre che cambiare decisamente le “facce”, i metodi da rider e le enunciazioni generali, occorre un radicale cambiamento di mentalità senza il quale i sentieri non diventeranno mai strade, né le città caotiche delle comunità da vivere. La Cultura è relazione e la Politica, somma forma di Cultura, non può che essere tale.
Se a tutto questo aggiungiamo il teatro (edificio), il natale, il carnevale, la scuola, i bambini, i vari city users, l’arte, la musica, la parola e il dialetto, lo sport, il cibo, il lungomare e il water front, le periferie, le piazze, il traffico, l’insalubrità, la funzione del capoluogo, la frontiera, l’Adriatico, il mare di mezzo, il multiculturalismo, le sfide della modernità “liquida” e delle identità “multiple”, la globalizzazione, la società dell’ informazione e della comunicazione, i fondamentalismi, le autoemarginazioni, le tribù culturali, i tanti “pubblici”, la conoscenza come “risorsa” fondamentale, l’ignoranza come abitudine, la sopraffazione, i deboli e le sottoculture, le nuove povertà, il disincanto etc.etc….il “discorso attuale” della cultura locale appare in tutta la sua inattualità, inconsistenza e purtroppo da”sagra”paesana.
Il gioco delle “botteghe” e degli arroccamenti non serve più a nessuno, neanche a chi di quella bottega ha le chiavi: un giorno alzerà la saracinesca e dalla strada non passerà più alcuno.
C’è da sperare nel vento, che soffi come anemos e spazzi via ogni “inquinamento”.
Brindisi, 14 luglio 2005, nel giorno della “presa della Bastiglia”, ma secondo alcuni della “pastiglia”.
Emanuele Amoruso
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