06/02/2006
Sul "Ti dico la mia" ed altre agora. Di Alfio Tarullo
Caro direttore,
Talvolta mi soffermo sulla rubrica "Ti dico la mia" per conoscere i pareri dei lettori intorno alla questione Rigassificatore. Fa piacere rendersi conto degli umori della gente compiuterizzata che vuole dire la sua agli altri. Purtroppo il confronto, su questo come su altri temi, non avviene con una conveniente pacatezza e rispetto delle altrui idee. Non ci si limita ad esporre la proprie e confutare quelle degli altri.
Nell'antica Grecia (siamo trecento/cinquecento anni prima di Cristo) si dibatteva e filosofava, tra una guerra intestina e l'altra, per le strade e nelle piazze. Ad alcuni dibattiti, specie di politica (nel senso lato e ateniese della parola) assistevano molti cittadini, avidi di apprendere una sostanziale verità logica e pratica.
Tali dibattiti pubblici si svolgevano con due contendenti, ovviamente sostenitori di due differenti tesi e democraticamente erano così articolati: il primo oratore esponeva il suo pensiero sull'argomento, indi il secondo oratore esponeva il suo, contrapposto a quello del primo.Il primo oratore, poi, riprendeva la parola per illustrare i punti deboli del ragionamento del secondo il quale, a sua volta riprendeva la parola per confutare la tesi del primo, soffermandosi sui punti deboli della teoria esposta. Una volta che entrambi avevano esposta la propria convinzione e confutata quella altrui, ognuno concludeva, per ribadire o correggersi e tutto finiva lì, e la gente s'arricchiva di concetti e decideva... Gli scambi di opinione potevano alternarsi successivamente, se si aveva ancora da esprimersi e si aveva ancora da confutare. Ovviamente gli ascoltatori parteggiavano per l'una o l'altra tesi soltanto se si convincevano, o no, d'essere nel giusto, dopo un tale dibattito, regolato da un arbitro. Questa metodologia basata sulla logica, consentiva ai due dialettici contendenti non solo di esporre i propri concetti ma di confutare quelli espressi dall'altro, in una ordinata discussione davanti al popolo.
Nell'Agora si discuteva di tutto, oltre che di politica, e non erano ammessi gli insulti al contendente, le cui idee venivano confutate con speculazioni logiche e dati di fatto. Nessuno avrebbe scelto una strada diversa da quella della persuasione
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François Rabelais scrive una superlativa parodia di un tal dibattito filosofico tra due eccelsi contendenti in tre immortali capitoli del "Gargantua e Pantagruele" ( XVIII intitolato "Come un gran Dottore d'Inghilterra volle sfidare Pantagruele a pubblica discussione, e come fu sconfitto da Panurge" ; XIX "In qual modo Panurge fece andar gobbo l'inglese che discuteva a segni e XX "Come Thaumaste espose le virtù e il sapere di Panurge) dove descrive un duello oratorio, concordato tra Panurge e Thaumaste senza proferire parole, esprimendosi a gesti, con mani, braccia, bocca, occhi, alla presenza di tanta gente. Questo dibattito mimato e irresistibilmente comico (con Panurge e Thaumaste che si alternano in acrobatiche disquisizioni a gesti davanti alla gente) si conclude col prevalere delle tesi di Panurge e l'inglese riconosce la supremazia dei concetti da lui espressi: "Mi ha soddisfatto, me ne ha detto più di quel che domandavo e mi ha aperto per giunta e risolto parecchi altri dubbi inestimabili". Mirabile esempio di chi disputa a sostegno d'una idea che via via trova inadeguata e falsa e la cambia con quella del contraddittore: "Et ecce plusquam Salomon hic", grida Thaumaste, invitando tutti a una solenne bevuta.
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In questi ultimi giorni sulla rubrica si dibatte anche intorno a Berlusconi e alle imminenti elezioni politiche. Rabbrividisco constatando i toni della discussione, specialmente di tal Gianmarco da Bologna che, mi dicono, essere un commercialista di Brindisi trapiantato a Bologna e di cognome Landi. Viene ritenuto, anche dai suoi contraddittori on line, un cervellone, giacché introduce nel dibattito termini giuridici, filosofici, astruse teorie libresche, insomma quella specie di latinorum che il buon Renzo manzoniano comprendeva essere introdotto dai dotti per ingannare gli ignoranti.
Cotesto cervellone annichilisce gli avversari col suo turpiloquio e crede che la rissa sia vincente sul ragionamento, contrariamente a quanto ritenevano i retori e gli oratori ateniesi, e già questo indica che egli in sia affatto un cervellone. In pratica egli impedisce, col suoi sboccato e feroce assolutismo verbale, ogni accenno di discussione e vanifica, quindi, la stessa esistenza della rubrica "Ti dico la mia".
Se gli esponi un concetto diverso dal suo, anziché replicare a difesa del suo assunto, indica nell'altrui ignoranza il vero nocciolo della questione e s'inviperisce a tal punto da sommergere con vituperi il mondo intero, a lui avverso.
Caro direttore, se non riusciamo a sopportare più di Berlusconi, come riconosce ormai lo stesso Presidente della Camera onorevole Pierferdinando Casini, figuriamoci se possiamo aver la pazienza di sopportare il suo sbracato miniscudiero, che molti lettori della rubrica considerano fuor di senno, nonostante sciorinate conoscenze giuridico-economiche del nostro, molte volte tirate in ballo "ad usum delphini."
Anche perché, proseguendo nella sua forsennata escalation, dà del "comunista" a tutti coloro che non sono d'accordo con lui (come quei sbrindellatisoldati giapponesi che si ostinavano a credere che la guerra non fosse da diciassette anni terminata, con la sconfitta nipponica) e attribuisce addirittura efferati delitti di sangue ai dirigenti dei DS, abusando dell'indulgenza di chi lo sta a leggere.
Ora sarebbe opportuno che, ferma restando la libertà d'opinione, non venissero attribuiti fatti e atteggiamenti che si configurano in un "reato" perché questa sconsideratezza tipicamente berlusconiana è essa stessa un reato.
Alfio Tarullo
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