02/02/2006

"I due Masaniello". di Tema


Il Corriere della Sera del 17 gennaio scorso ha pubblicato un articolo di fondo, firmato da Ernesto Galli della Loggia, nel quale viene riportato testualmente “Il Presidente del Consiglio ha smesso il suo abito per vestire i panni, evidentemente a lui più congeniali, di un moderno Masaniello mediatico”.
Un complimento non voluto nei confronti del nostro Premier, considerato che la straordinaria vicenda di Masaniello ebbe a quel tempo una notevole eco in tutta Europa, oppure l’illustre editorialista ha indicato il popolare leader napoletano nel significato corretto di tribuno incantatore di folle?
Ma al di là di ogni ragionevole dubbio, il paragone è oggettivamente argomentabile, soltanto perché esistono alcune analogie?
Proviamo a individuare le eventuali somiglianze e le probabili diversità.
Michelangelo Schipa, noto scrittore meridionale studioso della storia di Napoli, ha dedicato a Tommaso Aniello da Amalfi, detto Masaniello, un libro edito nel 1925 da Laterza, nel quale narra che il “pescivendolo” era un vizioso, un dissoluto giocatore, bestemmiatore e finanche scomunicato.
Ergo, carattere assai diverso da quello del Cavaliere; così sembra, anche se subito dopo lo scrittore aggiunge: “dotato di quella temerarietà orgogliosa e prepotente che bastava a dargli un certo ascendente sul monellume diseredato formicolante nel suo quartiere”.
Ricordiamo che siamo a Napoli nell’anno 1646, quando il popolo cominciò a rumoreggiare e protestare contro il vicerè spagnolo, reo di aver imposto una ulteriore gabella sulla frutta.
Pare che l’idea di “organizzare” la protesta non sia stata sua, bensì di un uomo politico, un certo Giulio Genoino. Sta di fatto che la massa di manovra di detta protesta fu una banda di ragazzi armati di canne che abitualmente si esibiva in uno spettacolo popolare.
Masaniello riuscì a metterne insieme duecento, distribuì a ciascuno la canna, ma soprattutto insegnò loro a strillare in coro il grido di battaglia “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno”.
Fu così che Masaniello si mise ad attraversare le vie di Napoli, trascinandosi dietro una folla di monelli “armati, scalzi e cencioni con uno straccio per bandiera ed un tamburo rotto”.
Ma questo fu soltanto il prologo, perché il pescivendolo rivoluzionario riuscì ad organizzare la protesta dei mercanti di frutta mettendosi alla guida di un corteo indubbiamente più numeroso, perché ai duecento scugnizzi si aggiunsero tanti adulti muniti di armi bianche e da fuoco.
Da quel momento cominciò la irresistibile ascesa di Masaniello, anche se il suo “regno” durò soltanto dieci giorni, giusto il tempo per farsi riconoscere generalissimo, capitano del popolo, nonché comandante della milizia popolare.
Abbandonato ben presto dai più scaltri fra i suoi seguaci fu arrestato; riuscì a fuggire riparando nella Chiesa del Carmine, ma qualche ora dopo, mentre riposava nella cella di un monastero, fu raggiunto da un gruppo di sicari che lo uccisero con una raffica di archibugi. Il suo corpo, decapitato, fu trovato abbandonato sulla spiaggia tra un cumulo di rifiuti.
La “rivoluzione” di Masaniello, anche perché diretta contro la Spagna, suscitò grande interesse in Inghilterra, Francia ed Olanda: il suo mito si è tramandato fino ai nostri giorni, mentre alcuni storici hanno visto negli eventi di Napoli, ma anche in quelli di Palermo accaduti qualche mese prima, l’annuncio dei grandi movimenti politici e sociali determinati dalla rivoluzione industriale.
Appare doveroso aggiungere, in conclusione, ciò che scrive Michelangelo Schipa nel libro ricordato: quanto si verificò nella Napoli di Masaniello non appartiene alla storia, ma alla psichiatria.

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